Trio per archi e pianoforte n. 3 in do minore, op. 1 n. 3


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro con brio
  2. Andante cantabile con variazioni (mi bemolle maggiore)
  3. Menuetto. Quasi Allegro
  4. Finale. Prestissimo
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: 1794 - 1795
Edizione: Artaria, Vienna 1795
Dedica: Principe Lichnowsky

Nel 1817 Beethoven ne ha fatto una trascrizione per Quintetto d'archi, vedi op. 104
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La scelta della tonalità di do minore e il carattere intenso e drammatico che pervade quasi l'intera composizione, così come i vigorosi impulsi dinamici che innervano i fraseggi e l'arditezza di alcuni passaggi armonici, sono alcuni dei principali elementi che creano una netta distinzione tra il Trio n.3, e i primi due numeri della stessa op. 1.

A tal proposito, tra i numerosi aneddoti veri o presunti sul rapporto tra Haydn e Beethoven riportati dalle biografie, vi è quello relativo alla prima esecuzione dei tre Trii op. 1 presso la casa del conte Carl von Lichnowsky. Si racconta che tra gli uditori vi fosse Haydn stesso, il quale al termine ebbe parole dì elogio per i primi due trii, non a caso quelli più affini al suo modo di scrivere, mentre nei confronti del Trio n. 3 in do minore, ovvero il più intenso e il più geniale - in poche parole, il più bethoveniano dei tre -, espresse parecchie riserve, tanto da sconsigliare lo stesso Beethoven dall'intraprenderne la pubblicazione. Il racconto è rivelatore di una dinamica creativa che nel giovane genio tendeva già a scalpitare spingendosi avanti, senza il timore dì dover oltrepassare una tradizione nei confronti della quale si sentiva debitore, ma non certo ancorato in maniera definitiva. In realtà è probabile che Beethoven non abbia ignorato del tutto le osservazioni del maestro, così come è ancor più plausìbile che lo stesso Haydn avesse intuito la potenza innovativa di quel giovanotto, seppur non volesse manifestarlo esplicitamente, magari traendone tacitamente degli insegnamenti per una carriera, la sua, che non si era certo conclusa all'età dì sessant'annì.

L'Allegro con brìo si apre con un primo soggetto tematico simile a una breve introduzione lenta: un mesto disegno melodico dei tre strumenti all'unìsono, che si chiude cadenzando sopra una laconica declamazione del violino. Dalla corona sospensiva dell'ultimo accordo cadenzale parte una reiterata cellula ritmico-melodìca, caratterizzata da tre note staccate in levare, che forma il secondo motivo del primo gruppo tematico; con esso l'Allegro acquista il dinamismo che gli è proprio, anche se il ritmo è destinato a divenire più incalzante nel successivo ponte modulante, che introduce il secondo tema. Quest'ultimo, in contrasto con il carattere intenso e drammatico dell'inizio, è costituito da una dolce melodia in modo maggiore, i cui toni pacati e rasserenanti sono interrotti dall'improvviso fortissimo dì una perentoria cadenza accordale. Da essa parte l'ampia coda dell'Esposizione, composta da tre brevi episodi conseguenti, nei quali ritroviamo frammenti del primo gruppo tematico rielaboratì tra sforzati e mutamenti di dinamica. Lo Sviluppo è tutto costruito sul primo gruppo tematico: inizialmente vi è infatti una citazione della frase introduttiva, della quale viene poi elaborato un frammento con improvvisi sbalzi d'umore e intensità espressiva, mentre in seconda battuta viene rielaborato il soggetto con le tre note note staccate in levare.

Nella Ripresa il primo gruppo tematico cambia aspetto: il motivo introduttìvo, infatti, sì espande prendendo nettamente il sopravvento sul secondo soggetto tematico, del quale non restano che poche tracce nella riproposizione variata e ridotta del ponte modulante. Il secondo gruppo tematico viene quindi riproposto nella tonalità d'impianto, passando così dal modo maggiore al modo minore, con l'aggiunta della coda dell'Esposizione anch'essa trasportata. Un momentaneo rallentamento di poche note delimita infine l'intensa e vigorosa coda finale, nella quale trova spazio il secondo motivo del primo gruppo tematico.

