Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore


Musica: Anton Bruckner (1824 - 1896)
  1. Adagio - Allegro (si bemolle maggiore)
  2. Adagio. Sehr langsam (molto lento) (re minore)
  3. Scherzo. Molto vivace (re minore)
  4. Finale: Adagio - Allegro moderato (si bemolle maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: Prima versione: 1875 - Vienna, 9 agosto 1877; Seconda versione: 1877 - 1878
Prima esecuzione: Graz, Thalia Theater, 8 aprile 1894
Edizione: Doblinger, Vienna, 1896
Dedica: al ministro Karl Stremayr
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La prima versione della Sinfonia n. 5 venne terminata da Bruckner il 9 agosto 1877, ma fu eseguita solo l'8 aprile 1894, a Graz, sotto la direzione di Franz Schalk. Bruckner ne fece successivamente una revisione nel 1878, e questa venne eseguita nel 1935, a Monaco, direttore Hausegger.

Ritornando per una volta alla consuetudine di molte sinfonie classiche (Haydn, Mozart, Beethoven), Bruckner apre questa Sinfonìa con una introduzione lenta prima dell'Allegro caratterizzata da un pizzicato dei bassi, da una distesa linea i centrale degli archi, da un breve unisono e corale di ottoni. L'Allegro entra quasi senza cesura con un altro corale cui succede il primo tema (archi, poi fiati, in progressione) e un secondo in pizzicato. Questi due temi e un terzo (più altri elementi) vengono in seguito alternati o elaborati con materiale dell'introduzione, lungo un discorso ricco di contrasti e di diversioni: procedere, questo, tipico in Bruckner e che da questa sinfonia in poi si accentuerà sempre più, mostrando un allontanamento dalla abituale dialettica sonatistica, apparentemente soppiantata da ripetizioni, cesure, disarticolazioni, unisoni clamorosi e progressioni. Pizzicati anche in apertura dell'Adagio introducono a una melopea dell'oboe (poi di altri legni e degli archi); segue la larga melodia (archi) del secondo tema che spazia dal centro al sopracuto, liricamente, prendendo poi aspetto quasi di corale con sempre più accesa sonorità. Questi elementi si alternano assumendo vari aspetti, a volte di rude sonorità, attraverso progressioni modulanti, fino alla conclusione rarefatta in pianissimo, simile all'inizio. Lo Scherzo accelera il primo tema dell'Adagio dandogli un affanno quasi tragico con asimmetrie ritmiche; un Trio, che costituisce piuttosto un'idea supplementare, si distende con carattere danzante e agreste (fa maggiore), e sfocia poi nella ripresa dello Scherzo senza cesure. Segue un breve secondo Trio, più crepuscolare (corni, legni), con inattesa perorazione di ottoni. Il motivo dello Scherzo e del primo Trio si alternano poi variamente, contrastando, fino a una chiusa in rapido crescendo. Il Finale inizia ripetendo l'Adagio iniziale della sinfonia e il primo tema dell'Allegro e dell'Adagio successivo; quindi scandisce un motivo quasi di marcia (Allegro moderato), seguito subito da un motivo rapidamente contrappuntato. Il contrappunto, già elemento fondante in Bruckner, trova in questo finale grandioso una vera apoteosi: dopo accelerazioni e rarefazioni del primo tema, un solenne corale modulante degli ottoni sfocia in un vasto procedimento fugato con pause iniziali spaziate: ne nasce una estesissima fuga a due soggetti cui segue uno slanciato episodio su motivi cantabili, luminosi e una ripresa del tema principale del primo tempo, con movimento trascinante. Il corale ritorna poi, sovrapposto al primo tema, per dominare in una imponente, raggiante conclusione.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La vicenda dell'ultimo periodo della vita di Bruckner si riassume nella storia delle sue Sinfonie, proprio considerando l'immutabile comportamento provinciale del nostro: non certo ignorato, anzi individuato a personaggio stravagante, quasi consentito (e la copiosa caricatura ne è l'indice certo) dal costume già decadente della cultura viennese. Ma la regolarità fin monotona della sua esistenza venne presto interrotta da due viaggi in Francia e in Inghilterra, che levarono la sua fama d'organista alla ribalta europea. Era stato l'imperatore a designarlo come rappresentante austriaco per l'inaugurazione del nuovo organo a Nancy (nella chiesa di Saint-Epvre, ove erano sepolti gli antenati della dinastia Asburgo-Lorena). «Così poco profeta nel mio paese» - scrive ad Herbeck il 30 aprile 1869 - «ho finalmente trovato qualcuno che riconosce quello che sono!». Il costruttore dell'organo, Merklin-Schutze, invita tosto il musicista a Parigi per provare il celebre Cavaille-Coll a cinque tastiere di Notre-Dame. Dopo l'esibizione dell'8 maggio, il musicista incontra Gounod, Auber, Thomas, Saint-Saëns e forse Franck che a turno lo vogliono ospite. Due anni dopo, quando il musicista è nella capitale viennese in compagnia di «Frau Kathi» (l'operosa e provvida governante Katherina Kachelmayer, subentrata all'adorata sorella «Nani», appena morta), Bruckner viene ancora designato come organista all'Esposizione Universale di Londra per l'inaugurazione del grande strumento della Royal Albert Hall. Dopo vari concerti (anche al Chrystal Palace), viene applaudito da «maestro perfetto, degno della patria di Haydn e Mozart», com'egli scrive all'amico Mayfeld il 23 agosto, aggiungendo: «come discesi dall'organo, una lady mi ha proposto di imparare l'inglese per sposarla, ma io l'ho trovata troppo poco di mio gusto e l'ho piantata là». Né Bruckner comprese mai, forse, il senso di questa sua franca risposta quando gliela proferirono le non poche donne corteggiate nella sua vita. A Londra Bruckner non ebbe contatti artisticamente importanti come a Parigi, ma certo la ritrovata stabilità delle proprie intenzioni gli si definì proprio durante queste impreviste e uniche tournées (suonerà infatti solo in Germania e Svizzera, spingendosi fino a Chamonix, dieci anni dopo), ove l'evasione prima fantasticata e ora esperita direttamente gli serve a guardare il mondo con interesse ma non a desiderarlo; la breve avventura di questo musicista invecchiato anzi tempo e ancor giovane in maturità si risolse dunque in una conclusione operativa, con l'abbozzo del Finale della Seconda Sinfonia, iniziato proprio a Londra.

