Trio n. 2 in do maggiore per archi e pianoforte, op. 87


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro (do maggiore)
  2. Thema mit variationen - Andante con moto (la minore)
  3. Scherzo. Presto (do minore) e Trio: Poco meno presto (do maggiore)
  4. Finale. Allegro giocoso (do maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: 1880 - 1882
Prima esecuzione: Altaussee, 25 Agosto 1882
Edizione: Simrock, Berlino, 1884
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dopo il fortunato esordio nella musica da camera ottenuto con la prima versione dell'op. 8, passeranno circa trent'anni prima che Brahms si dedichi nuovamente al trio nel suo organico tradizionale. L'op. 87, a volte criticata per una certa freddezza espressiva e un eccessivo tecnicismo costruttivo, è in realtà uno splendido esempio della maestria compositiva di Brahms, capace di far germogliare scarni frammenti tematici in un intreccio solido ed essenziale.

Dopo un avvio netto e ben scolpito degli archi all'ottava, il primo tema dell'Allegro si scompone in numerosi soggetti tematici, ognuno dei quali viene confermato da brevi progressioni o imitazioni. Anche il secondo tema è in realtà un gruppo tematico, formato da diversi elementi, che tuttavia sono distinti da demarcazioni più nette e definite: così all'iniziale motivo cantabile dal delicato incipit cromatico, fanno seguito episodi con ostinate figure ritmiche sovrapposte a brevi frammenti melodici. Dopo un'iniziale falsa ripresa del tema, lo Sviluppo elabora due soggetti secondari dell'Esposizione, in mezzo ai quali si inserisce un nuovo tema, un affettuoso motivo cantabile mai ascoltato fino a ora, posto a baricentro di tutto il movimento. Nella Ripresa il primo gruppo tematico torna in versione ridotta, mentre il secondo gruppo, trasportato nella tonalità principale, ripropone l'intera successione dei suoi diversi episodi, seguita da una romantica e appassionata rivisitazione del primo tema come coda.

Scarno, asciutto, segnato dalla sonorità alla «ungherese» degli archi a distanza di due ottave, il tema dell'Andante dà vita a cinque variazioni. La prima di queste ha un carattere intimo e colloquiale, sebbene ancora pervaso della mestizia propria del tema, mentre la seconda propone un dialogo tra gli archi più affettuoso e accalorato. Nella terza variazione Brahms evidenzia la particolarità di una cellula ritmica del tema, con un incedere claudicante, incapace di spiccare il volo, dal carattere fiero e volitivo. Solo nella parte finale tutto sembra ricomporsi con dolcezza, tanto che l'ultimo accordo maggiore è come una finestra che si apre al clima sereno e pacato della quarta variazione, l'unica delle quatto scritta in modo maggiore. L'austera malinconia del tema torna nell'ultimo episodio, con la melodia ridisegnata dagli archi ad angoli più smussati, grazie anche al passaggio in 6/8 della precedente variazione.

Il tema dello Scherzo attacca guardingo, tra i serrati ribattuti degli archi e i liquidi movimenti a ottave del pianoforte, dai quali fa capolino, alla quinta battuta, un accenno di melodia sorridente e aggraziata. Questo breve e contrastante nucleo iniziale è il seme che già contiene gli elementi poi dilatati ed elaborati nel proseguio dello Scherzo, mentre a esso fa da contraltare un dolce e affettuoso episodio centrale in modo maggiore.

Analogamente al primo movimento, il Finale è un ricco caleidoscopio di brevi soggetti tematici, racchiusi in tre gruppi tonali, dei quali due hanno numerose affinità ritmiche, mentre il terzo risulta decisamente distinto. Tale ricchezza di motivi si riversa nella grande fucina dello Sviluppo, che ha come punto culminante due robuste declamazioni del secondo tema in modo maggiore. Nella Ripresa, ai tre gruppi tematici si aggiunge un dialogo appassionato tra gli archi, nel quale il primo tema deborda mollemente con valori dilatati, prima di una ultima citazione del secondo tema in maggiore che porta alla conclusione.

