Trio in si maggiore per archi e pianoforte, op. 8


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro con brio. Con moto (si maggiore)
  2. Scherzo. Allegro molto (si minore). Trio: Meno Allegro (si maggiore)
  3. Adagio non troppo (si maggiore)
  4. Finale. Allegro molto agitato (si minore)
Organico: violino, violoncello, pianoforte
Composizione: 1853 - 1854
Prima esecuzione: New York, Dodsworth's Hall, 27 Novembre 1855
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1854

Nel 1889 Brahms ha completamente revisionato questa composizione
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Lavoro giovanile che ottenne da subito un notevole consenso, il Trio op. 8 fu sottoposto a revisione dopo ben trentacinque anni dalla sua prima stesura; Brahms venne infatti convinto a mettervi mano per correggerne alcune ingenuità frutto di inesperienza, riducendo drasticamente alcune sezioni eccessivamente ridondanti e riassestando alcuni disequilibri formali. Sebbene lo stesso Brahms fosse poco incline a questo tipo di operazioni, il risultato non snaturò la freschezza e l'estroversa esuberanza originale di questa composizione che tanti entusiasmi aveva saputo suscitare.

Genuino e seducente come un canto di montagna, il primo tema dell'Allegro si dispiega in maniera sublime tra i diversi strumenti, giungendo a un luminoso assieme di tutto il trio. Un intreccio di terzine che smarrisce la propria pulsione ritmica in una mesta successione di accordi è l'anello che congiunge al secondo tema: una melodia dall'incedere meno fluido, quasi da recitativo, che libera pienamente la propria espressività solo nella seconda parte. Lo Sviluppo parte da un dettaglio - la sequenza di terzine in coda all'Esposizione - che viene dilatato senza soluzione di continuità su diversi piani dinamici. Seguono quindi una suggestiva rivisitazione in minore del primo tema e un turbinoso rimescolamento di elementi tematici del ponte modulante. Secondo una tecnica tipicamente brahmsiana, che ritroveremo anche in seguito, la Ripresa viene quasi nascosta; il primo tema ritorna infatti di soppiatto, in tonalità minore, per poi riemergere gradualmente e manifestarsi radioso nel modo maggiore della tonalità principale. Il secondo tema si ripresenta invece con una sua rielaborazione e una ripresa parziale, seguito da una serena e libera rievocazione del primo tema come coda conclusiva.

Inizialmente il tema dello Scherzo, contiene la sua energia e il suo dinamismo in un geometrico e ordinato rincorrersi di frasi melodiche punteggiate, nella seconda parte libera invece la sua espressività evocando corni da caccia su pedale degli archi, per poi lanciarsi in una sfrenata fantasia con il violino che svaria in tessitura acuta. Dopo una ripresa del tema, arricchita da nuovi elementi, un repentino cambiamento di scena porta nell'oasi serena dell'episodio centrale (Trio). L'impianto tonale passa dal modo minore al modo maggiore, e il tempo diviene più pacato. Il tema scorre dunque tranquillo cullato dal rotondo dondolio del ritmo ternario, culminando su una radiosa declamazione di stampo «orchestrale» di pianoforte e violoncello su tremoli del violino. La ripresa dello Scherzo riporta alla scena iniziale, chiudendo così la struttura A B A di tutto il movimento, mentre una breve coda sembra voler rievocare l'atmosfera dell'episodio centrale.

Un rarefatto corale del pianoforte e un delicato intreccio a due voci degli archi costituiscono le due antifone che danno vita all'Adagio. La regolare alternanza di queste due frasi sembra visualizzare due anime separate che si richiamano a vicenda, per poi ravvicinarsi e infine fondersi assieme. Il secondo episodio scorre invece su una languida melodia del violoncello alla quale fa da contrappeso un breve stacco del pianoforte, prima di una nuova citazione del tema da parte del violino. Frammenti del tema sopra un pedale di violoncello riportano lentamente alla ripresa del primo episodio; qui il duetto iniziale degli archi non è più solo, ma accompagnato da un delicato disegno del pianoforte, quasi a voler ricordare l'unione degli strumenti raggiunta nella prima parte.

