Introduzione e variazioni per trio con pianoforte in sol maggiore, op. 121a

sul lied "Ich bin der Schneider Kakadu" di Wenzel Müller

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Introduzione. Adagio assai (sol minore)
  2. Tema. Allegretto con variazioni (sol maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: 1803
Edizione: Steiner, Vienna 1824

Le variazioni sono composte sul lied "Ich bin der Schneider Kakadu" (Io sono il sarto Kakadu) dall'operetta "Die Schwestern von Prag" (Le sorelle di Praga) di Wenzel Müller
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quando nel luglio del 1816 Beethoven, mosso da necessità di ordine economico, chiese all'editore Härtel di pubblicargli una raccolta di variazioni per pianoforte violino e violoncello da lui scritta in giovane età, egli si trovava in un particolare periodo della sua maturità artistica nella quale alcune vicissitudini esterne, non ultima la contrastata vicenda che riguardava la tutela del nipote Karl, avevano imposto un momentaneo rallentamento alla sua produzione artistica. Fu probabilmente questa la circostanza che permise a quest'opera, che in realtà verrà pubblicata solo otto anni dopo, di non restare chiusa in un cassetto con il rischio di andare perduta.

Il tema per queste variazioni è tratto dal lied Ich bin der Schneider Kakadu (Io sono il sarto Kakadu), contenuto in un Singspiel di un autore minore, Wenzel Müller, che nel 1794 era tuttavia abbastanza conosciuto presso i viennesi. Scritta plausibilmente per solo pianoforte, e successivamente trascritta in forma di Trio, l'op. 121a rivela il gusto per le fioriture ornamentali tipico della variazione settecentesca; non di meno si tratta di una composizione riuscitissima, non solo per l'eleganza e l'equilibrio della scrittura, ma anche per una straordinaria capacità di smussare i profili melodici che, all'interno di uno schema armonico-formale semplice e lineare, risultano non essere mai scontati e prevedibili. La stessa op. 121a comprende inoltre un'ampia, corposa introduzione e un vigoroso fugato che, al termine della Variazione X, apre uno squarcio all'interno di un'atmosfera galante e salottiera dalla quale traspare quello che è lo spirito più autenticamente beethoveniano.

Dopo un tetro accordo iniziale subito si presenta l'inciso melodico su cui è costruita l'intera Introduzione (Adagio assai), disegnato da un lento movimento all'unisono dei tré strumenti e poi ripreso in un rarefatto accenno di imitazione. Il successivo passaggio al modo maggiore giunge come uno squarcio di luce, mentre il discorso musicale inizia a scorrere in maniera fluida tra il riecheggiare del motivo principale leggermente modificato. L'atmosfera serena che si è venuta a creare è tuttavia di breve durata: un'inattesa cadenza d'inganno (sul VI grado abbassato) crea infatti una frattura nel discorso musicale, che si interrompe dopo alcune successioni accordali più intense. Quando alla successiva ripartenza il motivo principale passa al violoncello, esso viene quasi coperto dal controcanto del violino, per poi riemergere con maggior evidenza dopo l'ulteriore interruzione di un breve stacco cadenzale. Segue un episodio interlocutorio con progressioni modulanti, nel quale gli archi procedono con un'andatura lenta e scandita, intersecata da un ricamo di scale e arpeggi a note staccate del pianoforte.

Ritorna quindi lo spunto iniziale che si abbandona mollemente a una lenta discesa, nella quale il motivo principale viene continuamente reiterato. La trama musicale riprende momentaneamente tono con un andamento ascendente, segnato da una serie di sforzati in levare, per poi dissolversi lentamente verso la conclusione, che prepara l'arrivo del Tema per variazioni con una cadenza sulla dominante di quest'ultimo.

II tema (Allegretto) di WenzeI Müller utilizzato da Beethoven per le sue Variazioni è un grazioso motivo tipicamente settecentesco; la sua struttura regolare è articolata in tre periodi di otto battute, ognuno dei quali è composto da due frasi molto simili, secondo uno schema riassumibile nella formula A A', B B', C C' , nella quale B tende a gravitare nella tonalità di dominante, mentre C assume il ruolo di ritorno alla tonica. Questa semplice struttura tripartita diviene per l'ascoltatore un sicuro punto di riferimento che emerge con chiarezza nelle successive Variazioni. Di esse, le prime tre sono una sorta di presentazione dei tre strumenti: la Prima con il solo pianoforte che muove un fraseggio legato e scorrevole della mano destra sostenuta da una garbata pulsione di ritmo puntato della mano sinistra; la Seconda con un brillante ricamo di terzine disegnato dal violino; la Terza con una replica al precedente intervento del violino che il violoncello muove in maniera più composta e garbata, quasifosse la risposta di un attempato signore a un giovane un po' irriverente.

