Sonata per pianoforte n. 24 in fa diesis maggiore, op. 78 "À Thérèse"


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Adagio cantabile. Allegro ma non troppo (do maggiore)
  2. Allegro assai
Organico: pianoforte
Composizione: 1809
Edizione: Clementi, Londra 1810
Dedica: Thérèse von Brunsvik
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Beethoven si applicò alla ventiduesima Sonata del suo catalogo, l'op. 78, dopo una pausa di circa tre anni dalla precedente celebre Appassionata. Mai, in precedenza, era stato inattivo per tanto tempo sul fronte della Sonata per pianoforte, e questa inattività, confrontata con l'incessante attenzione in precedenza rivolta allo strumento a tastiera, testimonia del deciso orientamento verso la produzione con orchestra, nonché di una ormai acquisita confidenza verso tutte le risorse espressive dello strumento a tastiera e del genere della Sonata. All'editore Breitkopf und Härtel, che gli chiedeva nuove opere per pianoforte, rispose: "Non amo dedicare molto tempo alle Sonate per pianoforte solo, però gliene prometto qualcuna" (19 settembre 1809); l'op. 78 venne poi pubblicata nel novembre 1810 a Lipsia, appunto per i tipi di Breitkopf und Härtel. Ovvio che, dopo i vertici di alta drammaticità e spettacolarità dell'Appassionata, le nuove applicazioni in questo campo non potessero ripercorrere le vie del passato, ma dovessero muovere anzi in direzione inversa; dunque non grandi articolazioni e alte ambizioni concettuali, ma la scelta di dimensioni dimesse e la tendenza verso un pronunciato intimismo, caratteristiche che accomunano la Sonata op. 78 e quelle, diversissime, nate negli anni seguenti (op. 79, op. 81a, op. 90).

Nelle Erinnerungen an Beethoven Carl Czerny, amico e confidente del maestro, riferisce una frase del compositore relativa all'op. 78: "Si parla sempre della Sonata in do diesis minore [op. 27 n. 2] ma io ho in verità scritto di meglio. La Sonata in fa diesis maggiore è qualcosa di diverso". Un giudizio che certamente non corrisponde a molti stereotipi legati al pianismo di Beethoven; l'op.78 si affida a un impianto in soli due agili movimenti, dalle sonorità "pianistiche" in senso tradizionale, senza che questo implichi ovvietà dei contenuti. I due movimenti sono fra loro estremamente dissimili nel carattere, ma conservano entrambi un gusto dell'eleganza, della rifinitura, della discrezione che assicura unità alla composizione. Il tempo iniziale consta di una introduzione di appena quattro battute - una innodia accordale e ascendente in Adagio cantabile - e di un Allegro ma non troppo in forma sonata, aperto da una melodia intimistica, tersa, pura, dolcemente cantabile; nella sua varietà di atteggiamenti il movimento non si discosta da questa impostazione, neanche nel breve sviluppo, animato dal contrasto fra i ritmi principali. Questa tendenza al canto, che è stata considerata preschubertiana, viene contraddetta dall'Allegro vivace, un brioso Rondò che si avvale, come refrain, di una incisiva fanfara di "caccia", e che prosegue scorrevolmente sul veicolo di una agilità leggiadra e frammentaria, non priva di implicazioni umoristiche.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1809, l'anno dell'assedio di Vienna e della resa ai francesi, Beethoven riconsiderò lo spirito e la scrittura della sonata per pianoforte. Cinque anni sono passati dalla Waldsteinsonate e dall'Appassionata, con cui Beethoven aveva portato all'incandescenza le possibilità orchestrali dello strumento; adesso le sonate opere 78, 79 e 81, tutte del 1809, segnano un ritorno ad una dimensione fonica affatto pianistica, un rinnovato interesse per le possibilità timbriche dello strumento, ancor vergini sugli albori della Romantik. Questa affinità profetica fra un'epoca musicale ed un timbro è specialmente evidente nella Sonata in fa diesis maggiore. Nei due tempi che la compongono il pianismo percussivo, con i suoi ritmi inesorabili e le sue armonie schematiche, è sostituito da un gioco filigranato, condotto fra il piano ed il mezzoforte, sostenuto da una condotta armonica modulante, concepita appositamente per le figurazioni spezzate, con cui gli accordi sono disposti sulla tastiera. Il mondo di Schumann, se non anche quello di Chopin, è alle porte; e il loro medium strumentale è già individuato nelle sue essenziali componenti lessicali.

Una mossa preludiante. Adagio cantabile, conduce ad una tenera idea tematica. Essa è la sola vocalmente caratterizzata di questo primo tempo, mentre le altre figurazioni si presentano avvolte nelle filigrane pianistiche. Caratteristico del nuovo spirito anche l'assenza di contrapposizioni dialettiche, quelle che avevano dato la loro impronta al Beethoven titanico. Anche l'Allegro vivace è costruito su una sola idea tematica definita, spaziata da ondeggianti figurazioni pianistiche. Questa idea potrebbe esser definita un esordio di Scherzo, che poi svapora in un flusso inarrestabile di duine, una figura ricorrente nel pianoforte di Schubert. E i due principi, quello tematico, e quello pianistico, si alternano a guisa di rondò nei ruoli del refrain e dei suoi couplets.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 30 Maggio 2003
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 ottobre1973

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Ultimo aggiornamento 10 luglio 2015