A Vienna, tuttavia, l'ambiente austero del Conservatorio non simpatizza con lui, sebbene il suo insegnamento, ricco di elementari virtù propedeutiche, gli assicuri una schiera di allievi devoti, quali i fratelli Schalk e Felix Mottl. Il motivo di questo atteggiamento è la amicizia crescente per Wagner che, appena giunto a Vienna nel maggio 1872, grida al nostro: «Venite qui, il vostro posto è presso di me». Una frase importante, che però conferisce a Bruckner l'etichetta di fazioso. Ecco infatti che nella sua Terza Messa, che piacque a Liszt (si era «redento» dopo l'ascolto), Hanslick rilevò certa nefasta influenza wagneriana, sottolineando la «forma troppo prolissa» della Seconda Sinfonia, diretta dallo stesso musicista il 26 ottobre 1873. Ma a quel tempo Bruckner aveva già quasi ultimata la Terza Sinfonia e da Marienbad, ove si trovava in vacanza, si era recato in settembre a Bayreuth per offrire l'opera in visione e in omaggio a Wagner. «Gettate almeno un colpo d'occhio sui temi», chiese all'indaffarato e sgarbato maestro che, notato il tema iniziale della tromba («Bruckner, die Trompete», lo chiamerà più tardi), gli dice di tornare nel pomeriggio. Quando si ripresenta, dopo aver visitato l'erigendo teatro e la futura casa dell'operista, insomma la costruzione del suo imperioso dominio, Wagner lo guardò a lungo senza proferir parola: poi, racconta Bruckner, lo abbracciò ripetutamente dicendogli con calore che la Sinfonia era un capolavoro, che era troppo onorato di accettare la dedica, brindando infine al suo successo. In verità, questo atteggiamento benevolo e protettivo ha sempre occultato e mistificato la degnazione di un monarca verso un suddito fedele.