Carlo Franceschi De Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Un posto importante nella creazione strumentale di Brahms, che vi si provò assai presto, è occupato dai trii, sei in totale, che per ampiezza architettonica, limpidezza discorsiva, intima compenetrazione tra schemi classici e spiriti romantici vanno collocati tra i lavori che maggiormente testimoniano delle eccezionali facoltà inventive e costruttive del compositore. Solo quattro di questi sono per pianoforte, violino e violoncello. Il primo in ordine cronologico, segnante gli esordi della carriera brahmsiana, è il Trio in si bemolle op. 8, scritto nel 1853-54, nel periodo del soggiorno dell'autore a Düsseldorf, e rimaneggiato nel 1889. Il secondo in mi bemolle op. 40, composto nel 1865 ed eseguito per la prima volta a Karlsruhe il 7 dicembre 1865, concepito in origine per il corno da caccia al posto del violoncello, può in realtà essere suonato dal pianoforte con violino e violoncello, oppure dal pianoforte con violino e viola. Il terzo, op. 81, è in do minore, composto nel 1882 per l'organico più comune di pianoforte con violino e violoncello. Per la stessa formazione strumentale è il Trio in do minore op. 101. Mentre il quinto, in la minore op. 114, scritto nel 1891 dopo l'incontro del musicista con il famoso clarinettista Richard Mühefeld, vuole il clarinetto o la viola al posto del violino. Infine c'è il sesto Trio, quello in la, composto probabilmente verso il 1850-51 e senza numero di opus, in quanto pubblicato postumo nel 1938 a Lipsia.

Il Trio op. 87 non ha mai riscosso larghi favori, come ad esempio il Trio op. 101. Così scarsa fortuna esso ebbe inizialmente da essere definito dal Landormy «un'opera poco riuscita e, stavolta, per confessione dei critici per solito più favorevoli a Brahms», mentre Peter Latham in una sua biografia brahmsiana scrive in una pur sommaria analisi formale: «... Il primo tema pur se intelligentemente costruito in vista dello sviluppo manca di ogni significato estetico e non posso mostrare molto entusiasmo per il movimento che esso introduce specie in mancanza di un convincente secondo tema. Il secondo movimento, variazioni su un tema contenente alcune caratteristiche sincopi, è più aggraziato, particolarmente nella coda dove il cello fa eco al violino. Nello Scherzo la struttura anticipa il terzo movimento della Sonata per violino in re minore. C'è chi trova l'Allegro giocoso conclusivo "pieno di humour e di mistero". Humour c'è ma di una qualità tipicamente tedesca e c'è soprattutto una musica che suona artificiosa...».

Giudizi forse troppo drastici, anche perché sottovalutano quello che sembra il segno distintivo di questo Trio op. 87. Scritto, come è stato detto, nel 1882 esso si colloca tra la Seconda e la Terza Sinfonia; e se da un lato prefigura quel felice ritorno alla musica cameristica che avrebbe caratterizzato l'estrema età brahmsiana, quasi un ripensamento in chiave intimamente poetica delle sue più importanti esperienze compositive, dall'altro si pone come "ponte" tra le due Sinfonie citate. È stato scritto autorevolmente, infatti, che la musica cameristica con pianoforte fu sempre per Brahms «il ponte per giungere alla composizione strumentale in grande stile». Ci sembra di poter dire che il Trio op. 87 risponda ad una analoga funzione: un indispensabile ponte, una sorta di sperimentazione in vitro in un piccolo complesso - ma con l'amatissimo pianoforte in primo piano - dei traguardi musicali che, in una ulteriore ricerca di identità e in una più puntuale individuazione del proprio mondo espressivo, Brahms avrebbe raggiunto con le sue due ultime Sinfonie.

Il primo movimento (Allegro) ha un andamento beethoveniano ed è formato da due temi: l'uno vigoroso ed energico, affidato in un robusto unisono agli archi e l'altro puntato sull'intervento del pianoforte su un accompagnamento di terzine di crome. Questo secondo tema ha una intonazione molto dolce e cantabile, che prelude ad una proliferazione di quattro idee secondarie. Lo sviluppo utilizza liberamente tutto il materiale già esposto e dimostra il perfetto dominio della forma musicale da parte del musicista. C'è una ripresa con la riesposizione dei due temi e il tempo si conclude con una coda ampia e dalla linea brillante.

L'Andante con moto in la minore è costituito da un terna e cinque variazioni. Il terna è una melodia popolare ungherese e da esso si dipartono le variazioni, di particolare varietà espressiva nel rapporto tra archi e pianoforte. Si sa che proprio nella variazione Brahms si ricollegava alla grande lezione beethoveniana e non aveva rivali tra i contemporanei.

Il terzo movimento è uno Scherzo in do minore, leggero e misterioso, inteso come un sommesso parlottio nascosto. La prima parte punta su due episodi paralleli; poi c'è uno sviluppo, seguito da una ripresa del tema e da uri nuovo sviluppo. Il Trio (Presto) in do maggiore presenta un unico terna, molto melodico e cantabile, con il da capo e la coda di fantasiosa spigliatezza timbrica.

