Quattro Ballate per pianoforte, op. 10

Ispirate alla ballata tradizionale scozzese "Edward" compresa nella raccolta "Simmen der Völker" di Johann Gottfried Herder

Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Re minore - Andante
  2. Re maggiore - Andante
  3. Si minore - Intermezzo. Allegro
  4. Si maggiore - Andante con moto
Organico: pianoforte
Composizione: 1854
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1856
Dedica: Julius Otto Grimm
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le composizioni per pianoforte solo occupano un particolare rilievo nella prima e nell'ultima fase creativa di Johannes Brahms. In entrambi i casi, esse rappresentano il luogo nel quale - accantonato il severo rispetto della forma classica - Brahms compone con maggiore libertà e lascia più facilmente emergere in primo piano l'aspetto spontaneo della propria ispirazione. La concezione dei brani per pianoforte solo rivela in ogni caso alcuni elementi che caratterizzano in profondità tutta l'opera di Brahms e che ridimensionano il suo cosiddetto "formalismo", inserendolo in un contesto espressivo assai più complesso. Le Quattro ballate op. 10 appartengono alla sua produzione giovanile, essendo state scritte a Düsseldorf nel 1854, all'età di 21 anni. La mancanza di effetti virtuoslstici, la concentrazione del materiale impiegato, la sua definizione ritmica e armonica, evidenziano però un tratto comune alle sue composizioni dell'estrema maturità e colgono nell'intimismo, in un tono confidenziale che rinuncia alla monumentalità e alla decorazione, la sua cifra stilistica più appropriata.

Nel loro insieme, le Quattro ballate op. 10 compongono un ciclo unitario ispirato alla ballata popolare scozzese Edward, tradotta e divulgata in tedesco da Herder, autore al quale più volte Brahms avrebbe fatto ricorso nelle sue composizioni vocali. L'atteggiamento che Brahms assume davanti al soggetto letterario è però molto originale e si distingue in modo marcato sia dalle tendenze della cosiddetta "musica a programma", sia da quelle del semplice descrittivismo. Abbozzando un principio che avrebbe ulteriormente sviluppato nel suo lavoro successivo, Brahms concepisce il rapporto tra musica e testo poetico come un rapporto ermeneutico, di interpretazione: i versi o il soggetto narrato non devono cioè essere solamente accompagnati o rappresentati dalla musica, né solo sottolineati nel loro impatto emotivo; per Brahms, la musica deve piuttosto interagire con il linguaggio poetico e commentarlo, svolgendo nel suo autonomo disegno ciò che non viene detto nel testo letterario. Se questa impostazione è particolarmente riconoscibile nelle opere vocali della maturità di Brahms, nelle Quattro ballate op. 10 se ne ha un primo significativo esempio: la corrispondenza fra i singoli episodi musicali e gli eventi narrati dalla ballata popolare scozzese non serve a illustrare un contenuto, ma fornisce la base per l'esercizio interpretativo che la musica compie rielaborando liberamente singoli aspetti della vicenda.

La Prima Ballata, in re minore, presenta una suddivisione in tre sezioni comune anche agli altri brani del ciclo. La prima parte si riferisce al drammatico dialogo di Edward con la madre; nonostante ogni suo passo sia associato dal compositore a una specifica serie di versi la musica procede in modo autonomo e si sofferma lungamente sulla caratterizzazione dell'ambiente nordico e del clima di leggenda dell'intero quadro. La seconda sezione commenta il parricidio commesso da Edward; Brahms adotta in questo caso una soluzione ritmica caratteristica (tre note contro due) e rende così più sensibile la distinzione fra il soggetto che partecipa all'azione equello che la osserva. L'ultima parte contiene l'epilogo,la maledizione lanciata da Edward e il lamento della madre, un episodio che non compare nella versione herderiana della ballata e che mostra ancora una volta con quale libertà Brahms trattasse il testo poetico. Conclusa l'esposizione, Brahms ne svolge in modo più esteso l'interpretazione nelle ballate successive, concentrandosi ogni volta su differenti spunti di riflessione.

