Quintetto in fa minore per pianoforte e archi, op. 34


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro non troppo (fa minore)
  2. Andante, un poco Adagio (la bemolle maggiore)
  3. Scherzo. Allegro (do minore) e Trio (la minore)
  4. Finale. Poco sostenuto (fa minore). Allegro non troppo
Organico: pianoforte, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1864 - 1865
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal del Conservatorio, 22 Giugno 1866
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia e Winterthur, 1865
Dedica: principessa Anna d'Assia
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dopo quattro anni di ripensamenti e rifacimenti, tra l'estate e l'autunno del 1864 Brahms perviene alla terza e ultima versione del suo unico Quintetto per archi e pianoforte, opera dalla genesi travagliatissima, della quale rimangono numerose testimonianze nella serie di lettere scambiate con gli amici Clara Schumann, Joseph Joachim e Hermann Levi.

Brahms lavora alla composizione, inizialmente concepita per un organico di cinque archi (con due violoncelli), già nel 1861. Ma la prima versione del Quintetto è pronta solo alla fine dell'estate 1862. Ed è allora che il compositore ne scrive a Clara: «La sinfonia in do minore non è ancora finita; invece ho terminato un quintetto d'archi [...] in fa minore. Mi sarebbe piaciuto mandartelo per sapere che ne pensi, ma a conti fatti preferisco portarlo con me». Brahms, forse non convinto dell'esito del lavoro, attende ancora qualche tempo prima di sottoporlo all'illuminato giudizio della moglie di Schumann, la quale, ricevuti i primi tre movimenti alla fine di agosto dello stesso 1862. si mostra entusiasta: «Non so come dirti con calma la gioia che mi ha dato il tuo quintetto! L'ho suonato più volte e ne ho pieno il cuore! Diventa sempre più bello e splendido! Che intima forza e che ricchezza nel primo tempo [...] e che Adagio! [...] Mi piace molto anche lo Scherzo, e solo il Trio mi pare un po' corto». Ed è ancora Clara, nel mese di dicembre, a lodare il movimento finale: «Magnifico coronamento del tutto, pieno di slancio, con la bella introduzione».

Osservatrice attenta, oltre che ottima musicista, Clara stessa non nega a Brahms di aver comunque notato un difetto di fondo nel suo lavoro: l'evidente squilibrio tra il grandioso contenuto musicale e la veste strumentale scelta per esprimerlo. In sostanza Clara denuncia la «pochezza» dei soli archi, inadatti a esprimere il gusto per la sonorità piena, per il timbro ricco e ben nutrito già caratteristici delle pagine pianistiche di Brahms e dei suoi primi lavori cameristici. Non diversamente anche l'amico Joachim, al quale Brahms invia il Quintetto all'inizio di novembre del 1862, sente il bisogno di rendere un'esecuzione particolarmente vigorosa della pagina, così esigente sul piano,timbrico. Suggerisce quindi al compositore di apportare alcune modifiche al lavoro, in vista dell'esecuzione privata organizzata a Hannover per la primavera del 1863.

Risale ad allora, ad ascolto avvenuto, la decisione dell'amburghese di abbandonare l'organico prescelto in favore di tutt'altra formazione strumentale: Brahms avvia la rielaborazione del materiale musicale sotto forma di sonata per due pianoforti. Il ritorno alla tastiera, con la quale Brahms aveva maggiore dimestichezza, si spiega proprio in riferimento a quel bisogno di pienezza sonora che i soli archi non riuscivano a rendere. Ed è così che, dopo aver distrutto la versione per archi del Quintetto, il compositore presenta al pubblico e dà alle stampe la Sonata op. 34b, eseguita per la prima volta il 17 aprile 1864, insieme all'amico e celebre pianista Carl Tausig.