Mentre resta inattesa una sua domanda di costituire una disciplina universitaria di teoria musicale, ed è conclusa la Quarta Sinfonia, entra in scena come suo diretto avversario Johannes Brahms che, da poco insediato a Vienna, seguiva non senza fastidio e forse invidia la «febbre segreta della sinfonia» che colpiva il nostro musicista cinquantenne, intento già alla Quinta Sinfonia. «Non ho poi che il Conservatorio, di cui non si può vivere... Andrei volentieri all'estero... Se potessi andare in Inghilterra! Questa è la situazione», scrive a Mayfeld il 12 gennaio 1875. Ma ancora una volta interviene Wagner che, appena giunto a Vienna, obbliga i Filarmonici a programmare la Terza Sinfonia, a lui dedicata.

Malgrado Wagner, o meglio per causa sua, la musica di Bruckner non viene eseguita, essendo l'ambiente viennese diviso dalle fazioni dei "bramini" e dei wagneriani. Il vertice più acceso del dissidio si verificò proprio nell'esito disastroso della Terza Sinfonia (16 dicembre 1877), diretta mediocremente dallo stesso autore, a petto del successo riportato, pochi giorni dopo, dalla Seconda, di Brahms (30 dicembre): accolta e seguita con derisioni e strepiti, col pubblico che abbandona la sala, laddove solo una diecina di persone l'ascoltano per intero. Tra queste, Mahler e Krzyzanowsky tentano di consolare il musicista che così risponde: «Lasciatemi andare, la gente non vuol saperne di me»; e con loro c'è anche l'editore Theodor Rattig che gli propone la pubblicazione dell'opera, che sarà effettivamente la sua prima sinfonia pubblicata. Contrariamente al previsto, Hanslick è cauto sui valori di quest'opera: «Ci rincrescerebbe molto arrecare un dispiacere al compositore da noi sinceramente stimato come uomo e come artista, perciò preferiamo confessare in tutta modestia che non abbiamo capito la sua gigantesca Sinfonia». Ma poi lo stesso critico suggerisce perfidamente di togliere al musicista la carica universitaria di armonia e contrappunto ottenuta nel 1875 grazie al suo futuro biografo Göllerich.

Seguono anni di attesa e di revisioni pazienti d'opere, mentre a Vienna scatta la cospirazione del silenzio. Ma attorno a Bruckner, intento a comporre il Quintetto d'archi (1879) e la Sesta Sinfonia, si schierano alcuni giovani e valenti musicisti, personalità quali Mahler e poi Hugo Wolf: e lentamente giungono i riconoscimenti e i consensi. Il 20 febbraio 1881 il grande direttore Hans Richter decide di eseguire la Quarta Sinfonia "Romantica" che ottiene successo: in tale occasione Bruckner sigla il suo inalterabile ritratto col gesto più noto, di quasi leggendaria semplicità d'animo, donando cioè un tallero, dopo la prova generale, al direttore dicendogli: «Prendete e bevete una birra alla mia salute!». Il 1882 è l'anno dell'addio a Wagner, che raggiunto a Bayreuth il 24 luglio in occasione della prima assoluta di Parsifal, s'intrattiene con lui dicendogli, forse sinceramente: «Contate su di me. Le vostre opere le eseguirò io stesso, capite?». Al che Bruckner, osservando le sue mani agitate da funesti tremiti, gli si inginocchia davanti e Wagner lo congeda: «Calma, Bruckner, e buona notte», non senza proferire questo autorevole giudizio: «Io non conósco che un uomo che può avvicinarsi a Beethoven! Bruckner». Ma Richter a Vienna non osa riproporre sue opere, coraggio che tocca a Wilhelm Jahn che presenta l'11 febbraio 1883 l'Adagio e lo Scherzo della Sesta Sinfonia con un successo così commentato dal musicista l'indomani al Conservatorio: «Ragazzi, ieri è stata una giornata gloriosa!». Ma dopo questa piccola gioia, ecco giungergli la notizia della morte di Wagner a Venezia, il 13 febbraio. Notizia presentita da Bruckner, che stava componendo l' Adagio della Settima Sinfonia: «Oh, quante lagrime ho versato... Non era soprattutto a me che veniva tolto? Ho terminato l'Adagio come una vera marcia funebre alla memoria del maestro». Non a Vienna ma a Lipsia doveva giungergli il più caloroso consenso, allorché il grande direttore Arthur Nikisch diresse la Settima Sinfonia il 30 dicembre 1884 confessando a Schalk, durante le prove dell'Adagio: «Da BeethoVen in poi nulla di simile è stato scritto». Un successo che si doveva ripetere anche a Vienna ancora con Richter (21 marzo 1886) che esegue anche il Te Deum, lodato da Hanslick che nondimeno giudica «artificiose, torturate e deleterie» le sinfonie del maestro benché «a tratti sapienti, geniali, interessanti». La corrente hanslickiana domina, ma ora la battaglia è aperta, se Hugo Wolf giudica il musicista «un titano in lotta con gli dei», se Paul Heise gli scrive da Monaco che la Settima è una delle «supreme manifestazioni del genio», se anche il vecchio Liszt paragonò la Settima a Beethoven. Quanto a Brahms giudicava Bruckner «un pover'uomo privo di senno», ottenendo dal nostro questo più pacato giudizio: «È un eccellente musicista che sa il suo mestiere, ma non ha temi».

