Sonata per pianoforte n. 28 in la maggiore, op. 101


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Etwas lebhaft, und mit der innigsten Empfindung. Allegretto ma non troppo
  2. Lebhaft, marschmassig. Vivace alla marcia (fa maggiore)
  3. Langsam und sehnsuchtsvoll. Adagio ma non troppo con affetto, tempo del primo pezzo (la minore)
  4. Geschwind, doch nicht zu sehr und mit Entschlossenheit. Finale. Allegro
Organico: pianoforte
Composizione: 1816
Edizione: Steiner, Vienna 1817
Dedica: Baronessa Dorothea Ertmann
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questa Sonata completata da Beethoven nel 1816, ma risalente nei primi abbozzi al 1813, procede in buona parte dalle conquiste espressive dell'op. 90; nelle didascalie dei movimenti accanto alla tedesca ricompare la lingua italiana, ma Beethoven insiste con l'editore perché nel frontespizio appaia il nuovo termine "Hammer oder Hämmer-Klavier", oppure ancora "Hämmer-Flügel" accanto al tradizionale "Piano-Forte". L'opera è dedicata alla baronessa Dorothea von Ertmann, dal 1803 allieva di Beethoven e grande esecutrice al pianoforte delle sue opere.

La raccomandazione iniziale "mit der innigsten Empfindung" ("con il più profondo sentimento") si traduce nella circostanza che la Sonata esordisce come un foglio d'album, come un preludio o un Lied: niente esordio perentorio, ma discreto, quasi la musica fosse già incominciata dentro l'animo di chi suona; viene spodestato il tradizionale tema sonatìstico, breve, funzionale allo sviluppo: questo tema non si presta a sviluppo, è completo in se stesso e si richiude in sé come un circolo; tutto questo primo movimento, con carattere libero e preludiante, è semmai sviluppo e variazione di un solo stato d'animo, condensato in una liricità sempre simile a sé, tessuta m una sostanza sensibile alle minime sfumature, scandita da respiri espressivi come le note: la forma, incerta nella categoria di "sonata", è saldissima nella sostanza. Anche il secondo movimento sostituisce al tradizionale "scherzo" sonatistico il modulo più caratteristico di una "marcia", trasfigurato tuttavia da un impeto di originalità che ne smaterializza la sostanza ritmica: approcci incrociati a tutti i registri della tastiera, fantasia timbrica senza freni, alone armonico di lunghi pedali confluiscono in una pagina balenante, testo imprescindibile per la concezione di una Kreisleriana di Schumann; unica sosta il trio intermedio, tutto cantabilità, che attraverso una misteriosa conclusione in pianissimo propizia la ripresa della marcia.

Carattere preludiante, come improvvisando, ha pure l'Adagio, venti battute di un diario interiore di immediata sincerità; l'anelito contenuto nel termine "sehnsuchtvoll" anima il colloquio delle due mani, impegnato a rimandarsi uno stesso disegno cantante; una breve cadenza ornamentale conduce con naturalezza alla ripresa del tema del primo movimento, "sguardo all'indietro" secondo la sensibilità ciclica del più schietto spirito romantico. La funzione preludiante di tutta questa fase della Sonata si conferma nello sfociare diretto nel Finale che con la sua ampiezza di respiro e il suo rigoroso intreccio di eventi è la pagina capitale della composizione; la "risolutezza" ("Entschlossenheit") richiesta da Beethoven esclude un movimento troppo veloce che sorvoli sulla rustica energia delle sue invenzioni, venate talvolta, come nella conclusione, dall'umorismo più scoperto; al centro, come un potente cuneo, si fa largo un grande fugato sul tema di partenza, una pagina che avvince nel suo ribaltare l'antica forma contrappuntistica sul piano moderno della sintassi sonatistica.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in la maggiore op. 101 inaugura l'ultimo, sublime periodo del pianismo beethoveniano. Di questo reca già in pieno i caratteri: superamento delle forme tradizionali, assunzione di strutture nuove ed "irregolari", riconquista del contrappunto e, inoltre, tutta una serie di particolari lessicali che, sebbene già presenti in opere precedenti, acquistano qui un ruolo determinante: anticipazioni, sincopi, spostamenti sulle zone estreme della tastiera, sonorità insolite, impiego nuovissimo del trillo. Sotto l'urgenza di una globale risistemazione del cosmo sonoro Beethoven ricostruisce dunque il suo bagaglio espressivo e sarà questo che lo accompagnerà nelle ultime cinque sonate, nelle Variazioni su un valzer di Diabelli e negli ultimi quartetti. L'opera 101 fu completata nel novembre del 1816, ma la sua composizione, durata quasi due anni, aveva fatto decisivi progressi nell'estate ultima trascorsa a Baden, e pur tra le incessanti preoccupazioni derivate al compositore dalle vicende del nipote Karl. L'opera uscì con la dedica ad una delle allieve predilette, la baronessa Dorothea Ertmann, che Beethoven chiamava Dorothea Cecilia, associandone così il nome di battesimo a quello della protettrice dei musicisti. Per quanto dilettante - era moglie di un ufficiale - la Ertmann era validissima virtuosa e giustificava così la destinazione di un lavoro tanto impegnativo e nuovo.