Clara, dopo averne a lungo discusso con Hermann Levi, torna a scrivere a Brahms, sottolineando quanto anche la nuova Sonata per due pianoforti sia timbricamente inadeguata: «Il lavoro è stupendamente grandioso [...], però non è una sonata, ma un lavoro le cui idee avresti potuto - e dovuto - spargere come da una cornucopia su tutta l'orchestra. Molte delle idee migliori si perdono sul pianoforte [...]. Subito, la prima volta, che lo suonammo, ebbi l'impressione di un adattamento, ma mi pensai prevenuta e non ne parlai. Parlò chiaramente Levi [...]. Caro Johannes, dà retta, rifallo ancora una volta». Le parole dell'amica fanno maturare in Brahms una decisione in fondo già presa: quella del ritorno, per altra via, agli archi.

Brahms, da un lato, non riesce a rinunciare al gusto per la caratteristica densità sonora delle sue pagine pianistiche, ricche di frequenti raddoppi di ottava, sesta e terza; densità sonora che, grazie alla partecipazione del pianoforte, aveva già segnato la sua giovanile produzione cameristica, dal Trio op. 8 ai Quartetti op. 25 e op. 26, cui seguiranno i Trii op. 40,op. 87,op. 101 e op. 114, e l'altro Quartetto per archi e pianoforte op. 60. Dall'altro lato, Brahms riconosce al pianoforte l'incapacità di trasmettere la ricchezza espressiva e il timbro cangiante propri degli archi. Per riuscire a far convivere le due dimensioni, pur rimanendo ancorato alla tastiera, l'amburghese - ormai conquistato dalle potenzialità offerte dagli archi - si risolve a scegliere un nuovo e definitivo organico, che riunisce gli archi e il pianoforte.

A Baden-Baden, nell'estate del 1864, Brahms riprende il lungo e lento lavoro di cesello intorno alla tormentatissima pagina, che nel novembre 1865 riceverà il benestare di Levi. «La bellezza del Quintetto supera, ogni immaginazione. Chi non lo conosce nelle forme precedenti di quintetto d'archi e di sonata non potrà credere che sia stato ideato e scritto per altri strumenti. Non una nota mi da l'impressione dell'adattamento; tutte le idee risultano molto più ricche di colore; dalla monotonia dei due pianoforti è uscita una pagina di grande bellezza timbrica [...]. Un capolavoro da camera come non se n'erano avuti dal 1828». Gran complimento per Brahms, dal momento che il 1828 non è soltanto l'anno della morte di Schubert, ma pure della sua ultima composizione: il Quintetto in do maggiore.

Ma, ritornando allo scritto di Levi, è da chiedersi come sia possibile che nulla della versione definitiva del Quintetto tradisca le tappe forzate dell'irto percorso seguito da Brahms per pervenirvi. D'altro canto, il Quintetto non è la sola opera «sofferta» del catalogo brahmsiano. Altrettanta fatica costano al compositore il Primo Concerto per pianoforte op. 15, la Prima Sinfonia op. 34 e il Concerto per violino e orchestra op. 77. Più in generale, ognuna delle composizioni licenziate da Brahms in età giovanile, come negli anni della maturità, è frutto di un'opera di rifinitura attenta e scrupolosa, compiuta da un compositore che ha conservato intatta la concezione artigianale del fare musica. Brahms segue da vicino ognuna delle fasi di lavorazione delle sue pagine, curandosi, in prima persona, anche della loro pubblicazione. Ed è spirito assolutamente intransigente, capace di unire al grande zelo un senso fortissimo di autocritica; al punto che nel testamento dà disposizione di bruciare tutto quanto avesse lasciato «manoscritto (non stampato)». Egli stesso, del resto, brucia tutti i lavori giovanili che lo lasciano insoddisfatto. Il processo che conduce alla formulazione definitiva del Quintetto per archi e pianoforte si configura come l'estremizzazione di modalità di lavoro che Brahms adotta comunemente. Il compositore è come guidato da un vincolo morale, che lo spinge a sottoporre a controlli numerosi e severissimi ogni momento della propria attività, allo scopo di porgere al pubblico un prodotto non solo finito, ma unico e assolutamente perfetto.