Enigmatico e inderminato, a causa delle sue ondulazioni cromatiche iniziali, il tema dell'Allegro conclusivo svela la sua cantabilità solo nella frase conclusiva e nella sua appassionata elaborazione che fa da ponte al secondo tema. Quest'ultimo scorre invece risoluto, passando dalle ottave del pianoforte al suono degli archi, per poi lasciare spazio a un frammento secondario al quale era intrecciato. Torna quindi il primo tema con una nuova orchestrazione e una concitata elaborazione di suoi frammenti melodici, seguito dal secondo tema in modo maggiore e da una libera fantasia di chiusura, ancora sul primo tema.

Carlo Franceschi De Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se si eccettuano un giovanile Trio disconosciuto dall'autore e pubblicato postumo, e lo Scherzo dalla cosiddetta Sonata FAE (una sonata per violino e pianoforte scritta a sei mani; autori degli altri due movimenti erano Robert Schumann e Albert Dietrich), il Trio op. 8 è la prima vera composizione della cameristica di Brahms, ossia del settore centrale della produzione del maestro amburghese. Come dire che il brano pone le premesse del successivo sviluppo dell'autore, e occupa un posto di rilevanza assoluta nel suo catalogo. Ne è testimonianza anche l'interesse nutrito nel tempo da Brahms verso questa sua prima opera; interesse che si concretizzò - secondo una prassi del tutto inconsueta per Brahms - in una complessiva revisione di essa, realizzata dal compositore nel suo estremo periodo creativo.

Anche il momento che vede la nascita del Trio è uno dei più intensi della vita del compositore, segnato da incontri ed eventi di rilevanza centrale in una biografia, come quella di Brahms, scevra di grandi rivolgimenti. Il giovane autore, ventenne, pose mano alla partitura nell'estate del 1853, dopo aver fatto ad Hannover la conoscenza di Joachim, e la ultimò nel gennaio successivo, tre mesi dopo essere stato "rivelato" da Schumann con l'articolo Neue Bahnen apparso sulla Neue Zeitschrift fur Musik. Nel marzo 1854 Brahms, accorso presso Clara Schumann, allo scatenarsi della follia di Robert, presentò la composizione all'amica, che ne doveva essere poi la interprete il 18 dicembre a Breslavia.

Occorre attendere 34 anni per vedere nuovamente affacciarsi il Trio nella biografia brahmsiana. Nel 1888 l'editore Simrock, che aveva acquistato da Breitkopf i diritti delle opere giovanili di Brahms, stimolò il compositore a una nuova pubblicazione del brano; e il critico ed amico Eduard Hanslick mosse alcuni rilievi alla sua organizzazione formale. Nell'estate 1889 Brahms si accinse dunque a un complessivo lavoro di revisione, che tuttavia cercò di minimizzare di fronte alla cerchia di amici. Il 3 settembre scriveva a Clara «Non puoi immaginare con quale fanciullaggine ho trascorso i bei giorni estivi. Ho riscritto il mio Trio in si maggiore e posso chiamarlo op. 108 invece che op. 8. Non sarà più rozzo come prima - ma sarà migliore?». Parole che tradiscono la consapevolezza che la seconda versione costituiva qualcosa di sostanzialmente diverso rispetto alla prima; e infatti la nuova versione non sostituì la prima, ed entrambe continuarono a venire pubblicate ed eseguite parallelamente.

I motivi che spinsero Brahms al lavoro di revisione sono di diversa natura. Da una parte l'opera giovanile presentava eccessive e superflue difficoltà tecniche agli esecutori, circostanza che costituiva un sicuro ostacolo alla sua diffusione (motivo non ultimo della predilezione in genere accordata dagli interpreti all'ultima versione). D'altra parte Brahms aveva maturato negli anni una diversa consapevolezza nell'organizzazione del discorso musicale, e, nella sua veste primitiva, il Trio presentava una certa prolissità. I nuovi orientamenti appariranno chiari qualora si considerino gli interventi effettuati sulla partitura. Con eccezione dello scherzo - il secondo tempo - gli altri tre movimenti mantengono pressoché intatta l'esposizione del materiale, mentre, nel loro prosieguo, acquistano insieme una maggiore sintesi e una maggiore dialettica.

Il che non deve lasciar supporre una superiorità dell'ultima sulla prima versione (superiorità già messa in dubbio dallo stesso autore). Già nella sua veste primigenia il Trio op. 8 costituiva un grandissimo risultato. Rispetto alla tradizione puramente intrattenitiva del genere del Trio per pianoforte e archi (tradizione della quale risentivano ancora capolavori come il Trio «dell'Arciduca» di Beethoven e i due Trii di Schubert) Brahms aveva "nobilitato" il genere, infondendo nella partitura una tensione romantica, una densità sinfonica che dovevano poi rimanere tratti costitutivi ed emblematici di tutta la cameristica del maestro di Amburgo. La versione conclusiva è più "disciplinata" nella sua costruzione, ma non conserva del tutto l'entusiasmo e la trascinante novità della prima versione, caratteristiche impresse proprio da quelle diseguaglianze che Brahms cercò poi di correggere.

