Trio per archi e pianoforte n. 6 in mi bemolle maggiore, op. 70 n. 2


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Poco sostenuto - Allegro ma non troppo
  2. Allegretto (do maggiore)
  3. Allegretto ma non troppo (la bemolle maggiore)
  4. Finale. Allegro
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: 1808
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1809
Dedica: Contessa Marie Erdödy
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nell'introduzione (Poco sostenuto) all'Allegro ma non troppo, un mesto inciso melodico del violoncello, imitato dagli altri due strumenti, è seguito da un delicato profilo della mano destra del pianoforte con trilli e terzine, sfociante in un delizioso frammento tematico di pianoforte e violoncello che anticipa e, al tempo stesso, schiude le porte al primo tema dell'Allegro, ovvero un grazioso motivo che danza in un tempo di 6/8, alternato tra archi e pianoforte. Un secondo motivo del primo gruppo tematico è dato dal successivo intervento melodico del violoncello, subito ripreso dal violino. Come elemento di cesura tra primo e secondo tema troviamo un episodio contrastante, con un lento intreccio di linee melodiche che ricorda in parte l'inizio dell'introduzione. Il secondo gruppo tematico viene anch'esso mosso in un un'equilibrata alternanza tra i vari strumenti, per poi evolvere senza soluzione di continuità verso la coda dell'Esposizione.

Nello Sviluppo, dopo un prolungamento della coda espositiva, viene elaborato il secondo tema, fino a quando dei trilli che ricordano l'incipit del primo tema preparano la Ripresa. Qui il primo tema viene riproposto con consistenti varianti nella sua evoluzione melodico-armonica, mentre il secondo viene trasportato nella tonalità principale, seguito da una dilatazione della coda espositiva. Al termine vi è una parziale riproposizione, con varianti, dell'introduzione e una breve coda conclusiva con citazione del primo tema.

La struttura dell'Allegretto si basa su due temi chiaramente distinti, che vengono sottoposti a variazioni. Un grazioso attacco in levare del pianoforte dà il via a un primo tema, che procede con la pacata eleganza di una danza di corte. Il secondo tema sì apre invece con l'affermazione di una tonalità minore, su cui si inserisce una reiterata cellula di sedicesimi ribattuti. Viene quindi variato il primo tema, con il pianoforte che ne fiorisce la melodia, mentre gli archi, dopo una breve successione dì frasi terzinate, ricamano una delicato ornamento fatto di arabeschi del violino e pizzicati del violoncello. Una seconda variazione del primo tema propone invece un dialogo tra gli archi, sopra il fìtto accompagnamento arpeggiato del pianoforte. Beethoven varia quindi il secondo tema con i ribattuti a quartine dì sedicesimi del tema originario, che diventano ora terzine. Una ripresa ridotta del primo tema fa da collegamanto a una seconda variazione del secondo tema, con inserti melodici degli archi intensi ed espressivi. Nella coda conclusiva riecheggia infine l'attacco in levare del primo tema.

Nell'Allegretto ma non troppo, il primo episodio alterna una gentile melodia in tempo ternario, esposta inizialmente dal violino, e un dialogo tra quest'ultimo e il pianoforte in tonalità di dominante. Nel secondo episodio, semplici e pacate frasi accordali di quattro battute si susseguono nel dialogo tra archi e pianoforte, mentre una sezione interlocutoria con lente scansioni accordali fiorite da leggere figure terzinate porta alla ripresa della prima parte, senza ritornelli e con delle pìccole varianti. Il movimento prosegue con un'ulteriore ripetizione degli episodi, per poi chiudersi sulla coda con citazioni dei due temi.

II movimento conclusivo (Allegro) si apre con un breve stacco accordale, che introduce il motivo principale del primo gruppo tematico, suddiviso tra pianoforte e violino. Rarefatte lìnee terzinate, inframmezzate da bruschi stacchi accordali, portano quindi al secondo tema (nella lontana tonalità di sol maggiore), che comprende un motivo principale energico e deciso dal ritmo anacrusico, seguito da un elemento tematico secondario e da una codetta che riprende i rapidi fraseggi iniziale del primo terna.

Nello Sviluppo, dopo una breve citazione del soggetto secondano del secondo gruppo tematico, si snoda un'ampia elaborazione dello stacco introduttivo. Un leggero pedale di dominante, basato ancora sullo stacco introduttivo del primo tema, porta senza soluzione di continuità alla Ripresa, nella quale viene aggiunta una breve elaborazione del motivo principale del primo terna, quasi a voler compensare la sua assenza nello Sviluppo. Il ponte modulante, opportunamente variato, riporta il secondo gruppo tematico inizialmente In do maggiore e poi, dopo un ulteriore passaggio modulante, in mi bemolle maggiore (tonalità d'impianto); è questa una singolare soluzione formale che Beethoven sembra voler evidenziare affidando il tema al violoncello, strumento che in tutto il movimento non aveva mai ricoperto veri e propri ruoli di conduzione melodica, il Trio n. 2 viene infine chiuso da un'ulteriore citazione del primo tema.

