L'op. 21 comprende due serie di Variazioni, n. 1 su un Tema originale (e 11 variazioni) e n. 2 su un Lied ungherese (e 14 variazioni); entrambe completate a Düsseldorf nel 1857, anche se il tema ungherese era già stato annotato da Brahms su un foglio datato gennaio 1853.
La prima serie, l'op. 21 n. 1, testimonia una maturazione già perfetta nell'arco unitario, intenso dal principio alla fine, anzi orientato in modo da sfociare in una meravigliosa "coda", dalla recondita tenerezza, che riassume tutta la composizione inverandola nella sua pienezza spirituale. Il Tema, per l'amabile intimità del gesto cantabile, ha qualcosa del Tema variato da Beethoven nella sua Sonata op. 26; ma è piuttosto all'ultimo Beethoven che Brahms guarda per approfondire la lezione di una serie di variazioni che superi la frammentarietà dei singoli momenti in un unico respiro poetico; la maestria di un "canone in moto contrario" (var. V), la drammaticità di due variazioni in mi minore (la VIII e la IX) muovono solo il quadro, ma non intaccano la profonda unità dell'insieme.
Le Variazioni op. 21 n. 2 si collegano al còté ungherese di Brahms, reso celebre specialmente dalle Danze ungheresi, ma in realtà presente in modo episodico in una quantità di altri lavori; il Tema non ha nulla di zigano, ma con il suo carattere di inno si rifà piuttosto a qualche canto patriottico; è in un robusto re maggiore, ma tutte le prime variazioni, fino alla sesta, sono in re minore, dove qualcosa della "ziganeria" si fa strada: ma sempre infuocata, senza nostalgia, in una scrittura accordale massiccia e corpulenta. Dalla variazione settima, con il Tema al basso "quasi pizzicato", la composizione riassume la tonalità maggiore e in un calcolato crescendo dinamico perviene a una trionfante conclusione: alla fine, la ripetizione tal quale del Tema incornicia la composizione, estroversa quanto la precedente era intima e sensitiva.
Giorgio Pestelli