Se caratteri di unicità conservano tutti i lavori, cameristici e non, di Brahms. tanto più il Quintetto op. 34 - il solo omaggio al genere uscito dalla sua penna - acquista un tocco d'individualità straordinaria, ponendosi quale nodo cruciale entro la sua parabola creativa. In esso il compositore risolve il problema della convivenza tra due entità foniche differenti, riservando al pianoforte un ruolo di primaria importanza, di stampo concertante, e assegnando agli archi il compito di trasmettere, grazie a un'infinita serie di giochi e rimandi timbrici, il senso di una spazialità di tipo sinfonico-orchestrale.

Ne dà conferma già l'esordio del primo movimento, Allegro non troppo. In apertura Brahms affida il motivo inaugurale del primo tema, quasi una melodia di origine zigana, al pianoforte, al violoncello e al violino primo, introducendo l'ascoltatore al clima di collaborazione cameristica tra i diversi strumenti. Ebbene, quell'intima dimensione è ben presto abbandonata: subito dopo l'ingresso del pianoforte - al quale è assegnato il secondo motivo del primo tema, strettamente derivato dal precedente - torna il motivo d'apertura, caratterizzato, però, da una profondità di tipo orchestrale. Brahms lo affida in fortissimo ai quattro archi, che ne esaltano il carattere ritmico e scattante, sottolineandone la funzione di motore dell'intero movimento. E la forza propulsiva del tema si sprigiona a partire dalla cellula iniziale: quel caratteristico «salto» di quarta ascendente. L'attitudine brahmsiana all'applicazione del principio dell'elaborazione tematica - di derivazione classica - anche a motivi minimi, si ritrova intatta allorché, a partire dal citato intervallo di quarta, Brahms costruisce il secondo inciso del primo tema. Affidato al pianoforte, che tra gli sforzati degli archi se ne fa protagonista, si sviluppa grazie al riempimento della quarta d'apertura, ora anteposta a una rapida serie di quartine di sedicesimi.

Segue un episodio caratterizzato da evidente cedevolezza lirica, dal quale affiora un dolce disegno melodico, affidato principalmente al violino primo. A sua volta derivato dal primo tema, il nuovo motivo serve a Brahms per raggiungere la zona del secondo. Emerge qui un'altra caratteristica del comporre brahmsiano. L'amburghese assume in toto e consapevolmente la forma-sonata classica come modello strutturale per costruire, in genere, i movimenti d'apertura e di chiusura dei suoi lavori. Riveste, però, i singoli momenti di quella struttura formale di significati nuovi. Nel caso particolare, l'episodio si configura effettivamente come una transizione, dalla quale, tuttavia, traspare un motivo tanto precisamente connotato da non aver nulla da invidiare ai temi primo e secondo veri e propri. Raggiunta la zona del secondo tema, Brahms non organizza nuovo materiale tematico sotto forma di un ulteriore disegno melodico chiaramente evidenziabile, ma frammenta un'idea, di carattere più lirico e disteso rispetto al tema iniziale, affidandola in parte agli archi acuti, in parte agli archi gravi, in parte al pianoforte.

Analogamente a quanto fatto nella transizione, anche nel ridotto Sviluppo, generalmente luogo privilegiato per l'elaborazione tematica, Brahms si limita a dar spazio ora al primo motivo del primo tema, ora al secondo tema, trasportandoli in ambienti armonici volta a volta differenti.

È quindi il momento della Ripresa: Brahms l'avvolge in un'aura d'inaspettato mistero. Se da un lato la configura, da un punto di vista timbrico, come simmetrica riproposizione dell'Esposizione, da un punto di vista armonico sembra invece divertirsi a confondere le acque. Al momento dell'ingresso del primo inciso del primo tema, infatti, il pianoforte avvia una serie di accordi modulanti che creano un clima di sospensione della tanto attesa tonalità principale. Non è tutto. Il compositore assegna un ruolo in qualche misura insolito anche alla Coda, Poco sostenuto. In essa sembra recuperare quel bisogno di rielaborazione del materiale tematico di partenza lasciata insoddisfatta nell'anomalo Sviluppo. Di fatto, la Coda si apre con un ampio episodio contrappuntistico, «giocato» in gran parte dagli archi, in cui è sviluppato il primo motivo del primo tema. A seguire, un nuovo episodio in Tempo I, in cui viene elaborato, in un clima di accesa luminosità, il secondo motivo del tema principale.