Carlo Franceschi de Marchi

Guida all'ascolto n. 2 (nota 2)

Beethoven ha composto dodici Trii per pianoforte, violino e violoncello, oltre a quattordici Variazioni in mi bemolle maggiore riservate agli stessi strumenti e a due Trii in un solo movimento. Tra essi i più conosciuti e più volte eseguiti sono i due Trii dell'op. 70, di cui il primo in re maggiore prende il titolo anche di «Trio degli spettri» (Geister-Trio) per alcune trovate armòniche nel Largo del secondo tempo evocanti un clima spettrale alla Macbeth, e il Trio op. 97, detto «dell'Arciduca», perché dedicato all'arciduca Rodolfo d'Austria (1788-1831), figlio minore dell'imperatore Leopoldo II. I due Trii dell'op. 70 furono scritti nell'autunno 1808 e dedicati alla contessa Anna Maria Erdödy, nel cui salotto a Vienna, luogo di convegno dell'aristocrazia e degli intellettuali del tempo, vennero eseguiti nel dicembre dello stesso anno da Beethoven al pianoforte, da Schuppanzigh al violino e da Linke al violoncello. Di quella serata ci resta la testimonianza di Johann Friedrich Reichardt, già maestro di cappella di Federico II a Potsdam, che nel suo libro intitolato «Lettere confidenziali scritte durante il viaggio a Vienna» così commenta: «Beethoven stesso ha suonato un Trio nuovissimo per pianoforte, violino e violoncello di grande forza e originalità, e fu assai bravo e risoluto. La contessa Erdödy e una sua amica, anche lei dama ungherese, mostrarono visibilmente il loro piacere per questa musica e per la stupenda esecuzione di Beethoven. Maggiore impressione suscitò il secondo Trio in mi bemolle maggiore, specialmente nel divino tempo cantabile, il più grazioso e amabile da me ascoltato: mi riempie l'animo tutte le volte che ci penso».

Più tardi, e precisamente il 3 marzo 1813, apparve sulla «Leipziger Allgemeine Musikalische Zeitung» una recensione del celebre scrittore e poeta romantico Ernst Teodor Amadeus Hoffmann (1776-1822), che sottolineava il valore di queste due composizioni con le seguenti parole: «Questi due magnifici Trii dimostrano quanto sia profondo in Beethoven lo spirito del Romanticismo e con quanta genialità egli si muova nella musica. Il primo Trio svolge un discorso continuo e compatto; il secondo movimento, un largo molto espressivo, ha un carattere dolcemente malinconico che fa bene all'animo. Il secondo Trio, invece, si richiama spesso alla maniera musicale di Haydn... il paesaggio che evoca è chiaro e sereno ».

Probabilmente questo giudizio espresso da Hoffmann, che con i suoi scritti contribuì molto alla conoscenza della musica di Beethoven, sottolineando le caratteristiche romantiche da lui preferite, è dovuto al fatto che nel Trio in mi bemolle maggiore è frequente l'uso dei tempi in sei ottavi e in tre quarti e mancano i movimenti lenti. Il primo tempo (Poco sostenuto. Allegro ma non troppo) si distingue per la sua elegante scrittura e per la brillantezza del discorso melodico, condotto e spronato, per così dire, dalle sonorità prevaricanti e dominanti del pianoforte, trattato dall'autore con un certo gusto preferenziale, data la sua specializzazione in questo strumento. Il secondo tempo (Allegretto) somiglia ad un rondò con i suoi risvolti maliziosi e galanti; gli altri due strumenti rispondono al dialogo con delicate sortite dal fraseggio morbido e misurato negli accenti armonici. Il terzo tempo (Allegretto ma non troppo) è contrassegnato da una larga e affettuosa cantabilità, in cui sembra che i tre strumenti trovino un giusto punto d'incontro, quasi su un piano di impossibile parità, riscontrabile proprio nella struttura formale del Trio, come annotarono altri compositori che dopo Beethoven si cimentarono in questo difficile genere musicale. L'ultimo tempo (Allegro) è vivace e spigliato nella invenzione melodica e rientra perfettamente nelle regole della classicità; è una musica di estroversa cordialità, concepita con razionalistico spirito sonoro, secondo il ben noto stile beethoveniano. Il Trio op. 70 n. 2 ha una durata di 31 minuti e 36 secondi.


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM 125/2-2 allegato alla rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 6 Marzo 1981

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Ultimo aggiornamento 15 ottobre 2011