Il sinfonismo di Bruckner poggia sulla forma-sonata, come esigenza normativa ed eterna, ma certo è notevole l'agio con cui sa situarsi d'improvviso e isolatamente nell'arte europea, in un'epoca in cui la concezione sinfonica pareva isterilita e disertata. Fin dalle prove sinfoniche iniziali Bruckner pare che accordi una svariata tradizione (le immissioni stilistiche disparate: da Haydn a Beethoven fino ai romantici) a un mondo già suo: che sembra definirsi nell'assimilazione come nell'esaurimento, che pare complicarsi di sollecitazioni eteronome (la musica a programma, l'ufficio sacro), tentando insomma una dimensione spirituale ambigua, certo inquietante nella sua intenzione di tutto riunire ed esaurire. Segnata da due indici, sommariamente, la vicenda stilistica del sinfonismo bruckneriano (le prime cinque opere informandosi al primo Romanticismo; le altre sei, a partire cioè dall'unica sinfonia intitolata, la Romantica, propendendo a espressioni più articolate) si avverte l'esigenza di una sincretistica commistione tra sacro e profano, tra Classicismo e Romanticismo. La presenza del "corale" sinfonico riesce allora chiaro indice di un'elezione culturale che si riporta alla Sinfonia "Riforma" di Mendelssohn e magari all'episodio di Colonia nella "Renana" di Schumann e che s'avvicenderà in molto sinfonismo tardoromantico e fin moderno, da Francke a Mahler, da Hindemith a Sostakovic; ma la coesistenza che si diceva trova il suo emblema più esplicito nel Finale della Terza Sinfonia, con la polka che s'innesta a perfezione sulla grave accordalità appunto del corale. Gli è che Bruckner, nella sua recognizione sinfonica, sembra scomporre, con analisi fin spietata e col coraggio di continue approssimazioni, quanto il Romanticismo aveva addensato, fin esaurito e che poi ancora difendeva con Brahms: anzitutto la dialettica del bitematismo, che egli amplia con l'adozione di un terzo tema e poi la virtualità espressiva, conseguente alla lezione della Nona beethoveniana: non immissione della vocalità fisica (che sarà retaggio mahleriano), ma interpretazione della cantabilità annidata nella configurazione motoria e quasi parlante di molti passi strumentali, soprattutto all'energia inesauribile dello Scherzo e alla confessione diretta dell'Adagio.

