Parole di San Paolo

per mezzosoprano e orchestra da camera

Musica: Luigi Dallapiccola (1904 - 1975)
Testo: Prima lettera di San Paolo ai Corinzi Organico: mezzosoprano, flauto, flauto contralto, clarinetto, clarinetto basso, pianoforte, celesta, vibrafono, arpa, xilomarimba, viola, violoncello
Composizione: 1 luglio - 16 settembre 1964
Prima esecuzione: Washington, The Library of Congress, 30 ottobre 1964
Edizione: Suvini Zerboni, Milano, 1965
Guida all'ascolto (nota 1)

Il linguaggio musicale di Luigi Dallapiccola è certo tra i più individualmente caratterizzati di tutto il '900 e questo a onta della dodecafonia di cui si serve. Ciò valga a riprova del fatto che, come già il sistema tonale, così anche la dodecafonia è assolutamente insufficiente di per sé a definire, non dico uno stile, ma neppure un linguaggio. Che essa rispecchia tutt'al più un atteggiamento mentale del compositore in relazione all'oggetto musicale, atteggiamento certo assai diverso dal pensiero armonico-verticale degli ultimi quattro secoli o da quello melodico-lineare dei secoli precedenti, ma altrettanto non vincolante sul piano operativo o tutt'al più vincolante in modo del tutto generico. Dallapiccola ad esempio ci dà (a differenza, poniamo, di Webern, sistematico livellatore dei rapporti verticali) una variante della dodecafonia che possiamo senz'altro chiamare armonica. Non che l'armonia imponga le sue leggi al discorso musicale, come accadeva per il passato, anzi le riceve ora come regole del giuoco seriale; ma proprio queste regole sono stabilite dal compositore in modo da soddisfare il suo «orecchio interno», che nel caso di Dallapiccola è appunto un orecchio armonico. E' quindi possibile, sia pure per questa via traversa, affermare anche per Dallapiccola il predominio dell'armonia. Di qui la penetranza della sua musica, così astratta all'analisi, così concreta all'ascolto; di qui la sua affascinante ambiguità sia sul piano tecnico (non tanto lontana, in fondo, dall'ambiguità del «contrappunto armonico» di Bach) che sul piano espressivo (certe estenuanti eufonie dallapiccoliane rischiano consapevolmente il disfacimento nel puro edonismo sonoro); di qui la presa immediata della sua potente drammaticità; di qui infine il colore originalissimo della sua scrittura strumentale, mai informata a un'ipotetica autonomia del timbro (come in tanta musica di oggi), ma sempre derivante la fisionomia timbrica dalle sue stesse strutture interne secondo un superiore concetto di armonia-timbro. Tale è in Dallapiccola la sicurezza dell'«orecchio interno», che la stessa dodecafonia non è valsa a mutarne" sostanzialmente lo stile. E' noto infatti che la produzione di Dallapiccola presenta, superficialmente almeno, una cesura, corrispondente all'adozione del metodo dodecafonico e localizzabile all'inarca negli anni intorno ai Canti dì Prigionìa (1938-41), al Mursia (1942) e alle Liriche greche (1942-45).

Mutamento di linguaggio, può darsi, ma non di stile, il quale del resto o c'è o non c'è, e se non c'è è assai improbabile che un qualsiasi metodo o atteggiamento mentale possa sostituirlo. Ma Dallapiccola non ha avuto bisogno della dodecafonia, l'ha semplicemente scelta, per delle ragioni che qui non è il caso di indagare. E dell'unità del suo stile, al di sopra delle eventuali cesure, dà una convincente prova il concerto di questa sera, il cui programma abbraccia riassuntivamente tutto l'arco della produzione dallapiccoliana dal lontano Divertimento alle recentissime Parole di San Paolo.

Nessun conflitto tra parola e musica quando Dallapiccola si accosta alla bruciante spiritualità di testi come quelli dei Canti di Prigionia, dei Canti di liberazione, di Job e delle recentissime Parole di San Paolo (1964). E' qui perseguita e raggiunta una sorta di «riduzione trascendentale» della musica, analoga a quella compiuta dall'ultimo Strawinsky, seppure con risultati anche qui pressoché antitetici. L'estrema soggettivazione del linguaggio musicale dallapiccoliano, ormai quasi un soliloquio, si ribalta qui in oggettiva sacralità, capace di accogliere le parole dell'apostolo delle genti. Ma la sacralità dallapiccoliana, che ha il suo simbolo sonoro nell'intervallo di quinta diminuita, conserva intatta, anzi potenzia al massimo la sua componente umana, mentre rappresenta quella divina solo come intenzionalità, ancora una volta quindi dal punto di vista umano-soggettivo. La peculiare fisionomia timbrica del lavoro (l'organico strumentale comprende flauto, flauto in sol, clarinetto, clarinetto basso, pianoforte, celesta, arpa, vibrafono, xilomarimba, viola e violoncello), lungi dall'essere un fatto puramente esornativo, ha, come spesso in Dallapiccola, funzione di straniamente nei riguardi dell'armonia, che, proiettata in una regione sonora inconsueta, solo qui si realizza nel suo vero significato.

Boris Porena

Testo

Si linguis hominum loquar et angelorum, caritatem autem non habeam, factus sum velut aes sonans, aut cymbalum tinniens.

Et si habuero prophetiam, et noverim mysteria omnia, et omnem scientiam: et si habuero omnem fidem ita ut montes transferam, caritatem autem non habuero, nihil sum.

Et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, et si tradidero corpus meum ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest.

Caritas patiens est, benigna est:... Non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati:... Omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.

Nunc autem manent fides, spes, caritas, tria haec: major autem horum est caritas.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 marzo 1965


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Ultimo aggiornamento 16 gennaio 2016