Il successivo Andante cantabile con Variazioni, l'unico dei quattro movimenti a utilizzare il modo maggiore nella tonalità principale, presenta come tema un semplice motivo che si adatta docilmente alle successioni degli accordi, esposto in alternanza da pianoforte e violino. Composto da due parti rìassumibilì con lo schema AB CB', il tema viene rielaborato in cinque Variazioni anch'esse suddivise in due sezioni che vengono rispettivamente ritornellate. Nelle prime due Variazioni vi è una netta prevalenza dello strumento che ricopre dì conduzione melodica, ovvero del pianoforte nella prima e degli archi nella seconda; nella terza Variazione la funzione di accompagnamento degli archi, che si sovrappone all'andamento «galoppante» del pianoforte, si distingue con maggiore evidenza per l'uso dei pizzicati. Più cantabile è invece la quarta Variazione, con una languida melodìa in modo minore degli archi, mentre l'ultima presenta un flusso continuo di scale cromatiche del pianoforte a terzine staccate, che si differenzia nettamente dal fluido tappeto armonico creato dagli archi. Una successione cadenzale dilatata, che si conclude con frammentati echi di terzine, è invece la coda che conclude il movimento.

Il n. 3 è l'unico trio dell'op. 1 ad avere un Minuetto e non uno Scherzo come terzo movimento. Non si tratta tuttavia della tradizionale danza di corte dall'incedere aulico e regale, tìpica del minuetto settecentesco. Il tema è infatti in modo minore e viene esposto nella prima parte dal pianoforte con fraseggi, frammenti imitativi e un'alternanza di accordi che rendono volutamente ambigua la collocazione dell'accento ritmico. Nella seconda parte il tema viene sviluppato tra rapidi arpeggi ascendenti del pianoforte, lungo un percorso armonico inverso rispetto alla prima parte, muovendo cioè da una tonalità maggiore verso la sua relativa minore, per poi riprendere la prima parte e stemperarsi in una coda cadenzale.

Decisamente contrastante è la sezione centrale del Trio nella quale rapide scale discendenti del violino danno il via a frasi melodiche del violoncello dai toni sereni e affettuosi. La ripetizione del Minuetto da capo senza ritornelli conclude infine il movimento.

Nel Finale. Prestissimo un perentorio stacco dei tre strumenti all'unisono introduce con irruenza quasi melodrammatica il primo tema: una semplice melodia dal fraseggio legato che si snoda, con una palpitante corsa, in un pianissimo carico dì tensione. Torna lo stacco introduttivo che, come una sciabolata, delimita il fluire del primo tema, mentre nel successivo ponte modulante il motivo del primo tema al violoncello viene invece messo in secondo piano dagli sferzanti impulsi dati dagli sforzati. Il secondo tema è invece una dolce melodia esposta nella relativa tonalità maggiore dal pianoforte e quindi dal violino, la cui cadenza conclusiva viene prolungata come coda dell'Esposizione. Dopo un'iniziale e breve riproposizìone dello stacco introduttivo, lo Sviluppo si configura interamente sul secondo tema, che viene riproposto in due tonalità lontane, collegate come da un filo attraverso una singola nota sottesa; lo stesso tema si riduce poi alle sole due battute iniziali, che, con continue trasposizioni inframmezzate da rapide scale pìanistiche, portano a un pedale di dominante.

Nella Ripresa troviamo il primo tema privo dello stacco introduttivo, mentre il secondo viene trasportato nella tonalità d'impianto, iniziando tuttavia in modo maggiore per giungere al modo minore solo verso la conclusione. Al termine del movimento Beethoven inserisce quella elaborazione del primo tema che era mancata completamente nello Sviluppo, optando poi per una conclusione piuttosto singolare: invece di ribadire il carattere energico e dinamico del movimento con un finale perentorio e deciso, porta il discorso musicale a sfumare con una graduale dissolvenza che si chiude sull'accordo di do maggiore, a mo' di cadenza sospesa.

Carlo Franceschi de Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Come risultato d'uria convinzione, o piuttosto d'un'abitudine creatasi negli anni in seguito a una lunga serie di piccole pigrizie, disattenzioni e incomprensioni, i trii per pianoforte, violino e violoncello non ricevono da parte della critica, degli esecutori e del pubblico un'attenzione paragonabile a quella riservata agli altri grandi gruppi di opere beethoveniane, quali le sinfonie, i concerti, i quartetti, le sonate per pianoforte e anche le sonate per violino e pianoforte e quelle per violoncello e pianoforte. Eppure i Trii op. 1 non sono meno importanti delle coeve Sonate per pianoforte op. 2, sia per il loro intrinseco valore sia per la luce che portano sulla maturazione del giovane Beethoven e sull'affermazione della sua prepotente individualità artistica, così come i Trii op. 70 e op. 97 non impallidiscono a confronto delle maggiori opere di quello stesso periodo.