Ora, l'investitura di seguace di primo rango del wagnerismo (confortata dalla dedica devota della Terza Sinfonia nonché dalla marcia funebre nell'Adagio della Settima) conferisce a Bruckner un ruolo oltretutto inadeguato, se la sua musica fu spiritualmente lontana da Wagner per tradizione nonché per impieghi timbrici: basti pensare all'organizzazione sonora per famiglie, diremmo quasi per registri d'organo. Bruckner invece mosse da un Romanticismo europeo assai articolato e tutto riverberato di sollecitudini, ove l'influenza di Wagner fu rassicurante ma non determinante, da venir superata, nelle ultime due Sinfonie, con chiari presagi espressionistici (evidente la parentela tra l' Adagio della Nona Sinfonia con quelli della Nona e Decima di Mahler). Una venata tentazione melodrammatica può apparire nella Quarta Sinfonia, solo avvertibile in certi turgori retorici o in lunghi passi elegiaci, che Bruckner era refrattario così all'opera come al poema sinfonico, pur diffuso ai suoi tempi e da lui semmai inteso con bonaria parodia, come mostrano le didascalie sulla partitura della Quarta Sinfonia o l'ingenua raffigurazione del "Michele tedesco" esibita nello Scherzo dell' Ottava. Segni caratterizzanti della maturità bruckneriana sono piuttosto: il costante presagio d'attesa (il "tremolo" con cui iniziano molte sue Sinfonie, che mette in luce il tema, germogliato quasi dalla terra), la ricerca scoperta di peso sonoro, come voce di energia terrena (soprattutto negli Scherzi) e il carattere naturalistico che, unendosi alla religiosità, sfocia nel misticismo, nel respiro cosmico, in un nuovo spazio interiore.

* * *

Le varie denominazioni attribuite alla Quinta Sinfonia in si bemolle maggiore sono già la testimonianza estrinseca della sua presenza isolata, eccezionale in tutta la pur unitaria produzione bruckneriana: fu così definita «fantastica» (ma non per qualche relazione, anche lontana, con la celebre Sinfonia di Berlioz), fu denominata «tragica» dal Göllerich e dall'Auer, più gratuitamente, «Sinfonia dei pizzicati». Nessuna di tali definizioni è consona o quantomeno prossima allo spirito dell'opera, ma giustifica tuttavia la preoccupazione di individuarla almeno indicativamente quanto a struttura ed atteggiamento spirituale nel quadro complessivo del sinfonismo bruckneriano. È indubbio infatti che più di ogni altra la Quinta Sinfonia palesa, accanto ad accesi contrasti timbrici e dinamici, una altrettanto avveduta e puntigliosa attenzione contrappuntistica, un'altrettanto accurata connessione tematica: e proprio per questo, rispetto all'esuberante Sinfonia "Romantica", questa più imponente ed estesa Quinta (composta tra il 1875 ed il 1877) appare quasi paradossalmente più sobria e severa, anche più segreta, insomma più classica. La saldezza strutturale trova un logico corrispettivo nell'incoercibile forza espansiva di questo monumento sinfonico: una norma etica quindi che trascende la patetica e solitaria esistenza del musicista.

A differenza di tutte le altre sinfonie, la Quinta inizia, in ottemperanza al formalismo della scuola classica viennese, con un'introduzione lenta: vasti propilei animati contrappuntisticamente da vari episodi susseguentisi senza interruzione che costituiranno gli elementi tematici capitali di tutta l'opera. Il vasto Allegro successivo si articola in tre temi: ventoso e tenero il primo, sorretto dal consueto tremolo d'archi e poi votato a cadenze imperative; sommesso e cantabile il secondo che dapprima offre strette analogie tematiche con l'Andante della "Romantica" e perfino della Seconda Sinfonia, animandosi poi sullo slancio d'una fanfara vittoriosa e così giungendo al terzo tema, vigorosamente ritmato. Tutto avviene però senza stacchi né scosse, per l'incredibile risorsa di combinazioni e trasformazioni tematiche che conferiscono al tutto un rigore dialettico nuovo: come si nota nell'intensa sezione dello sviluppo che prova, nella svariata combinazione tematica ed agogica, la volontà costruttiva di Bruckner, qui particolarmente marcata, nonché una capacità di elaborazione che è stata avvicinata a Brahms, seppur calata in un contesto di maggior respiro.

L'Adagio ripristina una dicotomia espressiva coi due suoi temi che, variamente elaborati, articolano tutto il movimento, atteggiandosi a momenti di grande turgore come di raccoglimento anche flebile, sfiduciato. Dapprima su terzine pizzicate degli archi si installa la tenera melodia dell'oboe, mentre la seconda frase larga e solenne viene esposta con una certa enfasi e voluta forza creando, con l'alternativa della prima, la condizione di nuovi atteggiamenti espressivi, impietosamente tesi ed ininterrottamente drammatici o giubilanti, secondo un itinerario che s'ingigantisce per dissolversi infine nella primitiva atmosfera solitaria (che replica la rarefazione della Quarta con accenti di minor narcisismo psicologico).