Insofferente di indugi e di concessioni di qualsivoglia genere, Beethoven ci introduce subito, con la 101, in medias res. La melodia dell' "Allegretto non troppo" (a cui si associa un'indicazione tedesca che, tradotta, suona: "un poco animato e con il più intimo sentimento") è di quelle aperte e fluide. Essa scorre, nel suo ritmo di 6/8, con deviazioni e rimandi che hanno fatto parlare i critici più fantasiosi di "conversazione". Con violento contrasto il secondo movimento è un "Vivace alla mareia" che congloba le caratteristiche dello scherzo. La seconda sezione è a tre voci, molto distanziate tra loro. Pure imitativa quella centrale, che funge da Trio, e per la quale Beethoven prescrive "molto semplice e sempre ben fluente". Dopo la ripresa della Marcia abbiamo un "Adagio non troppo con affetto" di sole venti battute, un astrale e scarnificato tempo lento che all'ultima battuta si chiude con una cadenza. Seguono un sommesso richiamo al primo movimento e un'altra brevissima cadenza ("Presto") che si conclude su tre note trillate. Sull'ultima, che continua per altre quattro battute, si innesta l'Allegro finale. Anche qui, alla parola italiana "Allegro" sono aggiunte in tedesco indicazioni complementari illuminanti: "Presto, ma non troppo, e risolutamente". Il piglio brusco e privo di qualsiasi concessione sentimentale è ancora quello della Marcia, ma è qui spinto ancora oltre, grazie al rigoroso contrappunto che esalta il materiale tematico, spesso fatto di melodie semplicissime (esemplare in tal senso quella che compare nell'esposizione). Il movimento obbedisce, questa volta coerentemente, alla forma sonata e tutta questa conclusione sembra chiarire, formalmente e psicologicamente, la prima parte della Sonata. E' come se vi trovasse sistemazione definitiva il cauto indagare dell'Allegretto, della Marcia e dell'Adagio. Qui, come nelle sonate seguenti, malgrado la frammentazione in movimenti lunghissimi e in altri di straordinaria e inaspettata brevità - o meglio proprio per questo - si realizza una nuova e sostanziale unità di fondo che è fatta anche di segreti e profondissimi richiami tematici e armonici. E la concordanza va anche al di là dei limiti della stessa composizione, poiché la prima parte dell'op. 106 sembra ripetere specularmente il cammino di quest'ultimo movimento della 101 e la sua stessa indagine contrappuntistica.

Bruno Cagli

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Con la costellazione delle ultime cinque Sonate per pianoforte si fa di regola iniziare il tardo stile beethoveniano, quello degli approdi più solitari, delle profezie visionarie e sconvolgenti. Dopo il periodo della grande fioritura sinfonica il pianoforte torna a essere il centro della sperimentazione di Beethoven per lasciare poi le parole conclusive al quartetto d'archi. La Sonata in la maggiore op. 101 è il primo di quei capolavori aspri e inattingibili, impegnati nell'esplorazione di territori linguistici e formali ignoti, ognuno dei quali è un mondo a sé stante anche se vi è avvertibile una compattezza stilistica che li accomuna e nello stesso tempo li distacca decisamente dalle opere precedenti.

La Sonata op. 101 fu composta tra il 1815 e il 1816 e pubblicata a Vienna dall'editore Steiner nel febbraio del 1817 durante uno dei periodi più travagliati della vita di Beethoven. Nel novembre 1815 il fratello Karl moriva lasciandolo tutore insieme con la vedova di un bambino di nove anni che portava lo stesso nome, del padre. Fin dall'inizio Beethoven si oppose vivacemente a dividere con una cognata di dubbia moralità la tutela del piccolo Karl sul quale già riversava quel desiderio di affetti familiari a lungo frustrato durante la sua vita scontrosa e solitaria. Saranno gli anni di una lunga, esasperante vertenza giudiziaria conclusa solo nel 1820 con la definitiva assegnazione del ragazzo allo zio. E alle seccature derivate dal doversi muovere nella burocrazia dei tribunali si aggiunse il dolore del riconoscere che quel ragazzo in fondo mal sopportava l'affetto morboso e soffocante dello zio, le sue continue prediche, il suo astratto rigore morale.