Nella edizione 1889 l'Allegro con moto iniziale conserva, come si è detto, la lunga grandiosa melodia innodica dell'incipit; e proprio questo materiale, secondo la più pura attitudine brahmsiana, rimane alla base dell'intero movimento, trasformato in situazioni contrastanti, come la malinconica frase discendente del pianoforte che costituisce il secondo tema. Lo sviluppo rielabora in senso "meditativo" il materiale esuberante dell'esposizione; la coda rinuncia a soluzioni pletoriche e si rifugia nell'intimismo, smembrando il tema fra i diversi strumenti.

Lo Scherzo, lontano ancora dalla soluzione dello "Scherzo-Intermezzo" propria del Brahms maturo, si richiama agli scherzi "fantastici" di Mendelssohn, con una scrittura serrata e trasparente, contro cui si snoda il terna di valzer popolare del Trio. L'Adagio, pagina fra le più ispirate del giovane Brahms, si apre con una sezione "responsoriale", in cui cioè alla melodia di corale del pianoforte solo si contrappone la risposta degli archi; fa contrasto la sezione centrale, aperta dal violoncello in una vibrante perorazione. Il Finale, unico movimento in si minore piuttosto che in si maggiore, è forse il tempo che più ha risentito della revisione, conservando dell'originale quasi solo il misterioso avvio di violoncello e pianoforte, cui succedono poi episodi ben distinti - come il seguente slancio pianistico di sapore schumanniano, che funge da seconda idea; è la logica "dialettica" di Brahms, in cui tuttavia è difficile ravvisare una organizzazione formale precisamente ispirata al modello della forma sonata o del rondò, quanto piuttosto una sintesi dei due modelli. La composizione si chiude con una coda slanciata e serratissima, che converte tuttavia in sobrietà l'impeto un poco retorico della versione giovanile.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Fu Schumann a presentare perentoriamente il ventenne Johannes Brahms all'attenzione dell'ambiente musicale in un articolo passato alla storia, intitolato Neue Bahnen (Vie nuove), pubblicato sulla «Neue Zeitschrift für Musik» del 28 ottobre 1853. Il giovane Brahms lo aveva colpito con una serie di lavori per pianoforte, da camera e vocali (molti dei quali poi distrutti dall'autore) che gli aveva fatto ascoltare pochi giorni prima a Düsseldorf. All'epoca di questo incontro, il primo ottobre 1853, Brahms stava già lavorando anche al Trio in si maggiore op. 8 che aveva abbozzato durante l'estate a Mehlem e poi a Düsseldorf e che avrebbe completato di lì a poco, nel gennaio del 1854, ad Hannover.

Ancora pochi giorni e Schumann, il 27 febbraio, avrebbe cercato invano di sfuggire all'esplosione della sua follia gettandosi nelle gelide acque del Reno. Ma anche se ormai era sul punto di uscire di scena definitivamente - avrebbe trascorso i due anni e mezzo che gli restavano da vivere segregato in una casa di cura - Schumann aveva esercitato un'influenza forte, profonda e duratura sul giovane Brahms che non a caso aveva firmato il manoscritto del Trio op. 8 con uno pseudonimo scopertamente schumanniano con cui sembrava quasi evocare, o augurarsi, una possibile filiazione dall'amato maestro: «Johannes Kreisler junior».

Nel suo celebre articolo, Schumann aveva indicato di scorgere nel giovane collega «non chi ci porterebbe la perfezione magistrale in successivi stadi di sviluppo, ma chi, come Minerva, eromperebbe tutto armato dalla testa dei Crònide». Ora se questa affermazione viene interpretata con l'immagine di un Brahms che sforna senza problemi capolavori finiti, dovremmo ammettere che, pur con il suo straordinario fiuto nell'individuare il genio in un ragazzo di vent'anni semisconosciuto, Schumann questa volta avrebbe preso un abbaglio. Ma basta intendersi sui tempi e i modi di quell'«eromperebbe tutto armato» per vedere realizzata la profezia schumanniana: pagine come il Primo Concerto per pianoforte e la Prima Sinfonia «erompono tutte armate» dalla testa di Brahms; solo che sono state preparate da un cammino spesso decennale, fatto di esperimenti, cartoni preparatori, lavori rifiutati e distrutti.

