Sei pezzi (Klavierstücke) per pianoforte, op. 118


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Intermezzo - Allegro non assai, ma molto appasionato (la minore)
  2. Intermezzo - Andante teneramente (la maggiore)
  3. Ballata - Allegro energico (sol minore)
  4. Intermezzo - Allegretto un poco agitato (fa minore)
  5. Romanza - Andante (fa maggiore)
  6. Intermezzo - Andante, largo e mesto (mi bemolle minore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1892
Prima esecuzione: Londra, St.James's Hall, 7 Marzo 1894
Edizione: Simrock, Berlino, 1893
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Brahms compose i pezzi brevi per pianoforte, distribuiti nelle opere 116, 117, 118 e 119, tra il 1891 e il 1893, d'estate, nella villeggiatura di Bad Ischl che scelse sistematicamente, nei suoi ultimi anni di vita, per le vacanze.

Quattro numeri d'opera, venti pezzi in tutto, in due anni. Brahms, conclusa con il Doppio Concerto op. 102, nel 1887, la sua opera di sinfonista, limitò progressivamente la pratica della composizione, facendola diventare paradossalmente, alla fine, un hobby per le vacanze.

Il compositore che a vent'anni aveva scritto tre Sonate, e a trenta le serie monumentali delle variazioni su temi di Händel e di Paganini, a sessant'anni si dedicava amorevolmente alla piccola pagina intimistica. Alla piccola pagina intimistica del romanticismo mendelssohniano, verrebbe da dire. Ma la pagina intimistica aveva antecedenti non solo nel Romanticismo. E se Brahms ritornava indubbiamente verso Mendelssohn, e verso Schumann e verso Schubert, ancor più si riallacciava alle raccolte di musiche Für Kenner una Liebhaber (Per conoscitori ed amatori) che Carl Philipp Emanuel Bach aveva pubblicato giusto un centinaio d'anni prima.

Bach era stato il grande esponente dello stile empfindsam (sentimentale) che aveva avuto la sua culla nella Germania del nord e ad Amburgo, dove il figlio di Johann Sebastian aveva trascorso gli ultimi vent'anni della vita. A questo mondo torna l'amburghese Brahms, da trent'anni trapiantato nel sud di Vienna, per farlo rivivere nel momento in cui il pianoforte come privato confidente è ormai incamminato verso l'estinzione.

Il più arcaicizzante dei Sei Pezzi dell'op. 118 è il n. 5, Romanza, brano bitematico a variazioni, la cui sonorità rievoca il clavicembalo con la sua delicatezza di suono ed i suoi registri. Ma anche nella Ballata compare un mondo arcaico, protoromantico più che romantico, ben lontano non solo da quello delle ballate di Chopin e di Liszt, ma persino delle giovanili Ballate op. 10 dello stesso Brahms.

Un momento, un lampo del Brahms della Ballata op. 10 n. 3 ricompare nell'Intermezzo in fa minore, n. 5, e verso l'intimismo più sognante di Schumann ritorna l'Intermezzo in la maggiore n. 2.

Gli altri due Intermezzi, al primo e all'ultimo posto, danno un senso unitario, non semplicemente rievocativo e non regressivo, a tutta la raccolta. Luminoso, appassionato l'Intermezzo in la minore n. 1, che apre il viaggio nella memoria. E tragicamente desolato l'Intermezzo in mi bemolle minore, n. 6, nel quale l'eroismo beethoveniano è visto, nella parte centrale, in negativo, come aspirazione ideale distrutta dalla storia.

