Goethe-Lieder

per mezzosoprano e tre clarinetti

Musica: Luigi Dallapiccola (1904 - 1975)
Testo: Johann Wolfgang von Goethe
  1. In tausend Formen magst du dich verstecken - Lento
  2. Die Sonne kommt! Ein Prachterscheinen! - Sostenuto; declamando
  3. Laß deinen süßen Rubinenmund - Volante; leggero
  4. Möge Wasser, springend, wallend - Impetuoso; appassionato
  5. Der Spiegel sagt mir: ich bin schön! - Estatico; contemplativo
  6. Kaum daß ich dich wieder habe - Molto moderato; teneramente
  7. Ist's möglich, daß ich, Liebchen, dich kose - Quasi lento
Organico: mezzosoprano, 3 clarinetti
Composizione: 1953
Prima esecuzione: Boston, Hancock Building, 28 aprile 1953
Edizione: Suvini Zerboni, Milano, 1953
Guida all'ascolto (nota 1)

Il linguaggio musicale di Luigi Dallapiccola è certo tra i più individualmente caratterizzati di tutto il '900 e questo a onta della dodecafonia di cui si serve. Ciò valga a riprova del fatto che, come già il sistema tonale, così anche la dodecafonia è assolutamente insufficiente di per sé a definire, non dico uno stile, ma neppure un linguaggio. Che essa rispecchia tutt'al più un atteggiamento mentale del compositore in relazione all'oggetto musicale, atteggiamento certo assai diverso dal pensiero armonico-verticale degli ultimi quattro secoli o da quello melodico-lineare dei secoli precedenti, ma altrettanto non vincolante sul piano operativo o tutt'al più vincolante in modo del tutto generico. Dallapiccola ad esempio ci dà (a differenza, poniamo, di Webern, sistematico livellatore dei rapporti verticali) una variante della dodecafonia che possiamo senz'altro chiamare armonica. Non che l'armonia imponga le sue leggi al discorso musicale, come accadeva per il passato, anzi le riceve ora come regole del giuoco seriale; ma proprio queste regole sono stabilite dal compositore in modo da soddisfare il suo «orecchio interno», che nel caso di Dallapiccola è appunto un orecchio armonico. E' quindi possibile, sia pure per questa via traversa, affermare anche per Dallapiccola il predominio dell'armonia. Di qui la penetranza della sua musica, così astratta all'analisi, così concreta all'ascolto; di qui la sua affascinante ambiguità sia sul piano tecnico (non tanto lontana, in fondo, dall'ambiguità del «contrappunto armonico» di Bach) che sul piano espressivo (certe estenuanti eufonie dallapiccoliane rischiano consapevolmente il disfacimento nel puro edonismo sonoro); di qui la presa immediata della sua potente drammaticità; di qui infine il colore originalissimo della sua scrittura strumentale, mai informata a un'ipotetica autonomia del timbro (come in tanta musica di oggi), ma sempre derivante la fisionomia timbrica dalle sue stesse strutture interne secondo un superiore concetto di armonia-timbro. Tale è in Dallapiccola la sicurezza dell'«orecchio interno», che la stessa dodecafonia non è valsa a mutarne" sostanzialmente lo stile. E' noto infatti che la produzione di Dallapiccola presenta, superficialmente almeno, una cesura, corrispondente all'adozione del metodo dodecafonico e localizzabile all'inarca negli anni intorno ai Canti dì Prigionìa (1938-41), al Mursia (1942) e alle Liriche greche (1942-45).

Mutamento di linguaggio, può darsi, ma non di stile, il quale del resto o c'è o non c'è, e se non c'è è assai improbabile che un qualsiasi metodo o atteggiamento mentale possa sostituirlo. Ma Dallapiccola non ha avuto bisogno della dodecafonia, l'ha semplicemente scelta, per delle ragioni che qui non è il caso di indagare. E dell'unità del suo stile, al di sopra delle eventuali cesure, dà una convincente prova il concerto di questa sera, il cui programma abbraccia riassuntivamente tutto l'arco della produzione dallapiccoliana dal lontano Divertimento alle recentissime Parole di San Paolo.