È quanto accadde anche al Trio per pianoforte, violino e violoncello op. 8, che non solo fu preceduto sicuramente da altri lavori per lo stesso organico, oggi perduti, ma che anche una volta giunto alla sua forma "definitiva", trentacinque anni dopo, nel 1889, fu sottoposto da Brahms a una profonda revisione. I dubbi sull'assetto formale del Trio erano insorti subito. Alcuni degli amici più cari di Brahms che avevano avuto modo di ascoltarlo in privato poco dopo il completamento, fra cui il violinista Joachim, lo avevano lodato incondizionatamente; Clara invece aveva avanzato delle perplessità sul primo movimento e anche Eduard Marxsen, che era stato maestro di Brahms, aveva mosso qualche appunto. Comunque, il 27 novembre 1855 il Trio ebbe la sua prima esecuzione pubblica alla Dodsworth's Hall di New York, ad opera di William Mason al pianoforte, Theodore Thomas al violino e Carl Bergmann al violoncello e pochi giorni dopo, il 18 dicembre del 1855 a Breslavia, aveva luogo la prima esecuzione europea, con Clara Schumann al pianoforte.

Da allora il Trio op. 8 circolò in questa veste fino a quando, alla fine degli anni Ottanta, dietro suggerimento di Hanslick e in vista di una nuova edizione a stampa ad opera di Simrock, Brahms lo sottopose a una revisione. In una lettera a Clara del 3 settembre 1889 si legge: «Ho riscritto il mio Trio in si maggiore e posso chiamarlo op. 108 invece che op. 8. Non sarà più rozzo come prima - ma sarà migliore?». Il 30 settembre, quando a Francoforte la nuova versione fu presentata per la prima volta a un gruppo di amici, i pareri furono discordi: Clara la trovò molto migliore rispetto a quella originaria e con lei poi anche Bülow, al contrario dei coniugi Herzogenberg. Questo accrebbe ulteriormente il disorientamento di Brahms che non fu attenuato nemmeno dalla prima esecuzione pubblica del Trio, (Budapest, 10 gennaio 1890), e che durava ancora quando in dicembre si decise finalmente a far stampare la partitura da Simrock: «Quanto al Trio rinnovato devo aggiungere espressamente che il vecchio è cattivo, però non dico con questo che il nuovo sia buono! Ciò che lei vorrà fare del vecchio, fonderlo o ristamparlo, mi è del tutto indifferente. Sarebbe d'altronde inutile dire qualcosa in proposito. Penso solo che il vecchio continuerà a vendersi male, non per colpa della notevole bruttezza, ma delle molte difficoltà inutili».

Ma che entità ha l'intervento effettuato da Brahms nel 1889 sul suo Trio? In una lettera all'amico Julius Otto Grimm del marzo del 1890 il compositore scrisse di «non avergli messo una parrucca, ma di averlo solo pettinato e di avergli ravviato un po' i capelli». Si sarebbe portati a credere a piccoli interventi correttivi, dunque, se non si fosse abituati al tipico atteggiamento con cui Brahms nelle sue lettere sminuiva l'importanza e le dimensioni delle sue opere e se non bastasse fare anche un unico esempio pratico per convincersi del contrario: nella nuova versione, quella generalmente scelta dagli interpreti di oggi, il solo ultimo tempo viene ridotto da 518 a 322 battute.

Il primo movimento è un ampio Allegro con brio in forma-sonata, basato su tre idee principali, che prende le mosse da una calma melodia in forma di inno enunciata dal pianoforte e ripresa subito dagli archi e raggiunge gradualmente i toni agitati e cupi da ballata nordica tante volte impiegati dal giovane Brahms. Dopo uno Scherzo (Allegro molto) leggero e fatato, non immune da reminiscenze mendelssohniane, l'intensissimo Adagio in si maggiore è costruito con straordinaria maestria su due idee principali: una sorta di corale solenne e misterioso e una struggente melodia affidata al violoncello che deriva chiaramente dal dodicesimo Lied dello Schwanengesang di Schubert. L'Allegro finale conclude il Trio op. 8 ricollegandolo ai toni epici e agitati del primo movimento.

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 160 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 Gennaio 1993
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 2 maggio 1996

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Ultimo aggiornamento 26 ottobre 2014