È certamente un segno dei tempi che Beethoven, deluso nei suoi sogni di palingenesi, non rinunciasse a dare ad essi, al termine della vita, la forma della visione profetica e lasciasse abbozzata, morendo, una decima Sinfonia. Al termine del secolo Brahms guarda invece in faccia il fallimento storico dell'intellighenzia, e della composizione fa un'attività disinteressata, un hobby delle vacanze. Senza però concludere che "Tutto nel mondo è burla", ma esprimendo, con dolcezza e con pudore, il rimpianto e insieme l'angoscia. Da vero artista che non sopravvive ma che coglie il giungere di tempi nuovi.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In continuità ideale con gli Intermezzi op. 117 ritroviamo un Brahms che si dedica amorevolmente anche nell'op. 118, così come nel numero d'opera successivo, alla scrittura di pagine intimistiche. È un ritorno al passato, quasi l'autore si compiacesse di uno sguardo incantato all'amata musica schumanniana e mendelssohniana. Pare persino di andare ai riflessi lirici di Franz Schubert e, più indietro ancora, alle pagine in stile empfindsamer, lo stile della sensibilità, di Carl Philipp Emanuel Bach. Così ci ritroviamo a osservare dentro l'op. 118 il primo dei Pezzi per pianoforte, che pare aprire come un cammino ideale del viaggiatore. Si tratta di un Intermezzo in la minore (Allegro non assai, ma molto appassionato): la sua grondante e densa melodia accordale con le sue suggestioni è come un'apertura di sipario. Intermezzo è anche il secondo, nel tono di la maggiore qui l'Andante teneramente corrisponde a una linea delicata narrativa di squisita dolcezza. Il tema procede e si evolve nel suo stile cantabile tipicamente durchkomponiert, in cui ogni volta si aggiunge un tassello alla narrazione, con la parte tematica del piano che sembra corrispondere a una magnifica melodia liederistica. Una frase di digressione conduce e nuovi spunti e idee derivate dall'idea principale che concludono in modo morbido e annuente la prima parte; una seconda sezione è dominata da una nuova idea di palpitante intensità in fa diesis minore, sino a quando una sezione accordale, trait-d'union che risalta come un antico corale, fa da collegamento per un secondo ritorno della stessa idea, liberamente variata. Infine una ripresa del primo tema principale conclude, arricchita da un riverberante epilogo sulla risonanza della testa del tema, questa sorprendente gemma sonora. Il terzo brano dell'op. 118 è la Ballata in sol minore. La apre un tema eroico, che con il suo energico levare e la sua notevole frontalità accordale conferisce alla pagina un sapore solenne, epico; il secondo tema è una frase sentimentale in si maggiore, su tipica nota puntata, che connota il brano in termini più pacati e sereni; una breve digressione basata sul ricordo del primo tema introduce una seconda enunciazione del secondo tema; si tratta di una sezione di carattere elaborativo, compreso il passaggio e ritorno al primo tema che per due volte si ripresenta, la seconda come vera e propria ripresa del materiale, presentato col suo tipico, scultoreo enunciato accordale; una deliziosa Coda basata sulla citazione del secondo elemento conduce dolcemente la Ballata a conclusione. Il quarto numero dei Klavierstücke è un Intermezzo in fa minore in tempo Allegretto un poco agitato; il motivo principale è un'idea rotonda su terzine, mentre il secondo tema della parte B è basato su risonanze profonde risultanti dall'incrocio delle due mani, prima che ritorni, impetuoso come un fiume in piena, il tema principale, acquietato nel finale in un poetico Epilogo tutto sfioramenti e riverberi sonori. Il numero 5 è una Romanza in fa maggiore (Andante - Allegretto grazioso). Nell'incipit ricorda il tema della prima romanza op. 117, con una sonorità che richiama l'antico clavicembalo per la particolare cura nella delicatezza del suono e per la ricerca dei colori. Ecco dunque stagliarsi un tema di intima gioia, sereno, spirituale. Si fa avanti una seconda idea (B, Allegretto grazioso) che pare una sorgente musicale nel suo scorrere regolare e continuo; nel finale si stinge su cristallini suoni d'arpa. Il ritorno dello spunto A iniziale (Tempo I) coincide con l'ultimo affiorare del tema principale. Il brano che suggella il n. 6 dei Pezzi pianistici op. 118 è l'Intermezzo in mi bemolle, indicato come Andante, largo e mesto. La pagina, di un colore tragicamente desolato (pare ispirarsi al clima mutevoli dello spettrale Lied Die Stadt dallo Schwanengesang di Franz Schubert), è definita da rintocchi tematici misteriosi e lugubri che affondano dentro ad avvinghianti, funerei arpeggi della mano sinistra. Nella parte centrale un tema epico, solenne, di stampo squisitamente eroico, sembra voler contrastare il mare nero di quella pessimistica visione e si erge quasi in contrasto a quest'ultima; ma ineluttabilmente, viene nuovamente avvolto come dalle nebbie del tema principale che conclude con un epilogo drammatico la meravigliosa pagina.

