Sonata per violino e pianoforte n. 5 in fa maggiore, op. 24 "La Primavera"


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro
  2. Adagio molto espressivo (si bemolle maggiore)
  3. Scherzo. Allegro molto
  4. Rondò. Allegro ma non troppo
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1800 - 1801
Edizione: Mollo, Vienna 1801
Dedica: Conte Moritz Von Fries
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'interesse di Beethoven per il duo di violino e pianoforte risale ai primissimi anni di Bonn quando, appena tredicenne, iniziò la composizione di una Sonata in la maggiore lasciata incompiuta. Giunto poi a Vienna nel 1792, aspettò alcuni anni prima di pubblicare la sua prima raccolta di Sonate - le tre Sonate op. 12 dedicate ad Antonio Salieri e pubblicate da Artaria nel 1799 - e nel frattempo si cimentò con lavori minori come il Rondò in sol maggiore e le Variazioni sul tema di "Se vuol ballare" dalle mozartiane Nozze di Figaro.

Le tre Sonate dedicate a Salieri aprono l'importante serie delle dieci Sonate beethoveniane al cui vertice sta senza dubbio la monumentale Sonata a Kreutzer (1802-03) ma che comprende autentici capolavori come la Sonata in la minore op. 23, "La Primavera", la Sonata in do minore op. 30 n. 2 nonché l'ultima affascinante Sonata in sol magiore op. 96. Tutti questi lavori mettono di fronte, a volte drammaticamente, i due strumenti in una sorta di competizione - si pensi alla Sonata a Kreutzer, ma non solo - che spesso amplifica il dualismo motivico antagonistico che è alla base della concezione sonatistica beethoveniana. Anche un'opera apparentemente idillica e "mozartiana" come La Primavera non sfugge a quella tensione fra i temi e fra gli strumenti, senza beninteso arrivare al parossismo della Sonata, a Kreutzer. Inizialmente la Sonata doveva essere pubblicata insieme con la Sonata in la minore op. 23, anch'essa dedicata al conte Moritz von Fries, amico e mecenate di Beethoven. Il ripensamento è da attribuire probabilmente all'intenzione di valorizzare al meglio la Sonata in fa maggiore, ricca di novità assai rilevanti nel percorso beethoveniano, come ad esempio l'introduzione dello Scherzo, e subito ammirata incondizionatamente da intenditori e dilettanti (il titolo di Primavera, dovuto all'editore Mollo di Vienna che la stampò nel 1802, le si attaglia benissimo).

È importante comunque, nell'ascoltare quest'opera, avere in mente il clima cupo e appassionato della Sonata precedente con cui forma un dittico complementare e contrastante, secondo una concezione poi ripresa con le due monumentali Sonate per pianoforte Aurora e Appassionata.

Come la coeva Sonata in re maggiore "Pastorale" per pianoforte solo, con la quale ha non poche affinità, anche La Primavera è concepita con due movimenti di ampie dimensioni, determinanti per il suo carattere espressivo, posti alle estremità (Allegro e Rondò) che racchiudono un movimento lento necessariamente breve e un minuscolo Scherzo, fulminea anticipazione delle tarde Bagatelle pianistiche. La compiuta felicità melodica del primo tema nell'Allegro - dispiegata in un sereno e idillico fa maggiore - è una modalità espressiva abbastanza rara in Beethoven che, infatti, si dimostra più interessato a sviluppare le energiche impennate del secondo tema (do maggiore e poi minore) in una sezione elaborativa centrale di dimensioni classiche. Il primo tema si prende però la rivincita nella mirabile coda del movimento, in cui l'inciso iniziale risuona nel registro grave del pianoforte e, dopo una suggestiva modulazione a re minore, conduce alla luminosa e trionfale conclusione.

Il candore apollineo dell'Adagio molto espressivo in si bemolle maggiore è da intendere come prosecuzione delle componenti idilliche del movimento precedente di cui riprende il tematismo disteso anche con citazioni letterali nella sezione conclusiva.

Lo Scherzo, di proporzioni ridottissime, si basa su una geniale invenzione ritmica che mischia abilmente incisi arsici (in levare) e tetici (in battere) e racchiude un Trio di rapidi movimenti scalari in crescendo, vigorosa pennellata luminosa tracciata con la rapidità di un "action painter".

Ricchissimo di motivi, come negli analoghi Rondò mozartiani e schubertiani, è il finale Allegro ma non troppo, costruito secondo il collaudato e perfetto modello del Rondò Sonata (A-B-A-C-A-B'-A). Il tranquillo tema principale (A) si ripresenta quattro volte nel corso del pezzo (l'ultima variato) mentre i due temi della sezione dominante (B), il primo melodico, il secondo energico e marziale, subiscono le necessarie modifiche tonali nella ripresa. Nel cuore del Rondò è il grande tema sincopato (C) in la minore, ampiamente sviluppato e impreziosito da figurazioni terzinate che richiedono grande virtuosismo tecnico agli esecutori. Un'ampia progressione armonica amplifica - come sempre in Beethoven - la sezione conclusiva.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Della serie delle dieci sonate per violino e pianoforte la Sonata in fa maggiore è la prima che sia fornita di quattro tempi. Dedicata al conte Moritz von Fries, fu scritta da Beethoven nel 1800 e pubblicata l'anno dopo insieme alla Sonata in la minore op. 23. Come per altre sonate («Aurora», ecc.) non è dato sapere a chi risalga la denominazione di Sonata «della Primavera» che ha avuto fortuna, anche se in sostanza manchino elementi specifici ad avvalorare tale appellativo. Se esso vuol sottintendere freschezza, serenità o senso gioioso della vita, altre musiche di Beethoven potrebbero meritarlo, soprattutto di questo periodo creativo ove la dialettica dei motivi non assume, in generale, la imponenza e l'impeto drammatico che saranno della Sonata «a Kreutzer».

Un lieve e scorrevole tema «femminile» e, dopo un brusco rivolgimento tonale del pianoforte, un secondo tema di più marcata tempra ritmica assicurano la duplice prospettiva entro cui, non senza eleganza, si snoda il primo movimento (Allegro).

Nell'Adagio il pianoforte propone la melodia, subito imitato dal violino. Successivamente la vicenda si limita a consegne reciproche del tema con qualche accenno ornamentale. Nell'affettuoso, confidenziale dialogo il violino - verso la metà, al minore - porta una sua nota di patetica mestizia.

Nello Scherzo una figura ritmica di valzer viennese, di piglio weberiano, si schematizza in una di quelle ripetizioni testarde che in un prossimo futuro assurgeranno a protagoniste dello scenario drammatico beethoveniano. Il Finale si attiene, pur con qualche libertà, alla falsariga del Rondò, con quattro esposizioni del ritornello separate da altrettanti intermezzi, l'ultimo concluso da una cadenza ampia e tumultuosa.

Giorgio Graziosi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 17 Febbraio 1995
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 1 novembre 1962

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Ultimo aggiornamento 14 febbraio 2014