12 Variazioni in fa maggiore per violoncello e pianoforte, op. 66

sul tema "Ein Madchen oder Weibchen" dall'opera "Die Zauberflote" di Wolfgang Amadeus Mozart

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: 1796
Edizione: Traeg, Vienna 1798

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Composte nel 1798 e pubblicate nello stesso anno a Vienna senza numero d'opera e senza dedica. Il numero d'opera venne aggiunto in una successiva ristampa.

Prendendo lo spunto da un tema del Flauto Magico, l'aria di Papageno, Beethoven si calava nel "popolare", perché il Singspiel di Mozart era stato eseguito in un teatro di periferia ed era noto a tutti i viennesi. La ricerca dell'originalità si sposta qui sul modo di trattare il tema. Fin dalla prima Variazione, affidata al solo pianoforte (anche nelle Variazioni WoO 45 la prima Variazione è riservata al pianista), Beethoven si allontana nettamente dal tema con un disegno ammiccante e burlesco che sembra, più che una Variazione, un ritratto psicologico di Papageno. Altri aspetti del personaggio, più che del tema, vengono messi in luce nelle successive Variazioni, con estrema inventiva e vivacità. Le Variazioni in modo minore sono due, consecutive, e la seconda di esse, straordinariamente suggestiva, serve di introduzione all'ultima, ampliata, che funziona come un finale. La dodicesima Variazione sembra dover finire in gloria, ma un improvviso ripiegamento la fa svanire nel nulla. E queste Variazioni, che evocano il quotidiano e la moda, si colorano invece dei toni misteriosi e sfuggenti di certi racconti borghesi di Hoffmann.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Anche le dodici Variazioni sull'aria, o meglio sui couplets di Papageno nel secondo atto del Flauto magico di Mozart, composte nel 1798 e pubblicate subito dopo a Vienna da Traeg con un numero d'opus probabilmente sbagliato, sono forse opera d'occasione, scritta per un virtuoso. Fra i tre cicli di Variazioni per violoncello e pianoforte composti da Beethoven questo è senz'altro il più noto; e giustamente, poiché la sua fattura è tale da renderne ingiusta la collocazione fra le pagine da dimenticare: soprattutto sotto il profilo ritmico, Beethoven riesce qui a conseguire una netta originalità, che garantisce a quest'opera una grazia e una piacevolezza tutt'altro che banali. Il chiaro impianto virtuosistico della parte del violoncello settecentesco inoltre, contribuisce a rendere più omogeneo l'equilibrio fra i due strumenti. Le avventure formali cui viene sottoposto il popolarissimo tema mozartiano (la scelta del quale attesta la fortuna postuma dell'ultimo capolavoro operistico del Salisburghese, giacché composizioni di questo genere impiegavano quasi d'obbligo motivi a tutti noti e graditi) risentono ancora una volta di un concetto settecentesco della Variazione limitato a una funzione più che altro esornativa, di fioritura; ma è indubbio che la mano di Beethoven si rivela anche da questo punto di vista abbastanza scaltrita, riuscendo a discostarsi dalle formule prefabbricate, fino a proporre una creazione senza particolari ambizioni ma provvista di notevole dignità e autonomia.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 1 febbraio 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentono,
Firenze, Teatro della Pergola, 2 giugno 1988

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Ultimo aggiornamento 4 maggio 2016