Alla complessità e all'ampiezza del primo movimento sembra contrapporsi la semplicità strutturale e contenutistica del successivo Andante, un poco Adagio. Assorto e carezzevole, vi compare in apertura un primo episodio, dal quale emerge un tema contraddistinto dalla reiterazione della medesima figura ritmica, assegnata a viola e violino primo oltre che alla mano sinistra del pianoforte. Una figura ritmica che viene a mancare soltanto all'ingresso del tema del secondo episodio e che, con la sua presenza costante, è capace di connotare l'intero movimento, conferendogli caratteristiche di monocromia. E così, anche la sezione di raccordo, che conduce alla ripresa dell'episodio iniziale, è edificata da Brahms poggiando su quello stesso andamento ritmico, affidato al solo pianoforte. Agli archi, invece, spetta la rielaborazione del tema già presentato nel secondo episodio, presto riproposto nella Coda conclusiva.

Tanto il tempo lento rimanda al mondo intcriore di Brahms, al suo carattere per certi versi così schivo e introverso, quanto lo Scherzo. Allegro porta in superficie il lato dionisiaco dello spirito brahmsiano, pur imbrigliato dall'andamento ritmico ossessivo e martellante che domina l'intero movimento. In esso tornano tutte le tensioni del movimento d'apertura, estremizzate dai continui sbalzi tra tonalità minore e maggiore, dai continui cambi di metro (dal 6/8 della prima e della terza idea tematica, al 2/4 della seconda, cui corrisponde un continuo mutamento di temperie espressiva, dovuto ai repentini passaggi da un tema all'altro. Uno solo dei quali, il secondo, viene liberamente rielaborato. Brahms, affidato il tema alla viola, lo sovrappone a una nuova linea, assegnata alla mano sinistra del pianoforte. Ai due strumenti si aggiungono, via via, gli altri componenti dell'ensemble, impegnati a dar vita a un episodio di carattere contrappuntistico e di andamento sempre più concitato.

Innestato tra lo Scherzo e la sua ripetizione, un brevissimo Trio tripartito. Alla prima sezione di carattere cantabile si contrappone la maggior vitalità dell'episodio centrale, seguito dalla ripresa variata della sezione precedente.

Grandioso quanto il primo, l'ultimo movimento del Quintetto si rivela, per quanto concerne l'utilizzo della forma, ancor più «libero» di quello. Lo è innanzitutto nell'introduzione lenta Poco sostenuto, in cui Brahms, proprio come aveva fatto per la Ripresa del movimento iniziale, sospende la tonalità d'impianto, mascherandola in una rete fittissima di sottili e ardite modulazioni. Ne esce una pagina dal clima aurorale, nebuloso, carico di mistero, che getta un'ombra sul seguente Allegro non troppo, andando a scalfirne la gioiosa e vitale gagliardia. Ma veniamo alla struttura dell'Allegro, in cui sono esposti due temi, il primo di carattere popolare, tutto vitalità e baldanza, il secondo cantabile ed elegiaco, collegati da una brevissima transizione. A seguire, ancora come nel primo movimento, un altrettanto breve Sviluppo, in cui i due temi non compaiono affatto. Ciò che spiegherebbe la scelta di Brahms di riversare nella Coda conclusiva, Presto non troppo, quell'urgente bisogno di rielaborazione di materiali già enunciati, rimasta insoddisfatta nello Sviluppo. Nella Coda vengono perciò ripresi elementi che rimandano all'incisività ritmica dello Scherzo, in'particolare al suo terzo tema, affiancati ad altri derivati invece dal Poco sostenuto.

