Quartetto per archi n. 2 in re maggiore


Musica: Alexander Borodin (1833-1887)
  1. Allegro moderato (re maggiore)
  2. Scherzo: Allegro (fa maggiore)
  3. Notturno: Andante (la maggiore)
  4. Finale: Andante. Vivace (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1881
Prima esecuzione: San Pietroburgo, Societa imperiale di musica, 9 Marzo 1882
Dedica: Ekaterina Borodina
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Figlio naturale di un principe georgiano, Borodin cominciò ad apprendere le prime nozioni musicali all'età di otto anni, quando la madre gli regalò un flauto che imparò, a suonare da solo. Successivamente non mancò di dedicare alla musica una buona parte del suo tempo, pur frequentando tra il 1850 e il 1856 l'Accademia di medicina, da cui uscì diplomato per essere subito assunto all'ospedale dell'esercito territoriale di Pietroburgo. Troppo emotivo per esercitare con profitto la professione del medico, Borodin abbandonò l'ospedale e passò alla cattedra di chimica dell'Accademia militare, un'attività alla quale si dedicò per tutta la vita con passione e rigore professionale. Ebbe occasione di incontrare Musorgskij, che gli rivelò la musica di Schumann, gli fece conoscere Balakirev, personaggio importante nella vita artistica della Pietroburgo di metà Ottocento, e gli trasmise gli entusiasmi del "nuovo corso" della musica russa, invitandolo inoltre a studiare l'opera di Glinka, considerato il padre e il fondatore del movimento nazionalistico russo con la sua celebre partitura Una vita per lo zar.

Borodin seguì i consigli di Musorgskij e compose qualche pezzo da camera e la Prima sinfonia in mi bemolle, che gli costò cinque anni di fatica (1862-'67) e gli procurò grande successo nell'esecuzione diretta da Balakirev il 16 gennaio 1869 a Pietroburgo, in uno dei concerti organizzati dalla "Società Musicale Russa". In seguito Borodin scrisse altre due sinfonie, il poema sinfonico Nelle steppe dell'Asia centrale, così carico di malinconia nella sua ripetitiva cantilena melodica, e per ben diciassette anni, tra il 1869 e il 1887, si dedicò all'elaborazione del Principe Igor, considerato il capolavoro teatrale del musicista per la ricchezza e la varietà dell'invenzione tematica e soprattutto per la grandiosità dei cori, di schietta intonazione popolare russa, e la magnificenza della tavolozza orchestrale. La scelta popolaresca di questo artista è presente anche nella sua produzione strumentale da camera, comprendente due Trii per archi e uno con pianoforte, due Quartetti per archi, in re maggiore e in re minore, un Quintetto con pianoforte, un Sestetto, oltre a diversi pezzi per flauto, violoncello con pianoforte e per pianoforte solo. Dei due Quartetti il migliore per freschezza e naturalezza di espressione è quello in re maggiore, in programma stasera, la cui composizione risale agli anni tra il 1881 e il 1885. Anche se ispirato ai modelli beethoveniani, il Quartetto risente dell'atmosfera e del gusto della canzone russa, sin dal primo movimento con quel tono cantabile che rimbalza dal violino al violoncello e assume colori e accenti di morbidi impasti melodici, secondo le preferenze estetiche indicate già da Glinka. Spigliato e leggero nel suo andamento danzante si presenta lo Scherzo del secondo tempo, in cui varie sonorità strumentali si amalgamano in un piacevole insieme di effetti. Certo, la pagina più efficace e celebrata del Quartetto è lo struggente Notturno del terzo tempo: in esso si esprime in modo completo la sensibilità romantica del musicista, che si rivela un compositore di razza nella capacità a saper cogliere le intime vibrazioni del sentimento umano. Chiara, lineare e suadente è la linea melodica, realizzata con finezza di scrittura dal gioco delle armonie degli archi. Nell'ultimo tempo, dopo un momento di pensosa riflessione, il discorso sonoro riacquista festosità e felicità di espressione, secondo quella predilezione per la forma netta e precisa, come ebbe a confessare ad un suo amico il compositore pietroburghese.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Alessandro Borodin, uno dei membri del famoso gruppo dei cinque artefici della scuola nazionale russa, fu autore oltre che del Principe Igor e di quel fortunatissimo pezzo sinfonico intitolato Nelle Steppe dell'Asia centrale, di sinfonie e di varia musica da camera. In quest'ultima ha goduto sempre di particolare rinomanza il secondo dei due Quartetti ch'egli scrisse. Ad esso si attribuiscono le qualità e, implicitamente, i difetti della sua produzione maggiore, e cioè ispirazione fresca, gusto spiccato del pittoresco, senso rapsodico, efficacia del gesto musicale, fondendovi in elevato eclettismo gli spiriti dello slavismo musicale con la cultura occidentale, senza pertanto assimilarne a fondo le prerogative razionali e formali. Si veda a tal proposito come le tre idee d'impianto dell'Allegro moderato, di per sé gustose e fresche, non sappiano in definitiva amalgamarsi intimamente né generare un autentico sviluppo, il quale s'affida in prevalenza a ripetizioni e allacci a mezzo di tronconi di frasi, corroborati, magari, da cangiamenti tonali. Più fuso, e di felicissima riuscita anche come effettistica sonora, è lo Scherzo, biforcato su due idee, una ritmica e una melodica.

Si arriva così al Notturno, che più degli altri movimenti rivela come Borodin fosse profondamente imbevuto di certa musicalità occidentale, soprattutto francese. E' pagina famosissima ma, a voler esser severi, potrebbe essere stata scritta da un Arensky o, per citare qualcosa di nostro, da uno Sgambati. Comunque è giusto, è comprensibile, che il Notturno, con quel messaggio sì accorato del violoncello cui gli strumenti fanno mesta eco, con quella sincope che ne molleggia il lento veleggiare, è comprensibile, dicevamo, che esso possa ancora oggi far socchiudere gli occhi e intenerire gli animi sensibili.

Nel Finale (Vivace), dove un andante introduttivo propone i membri tematici del successivo fugato, si assiste a una impegnata elaborazione nella quale, però, le parti più felici sono quelle in cui contrappunto, fugato, canoni e via dicendo si stemperano nel pastello dei colori armonici o si risolvono in azzeccate sonorità quartettistiche.

Giorgio Graziosi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 30 Gennaio 1987
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Teatro Eliseo, 23 marzo 1961

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Ultimo aggiornamento 24 agosto 2020