Nei tre episodi successivi vi è invece una compartecipazione dei tre strumenti: nella Variazione IV la mano sinistra del pianoforte si abbandona a un libero scorrere di terzine, mentre il tema si alterna tra mano sinistra del pianoforte e archi, con un nervoso incedere fatto di note staccate e contenuti sforzati. Più pacata è invece la Variazione V, formata da una successione di brevi imitazioni che partono inizialmente dal violoncello, dando corpo a una trama musicale morbida e sinuosa. Nella Variazione VI il pianoforte tesse con la mano destra una fitta trama di ottave spezzate, mentre tra gli archi rimbalza un sequenza di ottavi in levare, con acciaccature che li rendono simili a dei divertenti miagolii. Nella Variazione VII il pianoforte tace, lasciando spazio al divertente gioco imitativo tra violino e violoncello, per poi tornare nella Variazione VIII, che viene costruita sulla regolare alternanza tra il brillante gioco «a due» degli archi, e la pronta risposta del pianoforte stesso.

La Variazione IX è invece un mesto Adagio espressivo in modo minore condotto dal pianoforte, mentre gli archi intervengono con dei tappeti armonici e due brevi spunti in alternanza al pianoforte stesso. In netto contrasto con il precedente episodio è il carattere bonario e divertito della Variazione X, nella quale la melodia del tema emerge da un ondulato fraseggio di crome che si snoda in una saltellante andatura in tempo di 6/8, al termine della quale il pianoforte sale verso una tessitura molto alta, quasi a voler imitare il suono di un carillon. A rompere il regolare succedersi delle Variazioni interviene un vigoroso fugato a quattro voci, che prende il via dagli archi, con il tema in tonalità minore che si sovrappone a un controsoggetto a note staccate. Questi due elementi vengono sviluppati mettendo in evidenza le loro differenti caratteristiche: il fraseggio legato e cantabile del tema e la propulsione ritmica a ottavi staccati del controsoggetto. Il fugato si conclude su un pedale di dominante dal quale riparte, in netto contrasto con il dinamismo dell'episodio appena ascoltato, un'ulteriore variazione del tema, mossa come semplice alternanza accordale tra archi e pianoforte. La coda conclusiva comprende infine un pedale di tonica dall'incedere fluido e omogeneo, e un epilogo cadenzale impreziosito dai pizzicati degli archi intrecciati agli staccati del pianoforte.

Carlo Franceschi de Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Non si conosce con precisione la data di composizione di queste Variazioni: l'editore Steiner di Vienna le pubblica con il numero d'opera 121a nel 1824, ma nessuna persona avveduta potrà pensarle successive al Trio dell'"Arciduca" che è del 1810-11; del resto, da una lettera di Beethoven del 1816 a Härtel si ricava che il compositore le aveva già offerte a codesto editore otto anni prima, definendole come appartenenti alle "mie prime opere", sia pure avvertendo di non considerarle "roba scadente" (anche l'autografo, trovato nella collezione Louis Koch a Wildegg in Svizzera, presenta particolarità di scrittura poi abbandonate dal Beethoven degli anni maturi).

È lecito ipotizzare aggiunte e ritocchi quando Beethoven riprese in mano la composizione per offrirla agli editori: in effetti colpisce l'ampiezza dell'Introduzione (Adagio assai), pagina che risente della mobilità armonica della Fantasia in do minore di Mozart K. 475, a Beethoven ben nota nel suo tono serioso e nei suoi contrasti di sforzature e di dolcezze, insomma nel suo quadro drammatico; certo lontano dal Tema scelto per le variazioni: il Lied di Wenzel Müller "Io sono il sarto Kakadu" dal Singspiel Le sorelle di Praga, rappresentato per la prima volta nel 1794 e più volte ripreso nei primi decenni dell'800. Beethoven non sembra interessato alla variazione elaboratrice, ma a quella ornamentale; prende però le sue precauzioni per non essere comune incominciando dagli originali raggruppamenti: dapprima pianoforte solo, poi duo, ora con il violino ora con il violoncello; seguono tre variazioni per trio, quindi, nella settima, tocca al pianoforte di tacere, facendo da spettatore a un mozartiano duo di archi; l'ottava variazione contrappone il pianoforte ai due archi, la nona è un Adagio espressivo in minore, la decima un ampio rondò in 6/8 (Presto), con episodi fugati, sviluppi e coda in 2/4. È interessante notare la presenza di un pianismo virtuosistico di matrice ancora cembalistica, in Beethoven spesso connesso alla tonalità di sol maggiore, e per contrasto l'affettuosità della quinta variazione, vicina ai toni popolari dei Lieder scozzesi op. 108, e l'umorismo della sesta con l'arguzia delle acciaccature scoccate dagli archi: a conferma di una ricca compresenza di stili forse dovuta alle vicende della composizione, dalla sua prima ideazione alla posteriore pubblicazione a stampa nel 1824.

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal libretto allegato al CD AM 125/2-2 allegato alla rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 marzo 1994

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Ultimo aggiornamento 28 settembre 2012