Raffaella Valsecchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nonostante lo splendore della sua musica orchestrale, Johannes Brahms confidò alla musica da camera le sue ispirazioni più belle, più profonde, più autentiche. Eppure nei primi dieci anni della sua attività non aveva mostrato alcun interesse per la cameristica e si era dedicato quasi esclusivamente al pianoforte e ai Lieder: solo alcuni lavori incompiuti o non pubblicati lasciavano già intuire una sua latente predilezione per questo genere musicale, in cui avrebbero trovato una simbiosi perfetta i due aspetti apparentemente inconciliabili della sua arte, la ricerca di perfezione formale e il tono confidenziale e intimo, cioè - semplificando - il lato classico e il lato romantico. Ma questa predilezione avrebbe cominciato a manifestarsi concretamente solo dopo il 1860. Da allora i lavori cameristici si susseguirono con regolarità, cosicché alla fine della sua vita Brahms lasciò un catalogo di ventiquattro composizioni da camera, ripartite tra un gran numero di organici diversi (e spesso inusuali, come il Sestetto d'archi o il Trio di pianoforte, violino e corno), ognuno dei quali è utilizzato una, due o al massimo tre volte, senza che si delineino cicli monumentali paragonabili ai diciassette Quartetti per archi di Beethoven.

Al di là della varietà degli organici, la musica da camera di Brahms ha in comune un colore di fondo nostalgico e autunnale, che si stende sui toni intimi e sulle inflessioni colloquiali come sulle meditazioni tragiche e le accensioni passionali, sul sentimento malinconico della natura come sulle vivide citazioni della musica popolare, specialmente zigana. Sul piano formale, Brahms non introduce particolari novità, in quanto l'architettura dei movimenti e la tecnica di sviluppo e variazione dei temi si ricollegano al modello beethoveniano, ma con una ricchezza d'invenzione e una leggerezza di scrittura che danno sempre un'impressione di totale libertà e naturalezza. Riesce dunque a conciliare aspetti apparentemente inconciliabili, romanticismo e classicismo, intima espressione dei sentimenti e poderosa costruzione formale, senso della melodia e sapienza contrappuntistica.

Il Quintetto in fa minore per pianoforte e archi op. 34 costituisce il momento della conquista della piena maturità da parte di Brahms, l'opera in cui tutti i contrastanti aspetti della sua arte raggiungono piena espressione e completo equilibrio: dunque uno dei suoi massimi capolavori, non soltanto nel settore della musica da camera. Come molti altri capolavori di Brahms, ebbe una genesi tormentata da dubbi e ripensamenti. Era stato ideato nel 1861-1862 come Quintetto per archi (due violini, viola e due violoncelli: la stessa formazione usata da Schubert nel suo Quintetto in do maggiore), ma questa versione fu distrutta dopo le critiche di Joseph Joachim e Clara Schumann, i cui consigli erano sempre ascoltati con la massima attenzione da Brahms: in particolare Clara suggerì che certi temi e sviluppi avrebbero richiesto il pianoforte. Allora Brahms lo riscrisse per due pianoforti e lo fece eseguire a Vienna nell'aprile del 1864; ma anche questa volta non convinse gli ascoltatori e Clara Schumann individuò la sua debolezza nel fatto che "è un'opera così piena d'idee che richiede un'intera orchestra, al pianoforte la maggior parte di queste idee si perdono" e concluse: "Ti prego rivedila ancora una volta". Brahms amava questa versione (la pubblicò alcuni anni dopo come Sonata per due pianoforti op. 34 b) ma ancora una volta seguì i consigli dell'amica, solo parzialmente però, perché invece di un'intera orchestra affiancò al pianoforte il quartetto d'archi.

Questa terza versione fu realizzata nell'estate del 1864 e l'opinione dei fidati amici e consiglieri di Brahms fu questa volta unanimemente positiva. Il grande direttore d'orchestra Hermann Levi scrisse a Brahms una lettera entusiastica: "II Quintetto è bello oltre ogni dire. Chi non l'avesse ascoltato nelle sue vesti iniziali di Quintetto per archi e di Sonata per due pianoforti non potrebbe supporre che non sia stato originalmente pensato e realizzato per l'attuale combinazione di strumenti... D'un lavoro monotono per due pianoforti voi avete fatto un'opera di grande bellezza, un capolavoro della musica da camera. Non si era ascoltato nulla di simile dal 1828" (l'anno del Quintetto di Schubert già prima evocato).