Marino Mora

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Curiosamente la prima composizione pianistica brahmsiana di un certo rilievo giunta fino a noi è proprio uno Scherzo, lo Scherzo in mi bemolle minore, composto nel febbraio del 1851 e pubblicato successivamente come op. 4. Il rapporto di Johannes Brahms con il pianoforte può dirsi certamente singolare: formatosi sul pianoforte, Brahms indubbiamente era un ottimo pianista (come conferma anche Robert Schumann, che nel suo celebre scritto del 1853 Vie nuove gli attribuisce «un modo di suonare quanto mai geniale, che fa del pianoforte un'orchestra dalle voci ora lamentose ora esultanti di gioia»); eppure egli, pur esibendosi frequentemente in pubblico, soprattutto per presentare le proprie composizioni, non fece mai il pianista, il concertista, se non fin quando ne ebbe bisogno per motivi economici. «Occorre notare che, come pianista professionista, il signor Brahms non è all'altezza dei tempi», si legge nella recensione del 3 febbraio 1859 in cui veniva ferocemente stroncata la prima esecuzione a Lipsia del suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra.

Se Brahms non volle fare il «pianista professionista», non è tanto perché le sue mani o la sua sensibilità di interprete non fossero «all'altezza dei tempi»; a impedirglielo fu probabilmente soprattutto il suo carattere, riflessivo, riservato e alieno da ogni forma di esibizionismo che gli faceva tenere in scarsa considerazione «la vita da cani del virtuoso».

Il particolare rapporto del Brahms-pianista con il suo strumento si riverbera ovviamente anche sul Brahms-compositore e sulle sue relativamente poco numerose opere per pianoforte solo. Non volendo fare il pianista ed essendo dotato di un severissimo senso critico nei propri confronti, inizialmente Brahms utilizza il suo strumento in modo funzionale, come uno dei laboratori di tirocinio possibili - insieme alla musica da camera e a quella vocale - nella sua lenta e attenta marcia di avvicinamento alla scrittura sinfonica: partito non ancora ventenne dalle grandi forme, dopo aver pubblicato in rapida successione le sue uniche tre Sonate come op. 1, op. 2 e op. 5, nel decennio successivo Brahms si dedica intensamente al genere delle variazioni, giungendo nel 1861-63 ai due capolavori delle Händel-Variationen op. 24 e delle Paganini-Variationen op. 35.

A questo punto la fase "funzionale" della sua produzione pianistica può dirsi conclusa: Brahms ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissato e lascia temporaneamente il suo strumento. Tornerà a pubblicare un lavoro originale per pianoforte solamente sedici anni dopo, quando in campo sinfonico avrà già licenziato le Variazioni su un tema di Haydn, la Prima e la Seconda Sinfonia e il Concerto per violino. Ora Brahms può finalmente utilizzare liberamente il suo strumento in chiave espressiva, ricongiungendosi, quindi, idealmente con le atmosfere del più importante lavoro giovanile libero dalle ricerche strutturali del periodo "funzionale", le 4 Ballate op. 10: pagine che pur se animate da momenti di impetuoso slancio romantico hanno la loro più evidente cifra espressiva in un intenso e misurato intimismo.

