Quattro frammenti sinfonici dal balletto "Marsia"


Musica: Luigi Dallapiccola (1904 - 1975)
  1. Danza magica - Ostinato; Ripresa - Calmo, molto flessibile
  2. Danza di Apollo - Sostenuto, allegro molto sostenuto e pomposo
  3. Ultima danza di Marsia - Andante lento
  4. La morte di Marsia - Non troppo lento
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 sassofoni, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, piatto sospeso, 2 piatti, tam-tam, tamburo piccolo, tamburo militare, tamburo basco, tamburo, grancassa, triangolo, xilofono, celesta, 2 arpe, pianoforte, archi
Composizione: 1943
Prima esecuzione: Bruxelles, Radio fiamminga, 12 marzo 1946
Edizione: Carisch, Milano, 1954
Dedica: Leone Massimo
Guida all'ascolto (nota 1)

«Nelle civiltà arcaiche i miti esprimevano quella che oggi si potrebbe chiamare filosofia della vita, la quale, attraverso i millenni, non è poi tanto mutata». Con queste parole formulate da Dallapiccola a proposito dell'«Odissea» e, quindi, del suo «Ulisse», è dato di ravvisare un'omogeneità di vedute tra il compositore e il coreografo Aurel M. Milloss tutt'altro che casuale o fortuita, sibbene convinta e radicata, tale dunque da garantire a un lavoro fatto a quattro mani — «Marsia» appunto — un'uniformità strutturale delle più perfette. Come ebbe infatti a scrivere Millos, nelle genesi di «Marsia» è implicita la volontà di «sottolineare quei fondi essenziali della mia immaginazione drammatica, i quali si ripetono in tutti i tempi, cioè sono della specie delle cose eterne».

La sintonia fra i due artisti fu tale che la musica divenne — l'osservazione è dello stesso coreografo — «la melodia interiore del balletto», capace di «rendere udibili i vari stati d'animo e le forze sovrane che li hanno suscitati».

Dallapiccola cominciò a musicare il balletto sceneggiato da Millos verso la fine del 1942, terminandolo l'anno successivo. I «Frammenti sinfonici» risalgono a quello stesso periodo ed ebbero la prima esecuzione a Bruxelles il 12 marzo 1948 sotto la direzione di Daan Sternefeld.

Il mito di Marsia doveva valere come proiezione di un dualismo avvertito allora in maniera angosciosa fra dionisiaco e apollineo, ossia fra soggettivismo e oggettività razionale.

La tematica dei due principi contrastanti non deve naturalmente essere esperita come allegoria filosofica, quanto piuttosto come inconscia o forse cosciente analogia di immagini e contenuti poetici presenti, fra l'altro, nelle opere di Goethe e di Thomas Mann (autori particolarmente cari a Dallapiccola), e, d'altro canto, come riflesso di una situazione storica ben determinata, quella, cioè, del periodo bellico.

Negli anni '40 Dallapiccola guarda e vive la realtà con una fermezza intransigente che rasenta — com'è stato detto — la crudeltà. Le sue scelte artistiche manifesteranno di volta in volta una ricerca di tensione e di distensione, elementi questi non solo impliciti nella dinamica della musica «tradizionale», ma nel caso di Dallapiccola, intrinseci alla sua stessa organizzazione lessicale.

Dopo «Canti di prigionia» (1938-41), scritti contro «l'orrore della barbarie carceraria», la pausa distensiva del «Piccolo Concerto per Muriel Couvreux» (1939-41) e di «Marsia»; parallelamente alla composizione de «Il Prigioniero» (1944-48) il ciclo «astratto» delle «Liriche greche» (1942-45).

È lo stesso compositore a puntualizzare a proposito di quest'ultimo lavoro il doppio binario su cui si muove la sua produzione, frutto — si badi bene — di un unico modo di percepire il reale. «Erano gli anni in cui l'Europa, da tempo circondata di filo spinato, con ritmo ognora crescente si riduceva a un ammasso di rovine: l'equilibrio sovrano che emana dai lirici greci contribuì, almeno in certi periodi, a darmi sollievo di fronte ai continui squilibri da cui la nostra vita era condizionata, a farmi sopportare tragici avvenimenti e forse a costituire il necessario contrasto con l'atmosfera dell'opera "Il Prigioniero"».