Come ha osservato Florence May, il primo movimento domina il Quintetto per la vastità delle dimensioni, la potenza dell'ispirazione, l'abbondanza delle idee: ricorda le audaci composizioni della prima giovinezza, ma con l'aggiunta di una superiore maestria. È un Allegro non troppo, in un'ampia forma-sonata basata su tre temi principali. Il primo è presentato dal primo violino, violoncello e pianoforte in un energico unisono, con un tono vigoroso e affermativo; presto un motivo di transizione "dolce espressivo" porta alla lontana tonalità di do diesis minore del secondo tema, che si espande cantabile ed espressivo per ben quaranta battute, dopo di che entra senza alcuna transizione il terzo tema, che inizialmente ricorda il primo ma in seguito rivela un andamento più marcatamente ritmico. Lo sviluppo è piuttosto breve e si basa esclusivamente sui due primi temi, che attraversano varie tonalità con modulazioni d'ammirevole naturalezza. La ripresa ripresenta regolarmente i tre temi ed è coronata da una vasta coda, che inizia con un Poco sostenuto dal tono misterioso ma poi accelera nuovamente per tornare al tempo iniziale e concludere con slancio ed energia il movimento.

In netto contrasto col primo movimento, l'Andante, un poco adagio introduce un'atmosfera ombrosa, misteriosa, sognante. Si basa su un unico tema principale, esposto inizialmente dal pianoforte, dal primo violino e dalla viola sul pizzicato del violoncello: è un tema meraviglioso, non solo per la sua affascinante espressività, ma anche per la sua costruzione, semplice e pura all'ascolto ma anche molto raffinata e complessa, con il pianoforte che presenta un ritmo e un'armonia propri, diversi da quelli degli altri strumenti, che suonano sempre pianissimo.

Il terzo movimento è costruito secondo il classico schema tripartito - Scherzo, Trio e ripetizione letterale dello Scherzo - ma è articolato più ampiamente e variamente di quanto questo schema lascerebbe prevedere. Lo Scherzo vero e proprio è caratterizzato dalla contrapposizione dei ritmi di 6/8 e di 3/4, che, unitamente ai frequenti passaggi dal maggiore al minore, gli da un carattere fantastico e imprevedibile di ballata nordica, tipico della musica dell'amburghese Brahms. Nel Trio un canto solenne d'ispirazione popolare si alterna con un motivo secondario più intimo e lirico.

Se i primi tre movimenti avevano sfoggiato un'abbondanza tematica non comune, il finale è anche più ricco. Invano si cercherebbe di farlo rientrare nelle forme classiche, perché Brahms ignora qui tutte le classificazioni e si crea la forma più conveniente al suo pensiero, con una concezione di audace modernità, che fu molto ammirata da Arnold Schonberg. È formato da tre sezioni, con una continua progressione di tempo, che porta dal Poco sostenuto all'Allegro non troppo e al Presto non troppo. La prima sezione oppone un motivo ascendente, che sembra passare dall'ombra alla luce, e un'ampia frase lirica ed espressiva: ha chiaramente la funzione d'introduzione e tende all'Allegro non troppo.

È questo il nucleo centrale del movimento e vi si susseguono non meno di quattro temi principali: il primo, esposto dal violoncello cui si aggiunge la viola, sull'accompagnamento del pianoforte, sembra emergere dall'oscurità dell'introduzione ed esso stesso si rivela ombroso e instabile, al di sotto di un'apparenza vigorosa e virile; questo tema viene ripetuto e arricchito da motivi accessori, finché appare il secondo tema, "un pochettino più animato", melodico e implorante, cantato piano dagli archi. Senza transizione attacca il terzo tema, tipicamente brahmsiano per il suo lirismo unito ad un tono virile, senza sentimentalismi; il quarto tema, che appare dopo una transizione in tempo "diminuendo poco ritenuto", ha invece un carattere delicato e magico. A questo punto i quattro temi vengono ripetuti, ma in un ordine diverso (il quarto tema viene ora per secondo) e con diverse piccole e meno piccole modifiche. Un libero intermezzo conduce alla parte finale, Presto non troppo, basata su due nuovi temi: il primo, affidato agli archi sugli ampi accordi del pianoforte, è affine al primo tema dell'Allegro non troppo; il secondo è declamato energicamente da tutti gli strumenti. Il movimento prosegue sempre più intenso e febbrile, sfociando in una coda splendida e trionfale.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Quintetto in fa minore op. 34 per pianoforte e archi è una delle opere più celebri di Johannes Brahms, oltre che una delle poche nelle quali il getto dell'ispirazione, torrenziale, sembra avere la meglio sulle sue proverbiali cautele nel procedimento di scrittura. La genesi dell'opera, in realtà, è molto accidentata e percorre per intero un anno di profonda crisi emotiva, il 1864, nel corso del quale egli sembra aver trovato ancora una volta rifugio nel lavoro, in quella cura artigianale e quasi maniacale della forma che giustamente è stata definita da Massimo Mila come un "argine" esistenziale opposto agli attentati della disperazione.