Nei Goethe-Lieder (del 1953) la tecnica schönberghiana dei dodici suoni viene applicata con assoluta coerenza, anzi, la stessa veste timbrica e, ancor più, il rigore canonico, neofiammingo, della scrittura sembrerebbero quasi un omaggio alla memoria di Anton Webern, autore anch'egli nel 1924 di Cinque Lieder canonici per voce femminile e clarinetti. Ma l'idea dell'omaggio non implica necessariamente un'affinità. Al di fuori infatti di quella, del tutto generica, determinata dall'uso del cromatismo integrale, nessuna affinità è riscontrabile tra i due gruppi di Lieder. Quelli di Webern tendono infatti a decantare l'intervallo da ogni residuo espressivo in senso tradizionale, mentre quelli di Dallapiccola tendono a concentrare nell'intervallo un massimo di espressività. Così in questi Goethe-Lieder la distaccata levità goethiana entra in conflitto con la pregnanza dell'invenzione dallapiccoliana, che s'incarica per parte sua di portare alla luce il sotterraneo impulso demoniaco di quella poesia.

Boris Porena

Testo

I
In tausend Formen magst du dich verstecken,
Doch, Allerliebste, gleich erkenn ich dich;
Du magst mit Zauberschleiern dich bedecken,
Allgegenwärt'ge, gleich erkenn ich dich.
Anche se in mille forme ti nascondi,
subito, amata mia, ti riconosco;
anche se di magici veli ti ricopri,
onnipresente, io ti riconosco?
II
Die Sonne kommt! Ein Prachterscheinen!
Der Sichelmond umklammert sie.
Wer konnte solch ein Paar vereinen?
Dies Rätsel, wie erklärt sich's? Wie?
Sorge il sole: spettacolo superbo!
Falce di luna, lo racchiude.
Tale una coppia, chi l'ha unita?
Quale la spiegazione dell'enigma, quale?
III
Lass deinen süssen Rubinenmund
Zudringlichkeiten nicht verfluchen:
Was hat Liebesschmerz andern Grund,
Als seine Heibung zu suchen?
Non maledica la tua bocca di rubino
confidenze insistite:
che altro fine ha il mal d'amore
se non la propria guarigione?
IV
Möge Wasser, springend, wallend,
Die Cypressen dir gestehn:
Von Suleika zu Suleika
Ist mein Kommen und mein Gehn.
L'acqua te lo dica, impetuosa,
te lo dicano i cipressi:
da Suleika a Suleika
è il mio andare, il mio venire.
V
Der Spiegel sagt mir: ich bin schön!
Ihr sagt: zu altern sei auch mein Geschick.
Vor Gott muss alles ewig stehn,
in mir liebt ihn für diesen Augenblick.
Dice il mio specchio: sono bella!
Dite voi: anch'io sarò vecchia un giorno.
Davanti a Dio valgon le cose eterne,
amatelo in me per quest'istante.
VI
Kaum dass ich dich wieder habe,
Dich mit Kuss und Liedern labe,
Bist du still in dich gekehret;
Was beengt und drückt und störet?
Ti ho appena ritrovato
e ti offro baci e canti,
ma tu resti chiuso in te;
che ti opprime, ti disturba?
VII
Ist's möglich, dass ich, Liebchen, dich kose,
Vernehme der göttlichen Stimme Schall!
Unmöglich scheint, immer die Rose,
Unbegreiflich die Nachtigall.
E' realtà, amore, che io ti carezzo,
che ascolto il suono della tua voce divina?
Impossibile pare sempre la rosa,
incomprensibile l'usignolo.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 marzo 1965


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Ultimo aggiornamento 16 gennaio 2016