Begräbnisgesang (Canto funebre) per coro e orchestra, op. 13


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
Testo: Michael Weisse Organico: coro misto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 3 trombe, timpani, archi
Composizione: Detmold, 2 novembre 1858
Prima esecuzione: Amburgo, Accademia Grädener, 2 dicembre 1859
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia, 1861
Guida all'ascolto (nota 1)

Questa composizione, che con impressionante precocità rappresenta l'assorbimento di una musica "storica" (secondo una apertura culturale ereditata da Schumann) e allo stesso tempo il primo nucleo del futuro Deutsches Requiem, nacque nel novembre del 1858 a Detmold dove Brahms venticinquenne, durante i mesi invernali degli anni 1857-1859, insegnava il pianoforte alle figlie del Principe Lippe-Detmold e istruiva un coro privato alle dipendenze della corte. Il testo è di Michael Weisse, un monaco di Breslau convertito al luteranesimo, cui si deve l'adattamento e la traduzione in tedesco di molti inni ambrosiani raccolti nel Gesangbuch der böhmischen Brüder ("Libro di canti dei fratelli boemi") del 1531. L'assenza di ogni erudizione archeologica, sostituita dalla calda emozione di resuscitare direttamente la voce della più augusta tradizione, è affermata dallo stesso Brahms in un passo della lettera dell'autunno 1858 che annuncia la composizione all'amico Julius Otto Grimm: "non c'è nemmeno bisogno che ti dica che non ho Utilizzato nessun corale o nessuna melodia popolare". La prime esecuzione, diretta da Brahms con il lavoro ancora manoscritto, ebbe luogo ad Amburgo il 2 dicembre 1859 per il primo concerto stagionale dell'Accademia di canto Grädener.

Dalle lettere del tempo risulta che Brahms s'impegnò a lungo per determinare il colore degli strumenti destinati a sostenere o a collegare le entrate del coro (soprani, contralti, tenori e bassi, questi ultimi suddivisi in due gruppi); infine si risolse per un'orchestra tutta di fiati con tromboni e timpani, responsabili di un timbro di arcaica solennità penitenziale che subito s'impossessa dell'ascoltatore con l'opprimente opacità del do minore. Le sette strofe del testo di Weisse, raggruppate in tre sezioni, sono tutte nello stesso "Tempo di Marcia funebre"; nella prima, per una sorta di diogenismo protestante che spoglia la materia sonora, i soprani tacciono (una scelta timbrica che prefigura l'esordio del Requiem tedesco dove tacciono i violini); entreranno sull'immagine della resurrezione annunciata dalle angeliche trombe, dopo che il timpano nel suo cupo martellare avrà ribadito il concetto dell'uomo miseramente legato alla terra. Il balsamo della tonalità maggiore si stende sulle strofe quarta e sesta, dove Brahms sfoltisce il coro ("halber Chor") facendo ogni tanto tacere i bassi per aumentare il colore trasparente, fiducioso di riscatto; nella strofa quinta, eccezionalmente, la compattezza corale si suddivide in brevi incastri dialoganti fra sezione femminile e maschile. L'ultima strofa riprende da capo il do minore, sigillando la composizione con epigrafica concisione; più che concludersi il pezzo sembra ammutolire di fronte alla gravita del quadro da esso stesso evocato.

Giorgio Pestelli

Testo

Begräbnisgesang

Nun lasst uns den Leib begraben,
bei dem wir kein'n Zweifel haben,
er werd am letzten Tag aufstehn,
und unverrücklich herfür gehn.

Erd ist er und, von der Erden,
wird auch wieder zu Erd werden,
und von Erden wieder aufstehn,
wenn Gottes Posaun wird angehn.

Seine Seel lebt ewig in Gott,
der sie allhier, aus seiner Gnad,
von aller Sund und Missetat
durch seinen Bund gefeget hat.

Sein Arbeit, Trübsal und Elend
ist kommen zu ein'm guten End,
er hat getragen Christi Joch,
ist gestorben und lebet noch.

Die Seel, die lebt ohn alle Klag,
der Leib schläft bis am letzten Tag,
an welchem ihn Gott verklären
und der Freuden wird gewähren.

Hier ist er in Angst gewesen,
dort aber werd er genesen,
in ewiger Freude und Wonne
leuchten wie die schöne Sonne.

Nun lassen wir ihn hier schlafen,
und gehn allsamt unsre Strassen,
schicken uns auch mit allem Fleiss,
denn der Tod kommt uns gleicher Weis.
Canto funebre

Or seppelliamo il corpo
che, non dubitiamo,
risusciterà all'ultimo giorno,
e intatto riaffiorerà.

È terra, è nato dalla terra,
ancora terra ritornerà,
e dalla terra risusciterà,
quando la tromba di Dio squillerà.

L'anima vive eterna in Dio,
che qui per sua grazia,
da ogni colpa e misfatto
ha redento con la sua alleanza.

Ogni fatica, tribolo e miseria
son giunti a buon fine,
ha portato il giogo di Cristo,
è morto, e vive ancora.

L'anima, scevra da colpe, vive,
il corpo dorme fino all'ultimo giorno,
quando Dio lo trasfigurerà
e la gioia eterna gli concederà.

Qui è vissuto in angoscia,
ma lassù egli godrà,
splenderà come il bel sole
in gioia ed eterno piacere.

Or lasciamo ch'egli qui dorma,
e procediamo insieme nel nostro cammino,
tutto sopportiamo di buona volontà:
la morte pur sempre ci raggiungerà.
(traduzione di Olimpio Cescatti)

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 9 novembre 2002

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Ultimo aggiornamento 16 novembre 2012