In questi anni di intense preoccupazioni familiari nasce la Sonata op. 101 dedicata alla baronessa Dorotea Ertmann, allieva prediletta di Beethoven e ottima pianista. E la conferma delle capacità eccezionali e dell'intelligenza della Ertmann è data dal carattere arduo e sperimentale della Sonata dove le difficoltà tecniche ancor prima che da motivi strettamente manuali sembrano nascere dai problemi formali e concettuali sconcertanti che quest'opera solleva. Per valutare in pieno la novità improvvisa della Sonata in la maggiore basterebbe confrontarla con la precedente opera 90 composta appena l'anno prima. Se nel carattere liederistico e intimo dell'opera 90 Beethoven tocca il maggiore momento di contatto con i fermenti del romanticismo musicale nascente, col clima delicato e salottiero del nuovo gusto pianistico ottocentesco di lì a poco incarnato da Schubert, nella successiva opera 101 sembra astrarsi dal proprio tempo per addentrarsi in un processo di ricerca e di verifica delle leggi preposte al linguaggio dei suoni esplorandone gli elementi costitutivi e rivolgendosi per l'articolazione formale a procedimenti contrappuntistici del passato, che nella Vienna frivola e trionfante del Congresso dovevano assumere un tono di arcaismo sinistro e incomprensibile. Di qui l'atteggiamento sospettoso di molti commentatori che avanzano nella Sonata op. 101 l'ipotesi di uno squilibrio evidente tra sperimentalismo e risultato poetico. Certo dalle pagine turbolente e scontrose di questo capolavoro emana tutto il travaglio del suo assunto innovatorio, una sorta di ansia avventurosa nella consapevolezza di tentare l'intentato.

In un breve esame schematico del percorso della Sonata è bene rilevare subito quella che sarà una costante dell'ultimo Beethoven, il riferimento esplicito alle griglie formali della tradizione classica e nello stesso tempo il desiderio sempre presente di violentarlo. Così l'Allegretto ma non troppo, pur presentando lo schema armonico della forma-Sonata nel quale sono ancora rintracciabili le categorie di esposizione, sviluppo e ripresa, si svolge come elaborazione continua dell'incipit di avvio. Una specie di sviluppo tematico perenne in un procedere fiuttuante e indefinito che a Wagner sembrerà la perfetta prefigurazione del suo concetto di «melodia infinita».

Il secondo tempo Vivace alla marcia con le cesure nette dei suoi ritornelli segue la forma consueta di uno Scherzo con Trio. Tutto il tempo è dominato da un implacabile moto contrappuntistico che, prediligendo le zone estreme della tastiera, gli conferisce un dinamismo aspro e tagliente. Il Trio basato su un canone rigoroso all'ottava si differenzia per la scomparsa del ritmo puntato di marcia e costituisce un'oasi pastorale prima della ripresa del movimento asciutto e ossessivo della prima parte. Anche l'Adagio ma non troppo, con affetto non rinuncia a un fitto gioco di imitazioni intorno alla formula ricorrente di un breve abbellimento melodico. Una cadenza conduce alla riapparizione sorprendente del tema melodico dell'Allegretto iniziale, quasi Beethoven volesse indicare la coesione strutturale di questi primi tre tempi. Un secondo blocco compatto è formato dall'Allegro conclusivo, la pagina di maggior impegno formale ed esecutivo di tutta la Sonata. Si tratta di una perfetta sovrapposizione di elementi fugati sulla struttura di una tradizionale forma sonata, esperimento già tentato dall'ultimo Mozart nel finale della Sinfonia Jupiter. Così il secondo tema si limita a interrompere per un attimo il movimento vorticoso dell'incipit ritmico dando la sensazione di una ossessiva elaborazione monotematica.

La Sonata op. 101, nella sua volontà manifesta di spalancare soluzioni formali ardite e in certi casi inedite come nella sua impervia scrittura così poco pianistica e brillante, è la sorella ideale delle due Sonate per violoncello op. 102 e testimonia già il conflitto tra struttura armonico-sonatistica e contrappunto che sarà alla base di tutti i capolavori dell'ultimo Beethoven.

Giuseppe Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 13 maggio 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 giugno 1983
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Palazzo Pitti, 24 luglio 1983

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 20 aprile 2016