L'Allegro giocoso finale in do maggiore contiene elementi sia del rondò che della forma-sonata. È suddiviso in quattro episodi, bene articolati nel gioco tra elementi melodici e ritmici. L'impressione generale che si ricava è di vigorosa energia, nella stretta connessione tra le voci del violino e del violoncello e l'accompagnamento pianistico.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Trio per archi op. 87 in do maggiore, scritto nel 1882, è un capolavoro indiscutibile, e solido nell'implicita coerenza della sua concezione generale. Il 1882 è l'anno a partire dal quale si parla del 'terzo stile' di Brahms, quello della maturità, dei più alti principi formali e dell'estrema concentrazione espressiva (è l'anno del Gesang der Parzen e del Quintetto in fa maggiore per archi). Strano, questo Trio, la cui musica è di eccezionale precisione e nobiltà, piacque poco ai contemporanei (ma Brahms inviando all'editore Simrock il manoscritto gli disse: "Le dico che un Trio così bello Lei da me ancora non l'ha ricevuto e forse negli ultimi dieci anni non l'ha mai pubblicato! ! ! [.. .haben Sic vielleicht in den letzten 10 Jahre nicht verlegt! !!]"). L'Allegro s'inizia con un tema energico e virile dei due archi (si direbbe un gesto beethoveniano), al quale si contrappone una melodia lirica e pensierosa del pianoforte. La felicità dell'invenzione è evidente nella non comune abbondanza di motivi secondari nel corso dello 'sviluppo' (che tanto piaceva a Clara Schumann, come ella stessa scrisse entusiasta a Brahms), nel quale il primo tema predomina variamente elaborato. Il secondo tempo, Andante con moto, consiste in cinque Variazioni (sublime la terza) di un motivo popolare-zingaresco, che Brahms nel corso delle Variazioni trasforma nell'aspetto esteriore ed intrinseco, da una nostalgica fierezza a una sognante, lirica serenità nell'ultima Variazione. Anche di tono 'popolare', ma evocativo dello spirito notturno, fiabesco, visionario, del primo romanticismo tedesco, è lo Scherzo (e il Trio interno), una specie di ritorno al fervore degli anni giovanili. Dunque, nell'architettura dell'opera i due tempi interni si legano tra loro per il carattere più 'improvvisativo' e romantico che costruttivo. Straordinariamente ricco di temi (dei quali almeno uno riprende il piglio 'popolare' e alcuni altri nascono da frammenti di motivi precedenti), ma compatto ed elaborato, è l'ultimo tempo, l'Allegro giocoso, che nell'impianto generale della forma-sonata propone anche il sistema ciclico del rondò.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Ventiquattro sono le composizioni da camera superstiti di Brahms che la critica, in generale, considera tra le opere più perfette del maestro d'Amburgo. Un tale numero, tuttavia, non rappresenta altro che il residuo di una più folta messe di opere che Brahms, autore autocritico per eccellenza, distrusse. Il Tovey (nel volume: La grande corrente della musica) con bella immagine asserisce che la produzione cameristica pubblicata ed in repertorio di Brahms, rispetto a quella distrutta, è paragonabile a «frammenti di un iceberg galleggiante sull'acqua». Tra le composizioni da camera non pubblicate pare ci fossero tre trii. Uno di questi (in la maggiore) fu pubblicato a Lipsia da Breitkopf ed Hartel, nel 1938, ma la debolezza d'impianto e la prolissità della stesura ha spinto il Geiringer ad asserire: «Se Brahms ne fosse realmente l'autore, si potrebbe facilmente comprendere perché non lo abbia mai pubblicato». Restano i tre trii per piano violino e violoncello ufficialmente consacrati a documento dell'attività di Brahms in questo campo. Il «Trio n. 1 in si maggiore», composto, per la maggior parte, nel 1853 e pubblicato nel novembre del 1854 da Simrock fu profondamente revisionato nel 1889. Tale revisione ha fatto dire a Paul Landormy: «La seconda versione, più corretta, più armoniosa nelle forme, ha lasciato scappare il meglio del contenuto musicale della prima: non è più altro che un'opera onesta, ma banale». Il «Trio n. 3 in do minore, op. 101» fu composto nell'estate del 1886, nella Svizzera a Thun - Hofstetten, sulle rive dell'Aar, nello stesso periodo in cui terminava la «Seconda sonata per violoncello e piano op. 99 » e la «Seconda sonata per violino e piano, op. 100». La prima esecuzione del «Trio op. 101» fu data a Budapest nel dicembre 1886 con Brahms al piano, violinista Hubay e violoncellista Popper. Il «Trio n. 2 in do maggiore per pianoforte, violino e violoncello, op. 87» è separato da quello in si maggiore da un quarto di secolo. Fu cominciato nel 1880 e terminato, nel 1882, a Ischl. Dopo una prima esecuzione privata, riservata ad amici, in Alt Ausee, il 25 agosto 1882, con Ignazio Brull al piano, la prima esecuzione, pubblica, avvenne a Vienna il 15 marzo 1883, con lo stesso Brull al piano e due membri del quartetto Hellmesberger con successo grandissimo. Il trio fu pubblicato nello stesso anno dall'editore Simrock. Parlando di questo trio in una lettera indirizzata, appunto, al suo editore, Brahms cosi autocritico e mai contento di se stesso questa volta manifesta apertamente la sua compiacenza: «Voi non avete ancora avuto un così bel trio da me e molto probabilmente non ne avete pubblicato un altro che gli stia a pari, negli ultimi dieci anni». Tuttavia i pareri dei critici sul Trio non sono del tutto concordi: Carlo Geiringer sostiene che il Trio mostra il maestro all'apice della sua arte, mentre Paul Landormy considera l'opera mancata; per il Tovey, invece, l'opera è una delle più riuscite ed ispirate di Brahms dove il suo magistero si rivela con caratteri netti ed inconfondibili.

