Sonata per pianoforte n. 22 in fa maggiore, op. 54


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. In tempo di Minuetto
  2. Allegretto
Organico: pianoforte
Composizione: 1804
Edizione: Edizione: Bureau des Arts et d'Industrie, Vienna 1806
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sonata op. 54 fu indicata, nel frontespizio della prima edizione, come LI (cinquantunesima), e la Sonata op. 57 come LIV (cinquantaquattresima). Siccome Beethoven pubblicò tra le due Sonate la Sinfonia "Eroica" op. 55 e il Triplo Concerto op. 56, è evidente che dev'esserci un rapporto tra il LI dell'op. 54 e il LIV dell'op. 57. Quale sia, è difficile dirlo: sia che si tratti di una numerazione di Beethoven che ora ci sfugge, sia che si tratti di una iniziativa dell'editore, o altro ancora, l'esegesi beethoveniana, per quanto ferratissima, non è riuscita a sciogliere l'indovinello.

La Sonata op. 54 è una delle più sorprendenti che Beethoven abbia scritto. Non piacque quando fu pubblicata (1806), non piacque in genere ai commentatori del secolo scorso e non è entrata in repertorio neppure oggi. Nel secolo scorso ci fu persino chi suppose che la Sonata fosse stata consegnata, incompleta, ad un editore che faceva fretta; e toccò al Prod'homme di "dimostrare", non che la supposizione fosse insensata, ma che era storicamente erronea.

Ci sembra che nella Sonata si rifletta un aspetto particolare di un ritorno al passato, o di una malinconia del passato che in Beethoven, uomo della rivoluzione francese, non si spense mai del tutto, e che diede luogo più tardi (ultime quattro Sonate o ultimi Quartetti) a un recupero completo della tradizione musicale del Settecento. Per esempio, lo schema costitutivo della sonata in due tempi - e per di più con minuetto variato - è arcaico: era molto usato verso il 1770, in pieno stile rococò. Il primo tempo rinuncia alla forma-sonata: i due temi non si organizzano infatti in forma-sonata, ma come minuetto e trio, con due apparizioni del trio (invece di una), e tre del minuetto (invece di due). Il clima espressivo del primo tempo dell'op. 54 è, inoltre, quello del secondo tempo della Sonata op. 31 n. 1 e dell'Andante favori: ripensamento ironico del passato. Il tema principale, tema di minuetto cerimonioso e galante, è ripreso più volte, gravandolo ogni volta di fiorettature ornamentali sempre più complicate e convenzionali: sembra un piccolo trattato sulla maniera di adornare all'improvviso una linea melodica, maniera che nel Settecento era prerogativa di ogni virtuoso. In apparenza è ancora la semplice realizzazione scritta dell'ornamentazione che i virtuosi settecenteschi improvvisano. In realtà, l'atteggiamento di Beethoven è di riflessione e di ironia: riflessione e ironia che, secondo noi, risultano chiaramente da alcuni particolari: Beethoven arriva al punto di realizzare un modo di esecuzione del trillo caduto in disuso, quello che Johann Sebastian Bach chiamava doppelt cadence und mordent, e di riprendere, anche con il relativo segno grafico usato in passato, il prallende Doppelschlag di Carl Philipp Emanuel Bach.

Nettamente ironico, quasi caricaturale è il secondo tema: un esercizio pianistico sulle ottave e sulle seste, svolto in gran parte a canone. Non è possibile affermarlo con sicurezza, ma parrebbe una caricatura dei procedimenti di quei sonatisti - compreso, talvolta, Clementi - che costruivano la sonata alternando melodie ornate ed esercizi pianistici. Anche il secondo tempo ha tutte le caratteristiche dell'esercizio per le dita: uniformità ritmica, passaggio degli stessi disegni da una mano all'altra, scrittura quasi sempre a due parti sole. Le imitazioni tra le due parti sono prevalentemente all'ottava, proprio come in certi studi o nelle più scolastiche sonate di Clementi e di Cramer. Un segno inequivocabile della volontà di Beethoven di unificare i tempi della Sonata è dato dalla riapparizione, nell'Allegretto, di un frammento tematico con cui si concludeva il trio nel primo tempo.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra le due grandi sonate beetho-veniane del 1804, la Waldstein e l'Appassionata, troviamo una piccola opera senza titolo e in due soli movimenti. Fu pubblicata a Vienna per il Bureau des Arts et d'Industrie nell'aprile del 1806, senza dedica e col titolo di Sonata op. 54. Per lungo tempo fu fonte di infinite discussioni sulla sua forma e sulla sua origine. Perché, ad esempio, il tempo di minuetto iniziale, che del minuetto non ha né il disegno né la taglia in quanto simile a un tema con variazioni? Perché quel successivo Allegretto concepito come una sorta di rondò toccatistico? La suddivisione in due tempi era forse da intendere come parte di un quadro più vasto?