Nonostante il loro numero di catalogo, i Trii op. 1 non furono in realtà le prime composizioni pubblicate da Beethoven, perché vennero preceduti dalle Variazioni sopra una marcia di Dressler del 1782 e dalle tre piccole Sonate del 1783, che però erano chiaramente lavori infantili, mentre i tre Trii furono l'improvvisa rivelazione d'un compositore capace di dire senza timori qualcosa d'audacemente nuovo e d'imporsi all'attenzione del mondo musicale viennese con opere piene di forza e d'originalità, collocandosi subito allo stesso livello del grande Haydn. Vennero composti in un periodo indeterminato tra il 1793 e il 1794 e pubblicati da Artaria nell'ottobre del 1795, quando però erano già stati eseguiti durante una soirée nel palazzo del principe Lichnowsky, protettore e mecenate di Beethoven nonché dedicatario di questa sua prima opera. Come racconta Ferdinand Ries, erano presenti a quel concerto tutti i musicisti e gli amanti della musica di Vienna, in particolare Haydn, di cui si aspettava con ansia il giudizio: questi non fu avaro di lodi ma consigliò al giovane collega di non pubblicare il terzo trio, quello in do minore. Le sue parole non furono ben accolte da Beethoven, che le attribuì all'invidia, mentre tanto Ries che Schindler, che erano amici devoti di Beethoven ma conoscevano anche la rettitudine di Haydn, non poterono credere a una motivazione così meschina: Schindler inserì quest'episodio "nel lungo elenco di fraintendimenti che sono stati purtroppo assai numerosi nella vita di Beethoven", mentre Ries chiese chiarimenti a Haydn stesso, che gli spiegò di temere che il pubblico non avrebbe compreso facilmente questo trio e avrebbe tardato ad apprezzarne il giusto valore. I timori di Haydn potevano effettivamente sembrare giustificati dalle novità contenute in questo trio, che tuttavia ebbe un immediato successo (fu uno dei primi lavori di Beethoven ad ottenere un certo favore del pubblico anche in Italia, relativamente presto, verso il 1840).

I Trii op. 1 di Beethoven hanno un ineludibile punto di riferimento proprio in Haydn, anche se i tratti stilistici e gli elementi della costruzione presi in prestito da Beethoven vengono profondamente modificati e sono utilizzati in un contesto totalmente nuovo. Nuova è in Beethoven anche la scrittura pianistica, che ormai si è completamente sganciata dagli ultimi residui clavicembalistici per adottare una muscolosa robustezza e una sonorità ampia, in cui è riconoscibile l'influsso di Clementi. Il Trio in do minore, op. 1 n. 3 è giudicato non soltanto il migliore della raccolta ma anche uno dei migliori lavori giovanili di Beethoven (secondo Giovanni Carli Ballola è paragonabile alle Sonate per pianoforte op. 10 n. 2 e op. 13 "Patetica", alle quali sarebbe anche superiore quanto a equilibrio costruttivo e a unità d'ispirazione). Come gli altri due Trii dell'op. 1, è in quattro movimenti. Il primo, Allegro con brio, si apre piano con un tema scorrevole e decorativo, ma già alla settima battuta vi si insinua un motivo venato d'un sentimento dolente, che altro non è che una libera variante pianistica del tema di testa. L'atmosfera si tinge sempre più d'ansia e di drammaticità, contenute ma inequivocabili, punteggiate da pause espressive, senza trovare pacificazione neanche nel mi bemolle maggiore del secondo tema. La struttura è quella tripartita e simmetrica d'una regolare forma-sonata, con lo sviluppo che prende le mosse dalla cellula iniziale del primo tema per raggiungere progressivamente una grande intensità lirica. Dopo che è stata ripresa senza cambiamenti di rilievo tutta la parte iniziale, una battuta d'Adagio precede la coda, che, come sarà anche in seguito tipico di Beethoven, è alquanto ampia e offre nuovi sviluppi dei temi, accentuando ulteriormente il carattere agitato e tormentato del movimento.

La drammaticità del primo movimento lascia il posto a una purissima e inalterabile serenità nell'Andante cantabile con variazione (sic): sono cinque variazioni, prive di innovazioni o particolarità dal punto di vista della struttura, ma sono comunque tra le più affascinanti degli anni giovanili di Beethoven, con il tema che viene ripetuto quasi ostinatamente, passando attraverso trasformazioni molto leggere, fino all'inattesa coda, piena d'intimo sentimento e immersa in una calma luce crepuscolare.

Mentre i precedenti due Trii di questa raccolta avevano adottato lo Scherzo, Beethoven ritorna per l'ultimo Trio al Minuetto. In realtà sotto questa denominazione non troviamo più la vecchia e ormai desueta danza settecentesca, ma qualcosa di molto simile a uno Scherzo, per il suo ritmo brusco e i suoi repentini cambiamenti d'umore, con una sezione in do minore ombrata di malinconia che incornicia una parte centrale in do maggiore dal tono capriccioso e affascinante.