Il Trio ha inizio con un tema dalla cantabilità calda ed impetuosa, fiorito sui due strumenti ad arco, cui si aggiunge, subito dopo, il pianoforte. Un secondo tema (dolce) dalla cantabilità più raccolta ed intima, risuona, invece, sul pianoforte, reso ancora più fascinoso dalla fluttuazione ambivalente della tonalità. Il terzo tema, risonante su violino e violoncello all'unisono, si sgrana in una serie di terzine discendenti e staccate cui fa da contrafforte sonoro uno zampillare di note in perenne mutamento. Un motivo «dolce grazioso», affidato al pianoforte, pone fine all'esposizione dei temi.

Nello sviluppo, come è stato notato, non tutti i temi vengono adoperati da Brahms in egual misura, ma, ascoltando il trio si ha la sensazione di predominio netto del primo tema dal piglio veemente e passionale. Nella ripresa riappaiono rapidamente i vari temi mentre una lunga coda (animato) conclude all'insegna dell'impulso cinetico più travolgente il primo tempo. Il secondo tempo, «andante con moto», in la minore esplode con un tema compenetrato di «languore sentimentale e di ardore sensuale alla tzigana». L'arte della variazione, cosi connaturata al genio di Brahms, viene esercitata in questo tempo attraverso l'innesto su tale tema di una serie di cinque variazioni, ora passionali, ora nostalgiche. La prima, terza e quinta, caratteristiche per il loro pathos melodico, sono costruite sulla melodia affidata agli archi, mentre la seconda e quarta, secondo il Geiringer, sono più condizionate dall'accompagnamento del tema eseguito dal pianoforte.

La quarta, inoltre, «per il suo penetrante ritmo, sottolineato dalle doppie corde degli archi» è quella che accusa più scopertamente il carattere ungherese, mentre la variazione finale spicca per l'insistente scambio di calde frasi melodiche tra violoncello e violino.

Il terzo tempo, «Scherzo - Presto», scaturisce con un fiotto di note ripetute e gorgoglianti, la cui tessitura trapassa dal timbro oscuro e denso del violoncello a quello chiaro del violino, intaccate, a quando a quando, dal rimbalzo di perle del piano sul registro acuto.

L'impressione di pittura monocromatica viene dissipata dal susseguente trio che al Tovey suscitava l'immagine di un banco di nuvole leggere e compenetrate di luce, veleggianti su uno sfondo di cielo foscamente tenebroso. Il tempo è concluso dalla ripresa dell'esagitato e selvaggio ritmo iniziale.

L'ultimo tempo, «Finale - Allegro giocoso», scorre con la rapidità «circulata» di una ronda giocosa o burlesca, animata da un fitto scambio di «lazzi» tra violoncello e violino. Nel circolo di cosi «faceto motteggio» entra come terzo compartecipante il pianoforte che, trasportato il motivo sul registro acuto e variandolo, gl'imprime un ritmo d'ilare scherno. Dopo una breve parentesi, effusamente lirica affidata, principalmente ai due strumenti ad arco, l'estrosa rianimazione del motivo iniziale conclude il tempo e il trio in un'atmosfera di briosa beffa carnevalesca.

Vincenzo De Rito


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 160 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 16 marzo 1990
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 marzo 2004
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 8 novembre 1977

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Ultimo aggiornamento 24 gennaio 2019