Lo Scherzo ripete il primo tema dell'Adagio quasi con turbinoso affanno, proponendo in una fitta tessitura contrappuntistica soggetti secondari, tra cui accenni a Ländler e jodel. Ma la sonorità basilare è sempre inquieta, rapido il moto ed agile la scrittura, insistita ritmicamente a preludio diretto dello Scherzo della Settima: ma con accenti più demoniaci come in certi isolati e collerici accordi o nelle lampeggianti scansioni conclusive. Toni più quieti ha il Trio, arcaizzante e quasi pastorale nel gioco di flauti e corni, indubbiamente atteggiato ad un'eleganza insolita in Bruckner.

Il costruttivismo del primo tempo ritorna vieppiù accentuato nel Finale, definito come "summa" bruckneriana dell'arte della fuga e del contrappunto: forse aleatoriamente, considerando almeno la struttura romantica del movimento. Che Bruckner, certo per cementare l'intera opera in una salda ed unitaria concezione, struttura spontaneamente secondo la forma ciclica, anteponendogli un'introduzione retrospettiva dei tre temi precedenti come nella Nona beethoveniana. Su questo illustre esempio è anche strutturato il primo tema, dalle grandiose movenze di fuga che trapassa alle graziose cadenze viennesi del secondo motivo e più avanti nella maestosità di un corale di fiati. Ma per accennare alla complessità di questo Finale, occorre aggiungere citazioni di tempi precedenti e infine una doppia fuga sul terzo tema nonché, nella "coda", la sovrapposizione del corale al tema principale. Una conclusione grande, solenne, certo una delle più esaltanti affermazioni musicali.

Sergio Martinotti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Strano e singolare destino quello di Anton Bruckner: a cinquant'anni ha al suo attivo alcune sinfonie e musica sacra, ma appena comincia a farsi notare come compositore. Soltanto dopo la composizione e l'esecuzione della «Settima Sinfonia», considerata il suo capolavoro, conosce improvvisamente la celebrità, ha ferventi ammiratori e seguaci che lo oppongono a Brahms e ai brahmsiani sostenuti da Eduard Hanslick, additando in Bruckner il vero continuatore in senso «progressivo» della grande tradizione sinfonica tedesca sulla scorta dell'estetica e dell'ideologia wagneriana. Wagner era sempre stato accusato di aver distrutto la sinfonia per instaurare la dittatura del «dramma musicale»; ed ecco il timido e onesto Bruckner preso a stendardo per dimostrare che la sinfonia è salva nel più autorevole dei modi, contro il tentativo accademico, neoclassico e reazionario di Brahms: realizzando, cioè, nello spirito e in base alle conquiste tecniche di Wagner, quanto Wagner stesso non aveva saputo o voluto attuare.

Alla dialettica caustica di Hanslick, che nella prefazione al suo celebre «Vom Musikalisch-Schönen» (Del Bello musicale), pubblicato nel 1854, aveva bollato Wagner «e la sua teoria della 'melodia infinita', che è quanto dire la 'mancanza di forma elevata a principio', cioè il fumo dell'oppio suonato e cantato», i wagneriani, difesi da Theodor Helm (che pur tuttavia ammirava Brahms ma non tollerava i brahmsiani), salutavano nell'ormai sessantenne organista austriaco, che aveva composto nel silenzio e nella mistica penombra delle cattedrali, l'atteso congiungimento fra la sinfonia beethoveniana e l'esperienza scaturita dalla rivoluzione operata da Wagner nel linguaggio musicale. Alla «mancanza di forma elevata a principio» denunciata in Wagner dal pedante formalismo hanslickiano, Bruckner rispondeva, infatti, con la forma musicale per eccellenza: la sinfonia elevata all'ennesima potenza costruttiva, allargata, ingigantita, resa accessibile, senza infrangerne l'architettura, alla ricchezza espressiva della «melodia infinita» e alla tecnica del leit-motiv»: il che sembrava realizzare nel contempo la massima aspirazione dei romantici.