La prima versione era destinata alla formazione del quartetto d'archi, ma qualcosa nell'abbondanza dei materiali e nel loro respiro vasto, orchestrale, fece inclinare Brahms per un'altra soluzione, quella della Sonata per due pianoforti. Una volta preparato un abbozzo di questa versione, Brahms ne inviò copia a Clara Schumann, che rimase entusiasta delle idee musicali ma giudicò inadeguata la scelta dei due pianoforti. "È un'opera così piena di idee - scrisse a Brahms - da richiedere un'intera orchestra. Al pianoforte la maggior parte di queste idee va perduta. Può percepirle uno specialista, ma non certo il pubblico". Fu allora Hermann Levi, direttore d'orchestra che aveva suonato in coppia con Clara la versione per due pianoforti e che, al contrario di lei, ignorava l'originaria derivazione dal quartetto d'archi, a proporre al compositore l'ipotesi del quintetto con pianoforte. Brahms accolse il suggerimento, nella convinzione che alcuni passaggi più decisamente "orchestrali" richiedessero l'intervento del pianoforte, e approntò in tempi piuttosto rapidi la versione definitiva dell'op. 34, la compattezza della quale non rivela nulla dei dubbi, delle discontinuità, delle manomissioni con cui la materia sonora venne trattata in concreto. "Da una composizione monotona per due pianoforti avete tratto un'opera di grande bellezza", gli scrisse Levi, aggiungendo che "non si ascoltava nulla di simile dal 1828", ovvero dall'anno della morte di Schubert.

Il paragone con Schubert è pertinente per tutto quel che riguarda l'espansione delle idee melodiche, la ricchezza e il carattere emotivo, quasi patetico del discorso armonico, come pure per la tendenza a trattare l'insieme cameristico come se si trattasse di un cartone di studio per la grande orchestra. Dal punto di vista dell'architettura, invece, lo sforzo di Brahms sembra essere stato quello di eguagliare l'equilibrio, o per meglio dire lo squilibrato bilanciamento di certe composizioni di Beethoven. I due movimenti estremi sono di gran lunga più vasti, imponenti e densi dei due movimenti intermedi, ma proprio la loro simmetria, il loro contrapporsi come pesi di eguale forza collocati ai due poli della composizione, garantisce la stabilità dell'edificio. L'Andante, basato su un'idea melodica principale e altre idee secondarie che le somigliano come per una comune aria di famiglia, è un esempio di "orchestrazione cameristica" leggera ed espressiva, mentre lo Scherzo Allegro, il terzo movimento, rinvia a quel clima nordico, quasi da ballata, che è stato fin dal principio uno degli elementi dominanti della poetica brahmsiama. Ma sono appunto le idee della pagina d'apertura, fin dal bellissimo tema esposto all'unisono da violino, violoncello e pianoforte per essere ampiamente sviluppato e intrecciato ad altri motivi, come pure il percorso di intensità crescente del finale, a porre il marchio della genialità su una delle pagine più affascinanti di tutto l'Ottocento musicale.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 119 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 18 novembre 2005
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 marzo 2003

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Ultimo aggiornamento 28 febbraio 2013