È banale consuetudine sottolineare come solo con Carmen Georges Bizet raggiunga la piena maturità espressiva, relegando al ruolo di piacevoli - se non ingenui - esperimenti tutte le opere che l'hanno preceduta. Opinione rispettabile, ma non di meno arbitraria; è vero che l'importanza storica, musicale ed estetica di Carmen rappresenta un unicum nella produzione di Bizet (e nella storia del melodramma in generale), ma non si può negare che anche i Pêcheurs de perles posseggano una dignità artistica peculiare e specialissima. L'Oriente, così spesso vagheggiato in quello scorcio di secolo, soprattutto in Francia (si suole indicare nell'ode sinfonica Le desert di Félicien David, 1844, il capostipite del genere), fa da sfondo, fascinoso e avvolgente, a una banale storia d'amore, in cui il classico triangolo acquista tinte inusitate: poiché se è vero che Nadir ama appassionatamente Léila, è pur vero che nutre un affetto incondizionato per Zurga; e se quest'ultimo soffre per i morsi della gelosia, non ci fa chiaramente capire chi ne sia effettivamente la causa. Illuminanti in questo senso il suo recitativo e aria del terzo atto "L'orage s'est calmé"; più modestamente, Léila si limita ad amare uno solo dei due.
Al di là dell'intreccio amoroso, della convenzionalità e della
banalità di certi passaggi, Les
Pêcheurs de perles
restano un palcoscenico ideale per cantanti dalla eccezionale caratura
vocale; in particolare il ruolo di Nadir, tutto giocato sul registro
acuto, che il sapiente uso dei cosiddetti 'suoni misti' (l'incisione di
Gigli della celebre "Je crois entendre encore" è esempio probante) può
rendere penetrantissimo e giustamente esotico, è occasione di
inarrivabili trionfi per un cantante in grado di padroneggiarlo con
sicurezza. Tra le pagine dell'opera particolare risalto hanno i duetti
dei protagonisti: quello del primo atto di Nadir e Zurga "Au fond du
temple saint", purtroppo più volte rimaneggiato (non sempre con esiti
felici) dopo la morte dell'autore, e soprattutto quello del secondo di
Nadir e Léila; quest'ultimo, con le sue languide e insinuanti tinte
orchestrali, per certi aspetti anticipa soluzioni utilizzate poi in Carmen.
Quanto a languore e sensualità, inarrivabile è anche la coda
orchestrale del bel coro "Brahma, divin Brahma", preludio, con la sua
atmosfera notturna e misteriosa, all'incantevole aria di Nadir, vago
soliloquio alla luce delle stelle; in risalto anche le pagine corali,
soprattutto quelle che aprono l'opera con la loro particolare
sottolineatura ritmica e l'uso, anche se un poco ingenuo, dei
Leitmotive. Les Pêcheurs
sono
inoltre un esempio lampante di quanto perniciosi possano essere certi
rimaneggiamenti e aggiustamenti della partitura originale. Il finale
dell'opera, infatti, scomparso Bizet parve ai contemporanei non
abbastanza grandioso e non sufficientemente drammatico; si provvide a
modificarlo, aggiungendovi un brutto terzetto e condannando di volta in
volta il povero Zurga a perire tra le fiamme o a essere pugnalato dai
sacerdoti, laddove l'autore aveva preferito un finale più aperto e
sospeso, con Zurga lasciato in vita a contemplare, malinconico, la
felicità dei due amanti in fuga. Fortunatamente, nelle ultime
rappresentazioni e incisioni discografiche si è preferito tornare al
finale originale. Opera intimamente francese, certo, ma anche opera
italiana, se è vero che in Francia, dopo le prime rappresentazioni del
1863, la partitura di Bizet venne quasi dimenticata e fu necessaria la
mediazione dell'impresario Sonzogno il quale, durante l'Esposizione
universale di Parigi del 1889, presentò, fra le altre, un'opera
intitolata I pescatori
di perle,
con grande sorpresa e, si immagina, imbarazzo dei francesi. È anche il
caso di ricordare, oltre alla già citata interpretazione di Gigli,
quanto taluni grandissimi tenori italiani (De Lucia, Caruso,
Tagliavini, solo per citare i più celebri) abbiano contribuito alla
fama del ruolo di Nadir.