Trio n. 3 in do minore per archi e pianoforte, op. 101


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro energico (do minore)
  2. Presto non assai (do minore)
  3. Andante grazioso (do maggiore)
  4. Allegro molto (do minore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: 1886
Prima esecuzione: Budapest, Magyar Királyi Operaház, 20 Dicembre 1886
Edizione: Simrock, Berlino, 1887
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Capolovaro assoluto, non solo nell'ambito dei trii, l'op. 101 si staglia con i contorni netti e definiti di contenuti musicali potenti ed efficaci, e al tempo stesso concisi e compatti. L'originalità dell'invenzione, il piglio energico di stampo beethoveniano lo struggente lirismo di alcuni passaggi fecero così commentare Clara Schumann nel suo diario: «... Che lavoro! Assolutamente geniale per passione, forza di idee, grazia e poesia! Prima d'ora nessun'altra opera di Brahms mi ha tanto trascinato... Stasera sono felice come non lo ero da tempo».

Con gesto secco e perentorio il tema dell'Allegro esaurisce il proprio contenuto in sole quattro battute, espandendosi come un'eco fino ai vigorosi accordi puntati della seconda idea tematica, mentre archi che rimbalzano, e un armonia cambiata di modo, danno alla riproposizione del tema iniziale un profilo ancor più titanico e poderoso. Commovente è invece, nella sua geniale semplicità, il cantabile del secondo tema, splendidamente disegnato dagli archi. Il primo tema irrompe con passo pesante, aprendo lo Sviluppo; le sue due idee tematiche vengono qui rivisitate nell'ordine in maniera multiforme, raggiungendo un climax espressivo nel quale si fondono i profili ritmici dei due soggetti. Tutto si placa con un piano improvviso: è la Ripresa, con il primo tema svuotato di energia, ovvero senza le due battute iniziali, che si svela gradualmente, per poi portarsi al canto appassionato del secondo tema reso ancor più caldo e avvolgente dal trasporto in tessitura più bassa. La mancata ripresa del primo tema viene comunque compensata dalla sua prepotente rievocazione nel finale.

Scarno ed essenziale il secondo movimento, Presto non assai, si apre con un breve motto introduttivo che fa da cornice alle due parti di un delizioso tema dall'incedere singhiozzante. Accordi del pianoforte sorvolati da rapide pennellate di archi pizzicati e un incalzarnte inseguirsi di frasi degli archi sono invece i due ingredienti dell'episodio centrale. Il movimento viene completato dalla ripresa del tema iniziale, divenuto più fluido e scorrevole, e da una mesta coda conclusiva con echi del tema stesso.

Incantevole isola di pace, l'Andante grazioso prende vita dal duetto degli archi, al quale risponde il pianoforte. Il tema evolve così pacatamente con questa divisione tra gli strumenti. Questa stessa alternanza caratterizza anche l'episodio centrale, ma assecondando intervalli più ravvicinati, con un nuovo tema increspato da un velo di melanconia destinato a dissolversi con la ripresa abbreviata della prima parte, mentre nella coda finale risuonano ancora laconici frammenti del secondo tema.

Il brillante primo tema dell'Allegro molto si evolve attraverso suggestive storpiature e metamorfosi della sua struttura ritmica, mentre il secondo gruppo tematico è composto dall'assemblaggio di tre distinti episodi. Lo Sviluppo riprende una variante ritmica del primo tema, alternandola a una sinuosa linea cromatica degli archi. Una delicata reiterazione dell'incipit del primo tema porta quindi alla Ripresa dei due gruppi tematici, completata da una rivisitazione in maggiore del primo tema e da una stretta finale sullo stesso primo tema.

Carlo Franceschi De Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Un posto importante nella creazione strumentale di Brahms, che vi si provò assai presto, è occupato dai trii, sei in totale, che per ampiezza architettonica, limpidezza discorsiva, intima compenetrazione tra schemi classici e spiriti romantici vanno collocati tra i lavori che maggiormente testimoniano delle eccezionali facoltà inventive e costruttive del compositore. Solo quattro di questi sono per pianoforte, violino e violoncello. Il primo in ordine cronologico, segnante gli esordi della carriera brahmsiana, è il Trio in si bemolle op. 8, scritto nel 1853-'54, nel periodo del soggiorno dell'autore a Düsseldorf, e rimaneggiato nel 1890. Il secondo in mi bemolle op. 40, composto nel 1865 ed eseguito per la prima volta a Karlsruhe il 7 dicembre 1865, concepito in origine per il corno da caccia al posto del violoncello, può in realtà essere suonato dal pianoforte con violino e violoncello, oppure dal pianoforte con violino e viola. Il terzo, op. 87, è in do minore, composto nel 1882 per l'organico più comune di pianoforte, violino e violoncello. Per la stessa formazione strumentale è il Trio in do minore op. 101. Mentre il quinto, in la minore op. 114, scritto nel 1891 dopo l'incontro del musicista con il famoso clarinettista Richard Mühfeld, vuole il clarinetto o la viola al posto del violino. Infine c'è il sesto trio, quello in la, composto probabilmente verso il 1850-'51 e senza numero di opus, in quanto pubblicato postumo nel 1938 a Lipsia.