Tuttavia, malgrado le apparenze, la musica di Bruckner contiene un atteggiamento di «timidezza» che sottende un impegno etico lontano da ogni forma di proselitismo. Proprio come in Brahms. Ma, diversamente da Brahms, tale impegno è un invito a un rapporto affrancato da ogni ansia nei confronti della posizione dell'uomo nella natura, la quale si fa garante, in virtù della sua inesauribile energia, di ogni processo evolutivo futuro. Di qui l'ambiguità del suo linguaggio formale che presenta fratture proprio perché egli lo impiega nella sua compattezza. È il linguaggio d'arte in un clima di frantumazione interiore che, consegnato a Mahler, verrà portato a una diversa soluzione; l'unità in Mahler sarà raggiunta non «malgrado» le fratture ma solo «attraverso» di esse. Si spiega cosi quel senso di monotonia rispetto alla varietà di colori nella successione delle sinfonie mahleriane che contengono una volontà critica estranea al fiducioso atteggiamento del «saggio» Bruckner. Il peso di laceranti frustrazioni si ricompone sempre, in fondo, in un atto di fede anziché esplodere, come in Mahler, in un grido di protesta che dall'uomo si proietta sull'intera società.

Bruckner scrisse complessivamente undici sinfonie ma ne riconobbe solo nove. Scartando infatti la «Prima» in fa minore del 1863 perché da lui considerata troppo scolastica, e confinando la «Seconda» in re minore come «Sinfonia n. 0» («Die Nullte Symphonie»), la numerazione vera e propria inizia con quella in do minore (1865-66). Lo strano e abbastanza macchinoso criterio di catalogazione, che degrada l'autentica «Prima», riconosciuta «a zero» per non oltrepassare il fatidico numero nove del celebre ciclo beethoveniano (e non si dimentichi che anche Beethoven aveva progettato una «Decima» di cui rimangono appunti), è il retaggio di quella superstizione romantica che aveva reso tabù il compimento di una decima sinfonia.

Composta fra il 1875 e il 1877, la «Quinta Sinfonia» è stata generalmente vista dalla critica come «isolata» rispetto a tutte le altre e variamente discussa e giudicata. Basterebbero le diverse denominazioni usate per indicarla: «tragica», «Sinfonia dei pizzicati» e via dicendo. L'unica però che saremmo autorizzati ad adottare è «fantastica», coniata — a detta del Redlich — dallo stesso autore. In effetti la «Quinta» presenta una struttura abbastanza dissimile sia dalla «Romantica», che immediatamente la precede, sia dalla più modesta «Sesta». Si direbbe quasi una significativa anticipazione del più maturo linguaggio, austero e solenne, quale troveremo compiutamente espresso nella «Nona Sinfonia», attraverso il ponte costituito dalla «Settima» e dall'«Ottava»: «summa» — è proprio il caso di dirlo — dell'intera esperienza strumentale bruckneriana, densa di suggerimenti per quanti, compreso Mahler, intendevano operare al di là delle barriere innovatrici wagneriane.

Innanzi tutto nella «Quinta Sinfonia» — come è stato giustamente notato — «accanto ad accesi contrasti timbrici, troviamo una avveduta e puntigliosa attenzione contrappuntistica» (l'Auer ha, per questo, azzardato il parallelo con i «Maestri Cantori»); il che, mentre lo sospinge nella plaga ideale del classicismo viennese, indirettamente pare rivolgere un inconsapevole «omaggio a Brahms» di fronte al quale — stando alla ben nota silhouette di Otto Böhler — Bruckner si era umilmente inchinato a dispetto di chi li voleva l'un contro l'altro armati.

Il primo tempo si snoda in una continua alternanza di «adagio» e «allegro» con i temi che vengono esposti (il primo, subito, sul pizzicato dei violoncelli e contrabbassi) l'uno dopo l'altro senza dar adito a particolari urti sintattici ma impiegando la forma-sonata secondo un andamento piuttosto lineare. All'interno di questo «Allegro» di ampie dimensioni prevale la costruzione «a corale» tipica di Bruckner: blocchi uniformi di sonorità imperiose, annunciate dal gruppo degli ottoni a cui fa riscontro il flebile e sommesso lamento degli archi e degli strumentini.

