Due pezzi per orchestra


Musica: Luigi Dallapiccola (1904 - 1975)
  1. Sarabanda - Lento; flessibile
  2. Fanfara e fuga - Mosso, ma non tanto
Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti (2 anche controfagotto), 4 corni, 3 trombe, 2 tromboni, basso tuba, timpani, 3 patti, tam-tam, tamburo militare, tamburo, grancassa, 2 arpe, xilofono, celesta, pianoforte, archi
Composizione: 1947
Prima esecuzione: Radio Londra, 3 novembre 1947
Edizione: Suvini Zerboni, Milano, 1948
Dedica: ai primi esecutori del brano
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I Due pezzi per orchestra (1947) sono la versione orchestrale dei Due Studi per violino e pianoforte composti nel medesimo anno ed eseguiti per la prima volta dal duo Dallapiccola-Materassi a Basilea il 9 febbraio 1947. Non è escluso però che la prima idea di quest'opera a due facce presupponesse un organico orchestrale, se è vero che essa nacque da una commissione mancata, non per colpa dell'autore: scrivere la musica per un documentario su Piero della Francesca per conto di una costituenda (e mai costituita) società cinematografica. La circostanza contingente, come spesso accade, fu soltanto un impulso che si concretizzò in tutt'altra direzione.

Dal punto di vista formale, la composizione è un dittico a contrasto: Sarabanda; Fanfara e Fuga. Il ricorso a forme tradizionali barocche quali la Sarabanda (di cui Dallapiccola riprende la caratteristica essenziale, lo schema ritmico ternario con la seconda nota puntata) o la Fuga è un atteggiamento tipico dello stile dallapiccoliano di quegli anni, già riscontrato in un capolavoro di concentrazione espressiva e di alto magistero stilistico come Ciaccona Intermezzo e Adagio per violoncello solo (1945): in quell'atteggiamento non vi è alcun intento arcaizzante o neoclassico, bensì un legame, tanto intimo quanto fertile di sviluppi, con principi costruttivi e mezzi espressivi in grado di assicurare equilibrio di contorni e contrasto di accenti all'interno di un linguaggio modernamente avanzato, qui ancora allo stadio sperimentale ma già chiaramente delineato. Sulla strada verso la dodecafonia i Due Studi (e la relativa trascrizione orchestrale) sono una tappa importante proprio perché, implicando un rapporto con forme consolidate del passato, testimoniano la continuità del presente ed esplorano le risorse del nuovo territorio, nel quale Dallapiccola si sarebbe poi spinto con risolutezza e decisione matura.

In questo lavoro il sistema dei dodici suoni è impiegato «molto liberamente», secondo l'ammissione dell'autore. Il materiale di partenza è costituito da due serie strettamente connesse fra loro. Continua Dallapiccola (da una nota esplicativa dei Due pezzi per una esecuzione americana del 1963): «La serie A con la quale inizia la Sarabanda (volevo chiamarla Sarabanda bianca, ma ho eliminato l'aggettivo all'ultimo minuto per non cadere nel letterario), diventa per moto contrario il controsoggetto della Fuga, mentre il secondo tema della Sarabanda basato sulla serie B, si trasforma nel soggetto principale della Fuga. Anche la breve Fanfara posta a metà che serve da introduzione alla Fuga, utilizza la serie B. Nella Sarabanda l'indicazione dinamica predominante è 'pianissimo' (un solo passaggio di tre note è scritto 'mezzo forte' e anche 'diminuendo'), mentre nella Fanfara e Fuga si va dal 'forte' al 'fortissimo', mai 'mezzo forte'». Il rigore costruttivo, punto d'impegno nella poetica dallapiccoliana, si fonde qui con una flessibile articolazione degli elementi compositivi, valorizzando l'aspetto melodico nella dimensione orizzontale e quello timbrico nella misurata disposizione armonico-verticale, che procede per sfumate differenziazioni all'interno di blocchi nettamente contrastanti (anche, come si è letto, sotto il profilo agogico e dinamico).

Nel passaggio dalla versione per violino e pianoforte a quella orchestrale si perde una certa perentorietà della scrittura strumentale (soprattutto dell'individuale brillantezza della parte violinistica, che racchiude le più ampie risorse in fatto di tecnica e di fraseggio) e della stessa granitica solidità strutturale del disegno compositivo, condensato ed evidenziato dal pianoforte; si acquista però assai in fatto di spazialità sonora, di rilievo formale e di varietà timbrica, al punto che il lavoro non soltanto muta di veste ma acquista anche una nuova identità. Non è certo casuale a questo proposito che l'autore trasformasse il titolo da Studi (il che implica un accento sull'aspetto tecnico-meccanico e sulle finalità didattiche, per quanto trascese da altri e più rilevanti valori artistici) a quello più neutro e comprensivo di Pezzi, brani nei quali le difficoltà e le esigenze di ordine tecnico sono distribuite e suddivise fra i diversi strumenti e gruppi orchestrali (l'organico prescelto è quello della grande orchestra, con forte presenza di percussioni ad assicurare lo smalto dello sfondo timbrico e ritmico). La fantasiosa immediatezza e lo spicco veemente degli Studi - soprattutto se legati alle esecuzioni inarrivabili di Dallapiccola con Materassi - cedono dunque il passo a una più studiata e misurata articolazione degli eventi sonori, a una più calibrata coesione degli effetti timbrici: nella quale tuttavia il senso di orchestrazione latente nella prima stesura si chiarisce e si esplica fin nei minimi dettagli, arricchendosi di particolari impliciti nel processo compositivo (la plasticità a tutto tondo della Fanfara sottolineata dagli ottoni; la fisionomia della Fuga più completa e compiuta nella molteplicità delle variabili proposte timbriche dei temi e dei divertimenti).

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Questa composizione del Dallapiccola è la versione orchestrale, aumentata e modificata, dei «Due studi» per violino e pianoforte scritti nel 1946-47 ed adottanti la tecnica compositiva dodecafonico-seriale. Il prima brano si intitola Sarabanda e trae da questa antica danza di origine arabo-moresca la sua fisionomia metrica, basata sul piede ternario detto jonico e caratterizzato dall'accentuazione dei primi due tempi, e la simmetricità della struttura ritmica, procedente per dipodie, cioè di due in due battute, secondo lo schema delle sarabande corelliane. L'atmosfera espressiva del pezzo è sognante e fantasiosa, nelle sue velate sonorità modulate dal pianissimo al mezzo piano; il suo carattere, del resto, risulta dalle indicazioni che s'incontrano lungo la partitura: «quasi parlando»; «sottovoce, velato»; «molto espressivo»; «dolcissimo»; «come un soffio, flautando»; «con fantasia»; «sognando». In opposizione al primo, il secondo pezzo - recante il titolo di Fanfara e Fuga - si svolge con una violenza ottimistica che fa risplendere l'ultimo accordo come un'affermazione vittoriosa ed energica: vi figurano le indicazioni: «tumultuoso»; «furioso»; «marcato»; «pesante»; «forte, sempre martellando».

«Grazie a una superlativa padronanza della tecnica dodecafonica - scrive Roman Vlad, tracciando il profilo del musicista istriano - Dallapiccola è riuscito a piegare i mezzi formali offerti da codesto sistema all'espressione di una gamma di significati di una ricchezza quale forse nessun altro compositore dodecafonico è riuscito mai a realizzare».

Nicola Costarelli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, 5 giugno 1984
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 24 aprile 1960


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Ultimo aggiornamento 23 gennaio 2014