Brahms scrisse il Trio op. 101, insieme alla Sonata per violoncello op. 99 e alla Sonata per violino op. 100, nel corso dell'estate 1886, durante un momento di riposo sulle rive del lago di Thun. Come già in altre occasioni il musicista si preoccupò di far conoscere subito quest'opera ai suoi amici più fedeli, a cominciare da Clara Schumann, che nel giugno del 1887 si espresse in modo lusinghiero, dicendo: «E' un pezzo geniale... Nessun lavoro di Brahms è riuscito a conquistarmi in modo così completo come il Trio in do minore». Il violinista Joseph Joachim di rincalzo aggiunse in una lettera dello stesso periodo: «Caro Johannes, raramente hai scritto una cosa più bella di questo Trio». In effetti i quattro movimenti dell'op. 101 rivelano il temperamento schiettamente romantico del musicista e la sua abilità nel saper valorizzare la voce dei vari strumenti in una salda unità stilistica. L'Allegro iniziale è una pagina di solida fattura nella sua varietà tematica e con quel piglio ritmico presente anche in diverse composizioni sinfoniche, addolcito qua e là da alcuni passaggi cantabili. Forse il Brahms più vero e autentico si ritrova nel secondo tempo (Presto non assai), dal gioco armonico delicato e sfumato, e ancora di più nell'Andante grazioso, così intimistico e soffuso di tenera malinconia, con una linea melodica di purissima lega è di ascendenza mendelssohniana e schumanniana. L'Allegro molto conclusivo presenta una brillante tavolozza sonora dai colori vivi e ben marcati, disegnati con freschezza ed eleganza di immagini, secondo una naturalezza di espressione e senza alcuna ricerca virtuosistica.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Con il Trio op. 101 il trittico dei lavori nati nell'estate del 1886 si completa nel segno di una drammaticità che costituisce il contraltare del giovanilismo e dell'intimismo degli altri brani. Si tratta del terzo e ultimo dei Trii per pianoforte violino e violoncello di Brahms, dopo la prova giovanile ma fondamentale dell'op. 8 (1853) e quella matura dell'op. 87 (1882); anche se Brahms tornerà nel 1888 sull'op. 8 offrendo di questa partitura una versione interamente rinnovata.

Rispetto alla tradizione puramente intrattenitiva del genere del Trio per pianoforte e archi (tradizione della quale risentivano ancora capolavori come il Trio op. 97 di Beethoven e i due Trii di Schubert) Brahms si era richiamato, per le sue prime prove, al modello di Mendelssohn, che aveva "nobilitato" il genere, infondendo nella formazione del trio una tensione romantica, una densità sinfonica. Questi obiettivi vengono affrontati, nei primi Trii di Brahms, secondo principi piuttosto diversi di quelli dell'op. 101. Soprattutto nell'op.8 la ricerca giovanile del compositore aveva puntato principalmente sull'esuberanza del materiale e sulla complessità degli sviluppi. Al contrario l'op. 101 punta prima di tutto su criteri di economia nel materiale ed essenzialità nella scrittura. Non a caso si tratta di una delle opere più concise e concentrate del camerismo di Brahms; circostanza che attirò fin da subito sulla partitura l'alta ammirazione degli amici Joseph Joachim, Clara Schumann ed Elisabeth von Herzogenberg.

È proprio l'esperienza sinfonica ad influenzare nel Trio op.101 la tendenza, propria delle opere della maturità, a sviluppare con il massimo rigore un materiale di base scarno ed essenziale. L'iniziale Allegro energico si apre con un tema di impronta eroica, dalla ampia gestualità, che sfocia in un flusso di terzine; colpisce subito la granitica coesione dei tre strumenti, con il pianoforte che sfrutta soprattutto il registro medio-grave, e i due archi che si alternano o si fondono nel discorso; si giunge così alla apertura del secondo tema, che con il trapasso al modo maggiore opera una trasfigurazione innodica dei medesimi principi, affidata all'ampio melodizzare dei due archi congiunti. Subito segue la sezione dello sviluppo, basata sulle peregrinazioni delle due idee di base, e più ancora dei loro frammenti che si alternano plasticamente. Si arriva così a una riesposizione abbreviata e a una sintetica coda, che chiude con drammatica coerenza il movimento tornando al materiale del primo tema.

Diversissimo, pur nella medesima tonalità di do minore, il secondo tempo che ha funzione di scherzo, Presto non assai; si tratta di un movimento dal carattere di ballata, tutto sospeso in una ambientazione allusiva e spettrale, su un fraseggiare semplicissimo, ma mirabilmente cesellato nella disposizione strumentale e nei piani sonori. Soprattutto il pianoforte vi è protagonista, anche nella sezione del trio, dove i larghi accordi sincopati della tastiera sono trapuntati dagli arpeggi degli archi. Fulcro espressivo dell'intera partitura è però l'Andante, in do maggiore, basato su una melodia lirica di intimo afflato, esposta dal violino e poi dal pianoforte; gli si contrappone una seconda idea in minore più animata; il ritorno del primo tema vede pianoforte ed archi divisi in modo responsoriale; una breve coda chiude il movimento.

Con il finale, Allegro molto, torniamo al clima drammatico del tempo iniziale, attraversato però da una maggiore leggerezza e soprattutto da una conduzione del discorso che, pur rispettando lo schema sonatistico, appare sostanzialmente rapsodica per l'incedere continuamente evolutivo del discorso. Più che la successione dei temi viene in primo piano la particolare scrittura strumentale, fittissima eppure basata su un perfetto bilanciamento dei piani sonori e sull'equilibrio fra gli strumenti, anche nella loro successione narrativa.

Il mirabile Trio sfocia in una coda che segna il trapasso di tanta drammaticità nell'entusiasmo del do maggiore, come risoluzione di tanti conflitti e tensioni che attraversano l'ultima delle tre partiture estive del 1886.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 160 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 9 febbraio 1979
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 novembre 2003

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Ultimo aggiornamento 26 giugno 2013