Una breve coda porta all'«Adagio» del secondo tempo, singolarmente conciso per le abitudini di Bruckner. Qui abbiamo due temi principali: il primo annunciato dall'oboe sul pizzicato degli archi (l'Auer non aveva poi tutti i torti nel definire la «Quinta», «Sinfonia dei pizzicati») e l'altro, di maggior ieraticità e compostezza, scopre di nuovo le carte del solitario e orante Bruckner, il cui mistico narcisismo appare tuttavia semplificato mediante l'uso di materiali distribuiti con eccezionale parsimonia di mezzi. Il clima si fa a volte rarefatto e determinate trasparenze lessicali conducono direttamente all'«Adagio» della «Settima», aprendo inediti spiragli di sfaldamento formale affatto decadente. Improvvisi stacchi a piena orchestra di aggettante sonorità riconducono quindi il discorso nell'alveo linguistico più consono al sinfonismo bruckneriano.

Sullo «Scherzo» — col suo andamento a «Ländler» — aleggia lo spirito schubertiano rivisitato da una sensibilità già premahleriana. Non mancano le citazioni dal vasto repertorio sinfonico ottocentesco (appare perfino, debitamente stravolta, una cellula ritmica dell'«Italiana» di Mendelssohn, subito riassorbita nel marcato e pesante ritmo di 3/4) o le autocitazioni che, ancora una volta, andranno a confluire nel materiale tematico della «Settima». Molte sono, infatti; le analogie fra questo «Scherzo» e quello della sinfonia che abbiamo più volte citato. Il movimento si chiude nella tradizionale sezione a «Trio».

Il «Finale» — come di consueto — è un vasto riepilogo di frasi e temi impiegati fin qui. La linea melodica adottata nelle prime battute del lavoro (il tema iniziale della «Quinta»), è punteggiata adesso da istanti di inaspettato sarcasmo: pulsioni ritmiche che agiscono in profondità con accattivante e corrosiva penetrazione. Smorfie, tuttavia, che il timido organista austriaco è pronto a far rientrare quasi si trattasse di un'imperdonabile leggerezza o, peggio, di un'oltraggiosa irriverenza. Il serioso Bruckner introduce, quindi, una sezione contrappuntata un po' rozzamente e che si dipana, per la verità, in modo abbastanza goffo anche se, al di là del giudizio meramente formale, vengono raggiunti risultati di indubbia efficacia: «crescendo» e «diminuendo» si alternano esprimendo la tipica dinamica bruckneriana dei profondi respiri melodici e delle violente impennate dell'orchestra concepita come un gigantesco organo. Anche qui bisogna notare l'assottigliarsi — a tratti — dello spessore timbrico e il gioco delle rifrazioni armoniche con gli strumenti che paiono sospendersi nel vuoto: corno, flauto che insinuano, smarriti, la loro voce sul tappeto indeciso degli archi. Il contrappunto, fin qui non sfogato compiutamente, risolve in una sorta di maestoso inno in tempo pari, di matrice barocca, nell'ambito convenzionale della concezione religiosa di Bruckner: liturgia ottimisticamente fiduciosa entro la cornice di fastosi apparati processionali secondo il rituale della cultura cattolica dell'impero austro-ungarico.

Della «Quinta Sinfonia» esistono due versioni: la prima, terminata nell'agosto 1877, fu eseguita a Graz l'8 aprile 1894 sotto la direzione di F. Schalk. La seconda versione (revisione) del 1878, rimase chiusa nel cassetto per quasi sessant'anni finché, cioè, Siegmund Hausegger, direttore dell'Akademie der Tonkunst di Monaco, non la fece conoscere nella città bavarese il 28 ottobre 1935.

Fu Roberto Lupi — vero pioniere della «Renaissance» bruckneriana in Italia — a introdurla nel nostro paese e proprio a Firenze, il 3 gennaio 1960 nel Salone dei Cinquecento durante la stagione sinfonica 1959-60.

Marcello de Angelis


(1) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 novembre 1996
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 20 novembre 1976

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Ultimo aggiornamento 25 febbraio 2019