I Sex Carmina Alcaei, secondo pannello dei tre che compongono le Liriche greche, seguono la traduzione di Salvatore Quasimodo edita a Milano per i tipi di Corrente. La musica italiana di quel tempo incontra fondamentali derive, anche, del nostro gusto letterario.
L'opera nasce nel 1943, dopo la rivelazione di Volo di notte, un anno prima dell'inizio, a Firenze, del lavoro al Prigioniero. Pochi mesi sono trascorsi dall'incontro con Anton Webern. Quel colloquio, voluto dal nostro compositore in coda ad una tournée concertistica mitteleuropea, ribadisce le ragioni di un'amicizia e di una devozione che culminano nel 1945, anno estremo della vita di Webern, nella dedica al compositore austriaco - «con umiltà e devozione» - del ciclo delle Liriche greche.
L'appuntamento viennese completa il trittico delle relazioni con i dodecafonici mastri cantori, dopo la scoperta, per Dallapiccola ventenne come per l'anziano Puccini, del Pierrot lunaire di Schönberg, ascoltato a Firenze nel 1924 diretto dall'autore, e l'intensa relazione creativa, negli anni Trenta, con l'organizzato, pudico lirismo di Alban Berg. Scriverà Dallapiccola ripensando a quel periodo noto, nei testi di storia patria, come "il ventennio": «Non avendo contatti con i maestri del dodecafonismo (per circostanze politiche), affrontare quella problematica mi apparve come un'avventura. Per chi voleva seguire una tale via, ci volevano circa trent'anni, ed in mancanza di libri che spiegassero tale sistema, era possibile commettere degli errori, ma anche scoprire qualcosa per caso. Soprattutto, bisognava avere fiducia nel proprio istinto piuttosto che nelle regole, scritte o orali».
L'errore, la deviazione dalla norma, genera conoscenza, consente di lasciare emergere l'individualità espressiva, qualora esista.
Il valore di frammento di questi Carmina appare accentuato dalla prescrizione esecutiva apposta dall'autore: «Una voce canenda, nonnullis comitantibus musicis». È la via italiana alla serie, una strada intrecciata di fioriture madrigalesche, di abbandoni vocali debitori a un weberniano aspetto "sidereo" del timbro (come acutamente notò Armando Gentilucci), quanto a una tradizione, molto italiana in quello scorcio di Novecento, di riacquistata purezza neoclassica, nella scrittura strumentale quanto nella vocalità.
In questa musica che prova a essere algida, quanti momenti troviamo di passione, congrui alla poesia rapinosa e brevissima, densa di immagini, di Alceo: la sensualità immaginata della «mirra», che qualcuno spargerà su un capo gravato dalla sofferenza, dell'«olio profumato» che si spalmerà sul petto. Desideri visti, sfiorati e accarezzati via in un soffio strumentale; l'avvio armonicamente misterioso, orientaleggiante nei colori, di «Io già sento primavera». Webern o Ravel, in questa accuratissima clarté, nella quale Roman Vlad vede il persistere inconfondibile del suo «gusto per la qualità del suono»? Il riaffiorare di una tradizione prebarocca, il gusto di un dettaglio coloristico quattrocentesco, di un fondo dorato che rischiara una superficie levigata.
Anche il grido è rappreso, non esibito, nella progressione violenta delle «rive dello Xanto», tumulto di vita che sgorga in ricco disordine e presto si organizza, placando il furore della scrittura, quando la voce torna a lambire le immagini. È questa essenzialità così ragionata e palpitante a rimanere eredità vivissima del testo di Dallapiccola.
Sandro Cappelletto
La lettura dei Lirici greci nel ripensamento poetico di Salvatore Quasimodo rappresentò per Dallapiccola uno stimolo creativo interessantissimo e, durante gli anni difficili della guerra, un conforto e un'oasi di serenità. Ne nacquero fra il '42 e il '45 i tre cicli delle Liriche greche, di cui i Sex Carmina Alcaei, composti per secondi nel 1943, costituiscono nella disposizione definitiva la conclusione. I sei brevi frammenti di Alceo sono trattati come una sequenza di canoni basati su una serie di dodici note, partendo dai canoni più semplici fino ad arrivare al doppio canone per moto contrario e al canone cancrizans, ossia per moto retrogrado. «A quel tempo», scrive Dallapiccola, «quello che maggiormente m'interessava nel metodo dodecafonico era lo studio di nuove possibilità melodiche. Scelsi pertanto forme completamente contrappuntistiche». Anche in questa indicazione, dunque, si rivela uno degli aspetti essenziali della poetica dallapiccoliana, l'intento di sottomettere le strutture compositive più sofisticate e complesse alle ragioni dell'espressività, della più limpida evidenza sonora, sotto il profilo sia vocale che strumentale.
Il titolo e i sottotitoli, espressamente imposti in lingua latina, sono un'ulteriore prova di quel distanziamento dall'attualità, così tipico di Dallapiccola, che sottintende invece una profonda, commossa partecipazione agli eventi dell'uomo e agli stati d'animo del momento. E in questo senso i poeti greci, con la loro «perfetta serenità», vanno intesi come una cartina di tornasole in cui si specchia la ricerca del compositore moderno, turbato ma non sopraffatto da avvenimenti drammatici. Si chiarisce così anche il significato della dedica: «Quest'opera, dedicata ad Anton Webern nel giorno del suo sessantesimo compleanno (3-12 1943), offro oggi, con umiltà e devozione, alla di Lui memoria». Questa dedica è datata 15 settembre 1945, il giorno in cui Webern morì.
Sergio Sablich