La Seconda ballata, in re maggiore, è costruita su cinque temi non sviluppati, distribuiti in una struttura ad arco caratteristica dello stile di Brahms. I toni fiabeschi e drammatici si alternano in una sequenza che sembra riferirsi al destino di Edward. La Terza ballata, in si minore, ha l'aspetto di un intermezzo in forma di Scherzo drammatico, molto stilizzato. Da un lato essa alleggerisce la tensione accumulata in precedenza, dall'altra riporta la leggenda narrata a un'esemplarità quasi archetipica, mitologica. La Quarta ballata, in si maggiore, ha un atteggiamento meditativo, ormai lontano dalla drammaticità della Prima, mentre la scrittura pianistica si prosciuga ulteriormente e sembra già proiettata verso lo stile delle ultime composizioni brahmsiane. Il senso della riflessione fin qui svolta è ora riportato a una meditazione privata, a un ripiegamento su di sé che Brahms suggerisce di percorrere con «intimissimo sentimento».

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 30 settembre 1853 Brahms, consigliato dal direttore d'orchestra Wasielewski e dal'amico Joseph Joachim, si recò a Düsseldorf per conoscere gli Schumann, che gli riservarono un'accoglienza calda e cordiale. Il ventenne musicista di Amburgo suonò al pianoforte alcuni suoi pezzi e suscitò subito l'entusiasmo di Robert, che nemmeno un mese dopo scrisse sula rivista da lui fondata, la «Neue Zeitschrift für Musik», il notissimo saggio intitolato «Neue Bahnen» (Nuove strade), in cui parlava in termini altamente elogiativi di questo giovane «alla culla del quale avevano vegliato grazie ed eroi e che era chiamato a darci la più pura espressione ideale del nostro tempo». Un giudizio che lusingò molto Brahms e gli aprì le porte del mondo musicale tedesco, sia artistico che editoriale. I sentimenti che il giovane «Messia di Schumann biondo e delicato», come lo definì in quel periodo un suo ammiratore, nutrì per i due artisti che lo avevano lanciato nel difficile ambiente della musica trovarono espressione nelle sedici Variazioni su un tema di Robert Schumann, composte nel 1854. Oltre ad un doveroso omaggio alla coppia che rimase sempre cara al cuore di Brahms, queste Variazioni sono importanti perché seguono nel loro adattamento formale le orme dell'arte di Schumann, specie per quel modo fantasioso di utilizzare liberamente i temi melodici.

Nello stesso anno (estate 1854) Brahms compose a Düsseldorf le Quattro Ballate op. 10 in re minore, in re maggiore, in si minore e in si maggiore, uniformandosi in parte allo stile pianistico schumanniano. Egli le propose per la stampa all'editore Bartholf Senff con queste poche parole di accompagnamento: «Non sono difficili da eseguirsi e sono meno difficili da capirsi». Però soltanto due anni più tardi e per intercessione di Clara Schumann presso Breitkopf e Härtel le Ballate furono pubblicate ed eseguite più volte nelle sale concertistiche.

Esse sono considerate le ultime composizioni per pianoforte del primo periodo creativo di un Brahms ventunenne, ma già personale nell'uso delle sfumature sonore che si intrecciano con i ritmi sincopati. La prima Ballata è una rievocazione musicale in tono triste e nostalgico del poema scozzese «Edward» (uno dei tanti riferimenti della poetica romantica) che il musicista aveva ricavato da una raccolta di canti popolari di Herder intitolata «Stimmen der Völker» (Voci di popolo). Lo stesso poema sarebbe stato utilizzato più tardi per un'altra composizione di Brahms: la prima delle quattro Ballate dell'op. 75 per due voci e pianoforte. La seconda Ballata è intrisa di una delicatezza melodica schiva e tutta brahmsiana. La terza Ballata al contrario ha il taglio e l'andamento di uno scherzo di pregevole fattura. La quarta Ballata si rifà più delle altre al pianismo di Schumann ed è molto indicativa la nota apposta da Brahms sulla partitura e che dice: «Con intimissimo sentimento, ma senza marcare la melodia». Il ciclo di queste sognanti Ballate senza parole si conclude con la stessa malinconica frase iniziale e in un clima di tenerezza pianistica.

Ennio Melchiorre


(1) Testo tratto dal programma di sala di un Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 9 aprile 1976

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Ultimo aggiornamento 2 novembre 2012