Fra il 1879 e il 1893 Brahms completa la sua produzione per pianoforte solo pubblicando 30 brevi pezzi suddivisi in cinque raccolte: nel 1879 gli 8 Klavierstücke op. 76, nel 1880 le 2 Rapsodien op. 79 e poi - dopo una nuova interruzione durata dodici anni, durante i quali vedono la luce le ultime Sinfonie e gli ultimi Concerti - fra il 1892 e il 1893 le 7 Fantasien op. 116, i 3 Intermezzi op. 117, i 6 Klavierstücke op. 118 e i 4 Klavierstücke op. 119. Di questi 30 brani, 18 sono intitolati Intermezzo, 7 Capriccio, 3 Rapsodia, 1 Ballata e 1 Romanza.

Si può notare immediatamente come Brahms, a differenza della maggior parte degli autori suoi contemporanei, ricorra a dei titoli estremamente neutri, e rifiutando ogni denominazione di tipo evocativo o addirittura descrittivo, si limiti a suggerire l'atmosfera fondamentale, la «tinta» avrebbe detto Verdi, di ciascun brano.

Forse a non essere «all'altezza dei tempi», quindi, non fu solo il Brahms-pianista, ma anche il Brahms-compositore pianistico: non lo è stato con le più straordinarie pagine del periodo "funzionale", mai virtuosistiche - nel senso più gradito al pubblico - pur nella loro terribile difficoltà, ma non lo è stato neanche con i poetici Klavierstücke della maturità, che alla mancanza di virtuosismo uniscono anche un pudore espressivo e una dimensione intima e quasi privata che li rendeva poco appetibili per un «pianista professionista».

Giunto sulla soglia dei sessant'anni, mentre il diciannovesimo secolo si avvia alla conclusione, Brahms sente approssimarsi la fine; e forse, guardandosi intorno, deve aver avvertito che non solo un secolo e la sua vita volgevano al termine. I 13 Klavierstücke che compongono le opere 117, 118 e 119, composti tutti tra il 1892 e il 1893, potrebbero essere letti come l'espressione di questa consapevolezza. Nella maggior parte dei casi questi brevi brani (10 dei quali portano il titolo di Intermezzo) sono venati da una dolce tristezza che però non sfocia mai in un'incontrollata disperazione, ma che viene espressa sommessamente da un canto intensamente nostalgico.

Dopo lo slancio del breve Intermezzo in la minore di apertura (Allegro non assai, ma molto appassionato), l'opera 118 raggiunge subito un momento di altissimo e struggente lirismo con l'Intermezzo in la maggiore (Andante teneramente). L'impetuoso esordio della Ballata in sol minore (Allegro energico) che segue sembrerebbe far mutare radicalmente atmosfera, ma un ampio episodio centrale - indicato da Brahms pp e «una corda» - ridimensiona l'effetto complessivo del brano; si noti, inoltre, che a livello dinamico l'autore non prescrive mai il fortissimo, nemmeno nei momenti di maggiore enfasi. Ancora una pagina dai toni grigi, L'Intermezzo in fa minore (Allegretto un poco agitato), in cui compaiono parole come «dolce» e «delicatamente» e una dai toni intensamente idilliaci, la Romanza in fa maggiore (Andante-Allegretto grazioso-Tempo I), preparano la strada allo sconvolgente Intermezzo in mi bemolle minore conclusivo (Andante, largo e mesto): pagina arcana dai toni plumbei, considerata dall'autore una sorta di Requiem, che porta idealmente questo brano ben oltre le atmosfere dei 3 Intermezzi op. 117, definiti da Brahms «ninna-nanna dei miei dolori», alle soglie di quello stato d'animo che sarebbe presto stato espresso esplicitamente nel titolo della sua ultima composizione: O Welt, ich muss dich lassen (Oh mondo, devo lasciarti).

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 10 Maggio 1991
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 293 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 12 maggio 1995

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Ultimo aggiornamento 16 novembre 2014