Variazioni in do maggiore per pianoforte a quattro mani, WoO 67

su un tema del conte Ferdinand Waldstein

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Organico: pianoforte
Composizione: 1791 - 1792
Edizione: Simrock, Bonn 1794
Dedica: conte Ferdinand Waldstein
Guida all'ascolto (nota 1)

Le Variazioni sopra un tema del Conte di Waldstein, per piano a quattro mani, in do maggiore, furono composte da Beethoven verso il 1792-93 e pubblicate nel 1794. Come indica lo stesso titolo del lavoro, esso si basa su di un tema di quel Conte Ferdinando di Waldstein che fu intimo amico e mecenate di Beethoven sin dai tempi in cui questi viveva a Bonn. Il Waldstein era un eccellente dilettante, di musica e il temino che egli fornì a Beethoven, pur nella modestia delle sue apparenze tutt'altro che pretenziose non è privo di una certa raffinatezza testimoniata da quella modulazione transitoria in do minore che ne ravviva il breve giro armonico e ne riscatta la convenzionalità melodica. Ed è quest'alternanza modale, questo chiaroscuro espressivo che ha eccitato maggiormente la fantasia di Beethoven e su cui la sua immaginazione creatrice ha fatto leva, impossessandosene e sviluppandone i motivi di contrasto dialettico. Già nella prima variazione, mentre la parte superiore discioglie i contorni del tema in un disegno rabescato di staccate terzine, il basso conferisce risalto ed importanza alla frase in do minore, mediante un caratteristico disegno ritmico, sostenuto da plastici accordi.

Nella seconda variazione le figurazioni in semicrome e il tratto in minore (che diventa oggetto di una sempre più spiccata differenziazione ritmica e melodica) vengono suddivisi tra i due suonatori. La terza variazione è affidata soprattutto al «secondo» suonatore il quale svolge il tema intercalandovi dei cromatici arabeschi, mentre la parte del «primo» è limitata a qualche breve punteggiatura ritmica.

La quarta variazione assume un andamento marziale ed è caratterizzata da marcatissime contrapposizioni dinamiche e timbriche nella parte del «primo» tutte le note acute vengono attaccate «fortissimo», tutte le note del registro medio devono essere suonate «piano». Nella quinta variazione il tema viene ripreso dalla parte superiore quasi nella sua forma originaria, mentre le altre voci lo contrappuntano con sinuose linee cromatiche. La sesta variazione riprende il movimento in terzine staccate della prima, raddoppiandone la velocità e potenziando la scansione, ritmica dei bassi. Mentre finora tutte le variazioni rispettavano fedelmente le dimensioni del tema, muovendosi rigorosamente nell'ambito di quattordici battute entro cui esso s'iscrive, la settima variazione spezza quest'ambito e si allunga fino a raggiungere venti battute. In essa si giustappongono i motivi metrici ternari e binari che fin'ora caratterizzavano alternativamente le singole variazioni. Il ritorno dal modo minore in quello maggiore si effettua per mezzo di una breve parentesi cadenzale: un Adagio di quattro battute in 6/8. Ancora più sviluppata è l'ottava variazione che in realtà raggruppa tutta una serie di variazioni collegate in un vero e proprio «finale»: ad una frase Un poco adagio in do minore, seguono (dopo una libera cadenza) un Allegro in 6/8 in do maggiore; un Adagio in 4/4; una breve ripresa del precedente Allegro; ancora lo stesso Adagio; quattro battute di Allegretto in do minore e, finalmente un Presto, che conclude le variazioni con una brillante perorazione.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 17 gennaio 1955

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Ultimo aggiornamento 9 novembre 2016