Questa dichiarazione potrebbe benissimo essere estesa a «Marsia». Nel balletto la critica evidenziò un denominatore comune a gran parte della produzione di Dallapiccola, ovvero la lotta dell'individuo contro forze a lui superiori. In «Volo di notte» essa si era configurata come opposizione del pilota Fabien agli elementi avversi della natura, ne «Il Prigioniero» vediamo il protagonista scontrarsi e soccombere di fronte all'apparato dell'Inquisizione spagnola; Job, nella fase del dubbio si troverà opposto alla volontà imperscrutabile di Dio; ultimo e più complesso della serie degli eroi dallapiccoliani Ulisse lotta essenzialmente contro se stesso, contro i limiti imposti alla sua realtà ontologica, per poter arrivare a capire il «mistero del mondo».

«All'essere primitivo fu concesso il dono dell'arte per giungere a dignità umana — scrive Millos per «Marsia» —; ma egli abusò del dono e, in peccato di presunzione, si ritenne cosi grande da sfidare la divinità. Sicuro di sé, dimenticò i circoscritti compiti umani e si perdette nell'ebrezza dell'estasi. Troppo tardi si accorse che i miracoli sono soltanto opera di Dio. La sua sfida doveva essere punita con una morte tremenda. Cosi fu dato dal cielo un generoso avvertimento per l'equilibrio della vita umana». Riconducendo il mito alle esigenze primarie — e quindi soggettive — dei due autori come pure al processo storico della cultura laica occidentale, Mila può qui a buon diritto osservare il riflesso di quella che egli definisce «crisi dell'immanenza», messa in discussione cioè di quei valori che dal Rinascimento in poi avevano informato le certezze dell'umanità.

La differenziazione fra l'umano Marsia e il divino Apollo è già nella musica, anche se continue sono le interferenze fra i due mondi. Per il primo viene impiegato un articolato cromatismo che sconfina talvolta nel disegno seriale (quando, per esempio, Marsia, scoperto il flauto, è rapito da estatico stupore), mentre il Dio solare è definito da un clima solennemente diatonico. Dopo la «Presentazione» nella quale la fisicità di Marsia è caratterizzata da un idillico tema pentafonico, l'«Ostinato», con il frenetico alternarsi di ritmi asimmetrici, esalta l'ebbrezza gioiosa della musica; verso la fine una sorta di estatica catarsi è realizzata da lunghi suoni tenuti e dall'impercettibile trillo dei clarinetti e dei secondi violini.

La «Danza di Apollo» (Allegro molto sostenuto e pomposo) sì apre in un rigoroso equilibrio diatonico, con una disposizione strumentale — fa notare Gatti — ben differenziata nella durata e nelle indicazioni dinamiche: vi è adombrata la perfezione del Dio. Questo episodio «culmina in una danza piena di luminosità onnipossente. Apollo ha finito. Si avvicina a Marsia e, rovesciandogli il flauto lo invita a dimostrare se può ancora competere con lui. Marsia tenta il miracolo. Invano». (Millos).

Nell'ultima danza di Marsia il tema principale dell'«Ostinato» ricompare, saldando così lo svolgersi degli avvenimenti in una serrata unità drammatica.

La morte di Marsia con cui termina il lavoro, se si eccettuano alcuni passi marcatamente tragici, si mantiene tutta nella sfera di un cristallino nitore. Come già in «Volo di notte» la morte aveva trasfigurato i contenuti terreni in quiete serenissima, la fine di Marsia si sintetizza in una perdita di «corpo» sonoro: il timbro armonioso delle arpe, quello «freddo» e sempre uguale del pianoforte che riprende in tessitura acuta il disegno già esposto dall'ottavino, i lunghi accordi degli archi, cessano ormai di parlare nei termini di una dolorosa materia.

Fiamma Nicolodi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 8 novembre 1975


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Ultimo aggiornamento 12 aprile 2019