Al di là di qualsiasi valutazione di merito verrebbe forse più semplicemente da pensare a una scelta di estrema libertà da parte di Beethoven, con la stesura di una forma scevra da convenzioni e fondata su un'idea di fantasia. C'è per altro un diffuso atteggiarsi in tratti di forte gestualità e variabilità - manifestazione del resto tipicamente beethoveniana - in poche battute si passa da posture ingessate e seriose ad altre scopertamente mobili e vivaci, sino a espressioni ludiche e umoristiche, specie nel secondo tempo. D'altra parte la mimetizzazione stilizzata del primo movimento in tempo di minuetto risulterebbe una formula per lo meno curiosa, come brano in forma di danza inserito in una sonata.

Un sottostante velo di ironia pervade l'intero lavoro, quasi che con essa il compositore avesse voluto sottolineare l'atipicità delle sue scelte.

Nel primo movimento, In tempo di minuetto, un delicato primo tema si ripete a più altezze in brevi strofe appena variate. Il secondo motivo è invece marcato e incisivo, reso più profondo dal raddoppio dei suoni in ottava. Dopo la sua reiterazione muta sensibilmente, si alleggerisce, perde il raddoppio di ottava, rallenta e si riduce a un inciso di poche note, sino a divenire esitante: è questo un momento particolarissimo della Sonata, di magica attesa e incertezza. Di lì a poco si concentra nel registro basso della tastiera e si interseca con il primo tema che, come da esso ridestato, riacquista forma e consistenza nella sua prima variazione.

Tocca ora al secondo motivo riaffacciarsi brevemente, per concludere infrangendosi su di un accordo dissonante di settima e frammentarsi su due sequenze accordali in terzina con repentino calo dinamico. È una nuova sospensione, che ancora una volta prepara il ritorno del tema principale in una seconda variazione più elaborata della prima soprattutto sotto il profilo melodico: per la sovrabbondanza di abbellimenti, trilli, note di passaggio, suoni vari di ornamentazione. Dopo una frase di collegamento, giunge l'Epilogo: sostenuto da un insistito pedale sulla nota fa, ancora il primo tema compare in forma di variazione, ma non ulteriormente elaborato; invece è semplificato e si dissolve gradualmente nelle sue stesse ripetizioni, come attratto verso i corposi e penetranti accordi finali che costituiscono un vero e proprio cluster, una soluzione per quel tempo decisamente ardita.

Il secondo movimento, l'Allegretto, si apre con un fitto moto perpetuo di semicrome. La trama leggera del disegno melodico richiama limpide timbricità cembalistiche. Questo flusso sonoro leggero e trasparente è ricavato dalla sommatoria di due sole voci: la sua scorrevolezza è costante nel tempo e produce un effetto di movimento meccanico dal fascino irreale. Dopo una ripetizione della sezione introduttiva, il perpetuum mobile si trasferisce verso nuove regioni tonali e affronta una parte sviluppativa in cui si aggiungono, al basso, prima una pesante scala cromatica discendente, poi al canto una saltellante figura ritmica sincopata. Un breve stabilizzarsi su quartine reiterate, e un piccolo inciso si insinua a spezzare la quadratura metrica, con curioso effetto di distorsione del decorso musicale, mentre una frase in progressione modulante da esso stesso generata conduce al ritorno in fortissimo della nervosa figura sincopata. Beethoven ha così predisposto l'intera struttura per una ripresa generale del materiale, e per far ciò utilizza un segmento melodico che conduce alla dominante del tono di fa maggiore. Tuttavia si tratta di una ripresa con caratteristiche prettamente conclusive, avviata com'è in tono declamatorio sul pedale del basso - cosa che conferisce profondità e risalto alla linea tematica - ora riassunta in forma sintetica nei suoi elementi più caratteristici. Dopo la ripetizione delle due sezioni di elaborazione e di ripresa nel ritornello, si ripresenta una sorta di duplicazione velocizzata della stessa ripresa in tempo Più Allegro, ancora sul pedale di fa, ma con toni magniloquenti ed enfatizzati.

Marino Mora

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(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 28 maggio 1993
(2) Testo tratto dal n. 66 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 15 agosto 2014