Nel Prestissimo ritorna moltiplicata la drammaticità dell'Allegro con brio iniziale: è il primo di quei grandi movimenti beethoveniani in cui il contrasto dei temi viene portato alle dimensioni d'un dramma di tensione quasi insostenibile. È senz'altro a questo movimento che si riferiva Nigel Fortune quando ha scritto che questo Trio "è l'opera di Beethoven che ha più segnato la sua epoca per il suo ampio dramma tonale, intensificato dalla natura del materiale tematico, dal gioco dei contrasti e dalla foga". Anche per questo finale Beethoven adotta la forma-sonata: a un primo tema agitato da un'energia cupa e da una foga inarrestabile, in un patetico do minore, si contrappone un motivo cantabile, dolente e implorante, e l'intero movimento vede questi due temi affrontarsi in una lotta incessante, con una tensione e una drammaticità estreme, che si stemperano solo nelle ultime battute, quando la coda avvia il Trio a una serena e dolce conclusione pianissimo in do maggiore.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota )

I tre Trii opera 1 sono, fra le composizioni di Beethoven date alle stampe, le prime alle quali l'autore abbia attribuito un numero d'opera (prive di numero d'opera erano infatti alcune opere minori stampate in precedenza); segno della piena considerazione che l'autore nutriva per queste partiture; esse costituirono una sorta di "biglietto da visita" per il giovanotto che, giunto a Vienna al termine del 1792, nel volgere di pochi mesi conquistò la capitale con il suo stile anticonformista di pianista improvvisatore. E' probabile che molti movimenti dei brani fossero stati composti già a Bonn, anche se furono poi soggetti a rielaborazioni di incidenza non superficiale. Si ha notizia di una esecuzione dei Trii avvenuta - probabilmente al termine del 1793 - nel palazzo del principe Lichnowsky, alla presenza dello stesso Haydn, in procinto di partire per il secondo viaggio a Londra. E' d'obbligo riferire l'aneddoto - riportato da Ries - secondo il quale Haydn mostrò di apprezzare i brani, ma sconsigliò Beethoven di pubblicare il terzo, giudicato di difficile comprensione.

In realtà il distacco dei Trii op. 1 dalle composizioni coeve per lo stesso organico è di enorme rilievo. Considerato - come tutta la musica da camera con pianoforte - alla stregua di un genere "minore" rispetto alla produzione per soli archi, il Trio con pianoforte era destinato agli esecutori dilettanti, e dunque era essenzialmente una Sonata per pianoforte, con "accompagnamento" di violino e violoncello. Beethoven invece nell'opera 1 attribuì ai tre strumenti un ruolo del tutto paritario, portando il discorso musicale verso un equilibrio dialogico che non poteva non apparire estremamente avveniristico ai contemporanei. A questo si aggiunga l'ampliamento delle dimensioni delle composizioni, nonché l'individuazione di uno stile personale, in equilibrio fra rispetto dei modelli classici, impiego di elementi tradizionali e ricerca di nuove soluzioni formali, espressive, dialettiche.

Non stupisce che il terzo Trio - a proposito del quale si è già visto il giudizio "conservatore" di Haydn - fosse quello preferito dall'autore; esso appare infatti come il più maturo e personale della raccolta. Già la scelta della tonalità di do minore può essere messa in correlazione con un contenuto drammatico, che si impone soprattutto nei tempi estremi. Nell'Allegro con brio iniziale l'elemento principale - dopo l'interrogativa frase iniziale, esposta all'unisono - è una cellula tematica discendente, breve ed incalzante, che permea l'intero movimento; il secondo tema - una ampia scala discendente esposta dal pianoforte - trova il suo carattere più esatto, coerente con l'impostazione dell'intero movimento, non nella prima serena apparizione, ma nella sezione della ripresa. Nell'insieme il movimento presenta continui rivolgimenti espressivi, rispondenti a una logica di studiati contrasti.

Contrasto solo apparente è quello del secondo movimento, un tema cantabile con variazioni; le variazioni infatti si dipanano senza nulla concedere al gusto decorativo, e allontanandosi perlopiù dal carattere sereno del tema. Segue un Minuetto che ha quasi il carattere di Scherzo e presenta un Trio di impostazione brillante. Con il Finale torniamo all'ambientazione iniziale; i tre strumenti si impegnano in una sorta di moto perpetuo che vede l'opposizione fra l'aggressivo ritmo iniziale e la melodia cantabile del secondo tema; il movimento segue la stessa logica di contrasti dell'Allegro con brio, e trova, il suo momento più sorprendente e innovativo nella coda, una lunga sezione sussurrata, che si spegne in pianissimo e nel modo maggiore, con "fruscianti" scale ascendenti del pianoforte.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal libretto allegato al CD AM 126/2-2 allegato alla rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 Dicembre 1998
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 novembre 1990

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Ultimo aggiornamento 10 ottbre 2014