Sonata per pianoforte n. 1 in fa minore, op. 2 n. 1


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro
  2. Adagio (fa maggiore)
  3. Minuetto. Allegretto
  4. Prestissimo
Organico: pianoforte
Composizione: 1793 - 1795
Edizione: Artaria, Vienna, 1796
Dedica: Franz Joseph Haydn
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le tre Sonate op. 2 sono le prime composizioni per pianoforte che Beethoven numerò ma non le prime che scrisse né le prime che pubblicò. Tre Sonate di Beethoven Wo047, furono pubblicate dall'editore Bossler di Spira nell'ottobre del 1783. Beethoven, nato il 16 dicembre 1770, non aveva ancora tredici anni quando scrisse le Sonate Wo047, ma il suo maestro Neefe non ebbe torto di parlarne nel "Magazin fiir Musik" di Carl Friedrich Cramer come di una "notevole composizione di un giovane genio". Il Newman ha giustamente notato che ci sono dei "punti in comune" tra le prime Sonate di Beethoven e la raccolta di 12 Sonate pubblicate da Neefe dieci anni prima, nel 1773. Ci sembra soprattutto interessante il fatto che le Sonate di Neefe, come l'autore afferma nella prefazione, fossero state espressamente composte per il clavicordo, e non per il clavicembalo o per il pianoforte; anche le Sonate Wo047, sono "für Klavier", termine con il quale Neefe aveva voluto indicare il clavicordo: il legato sostenuto e il cantabile che Beethoven applicò poi sul perfezionato pianoforte di fine Settecento si potevano ottenere sul clavicordo, ed è quindi molto probabile che la concezione beethoveniana dell'esecuzione pianistica sia stata in parte influenzata dalla predilezione del Neefe per il clavicordo. Esiste inoltre un rapporto tra la seconda Sonata, in fa minore, e la "Patetica".

Tra il 1788 e il 1792 Beethoven scrisse tre altre Sonate, delle quali una è andata perduta e le altre due (Wo050 e 51) vennero pubblicate postume. Nella Sonata Wo051, dedicata a Eleonora von Breuning, il Prod'homme rileva una relazione strutturale tra due tonalità (tonalità principale - tonalità della terza minore superiore, in sostituzione del tradizionale rapporto tonalità principale - tonalità di dominante) «vraiment beethovénienne ».

Trasferitosi a. Vienna nel novembre del 1792, Beethoven cominciò a farsi conoscere con varie composizioni per pianoforte (variazioni, bagatelle, rondò). Le tre Sonate op. 2 erano già note ai dilettanti di Vienna nel 1795, ma furono pubblicate solo nel marzo del 1796. Secondo quanto dice il Ries, le tre Sonate furono eseguite da Beethoven, alla presenza di Haydn, in casa del principe Lichnowsky. Haydn avrebbe desiderato che, com'era di uso, Beethoven facesse menzione nella dedica del fatto di esser stato allievo di Haydn; Beethoven non volle però aderire al desiderio di Haydn perché «da lui non aveva imparato niente».

Secondo un uso del tempo, il frontespizio delle Sonate lascia all'esecutore la scelta tra il clavicembalo e il pianoforte; ma poiché non si nota nessuna differenza di scrittura strumentale tra le Sonate op. 2 e la parte pianistica dei Trii op. 1, nei quali non è concessa l'alternativa tra pianoforte e clavicembalo, è evidente che Beethoven si conformò semplicemente ad un uso editoriale.

Il Reinecke e poi altri commentatori ritengono che il primo tema della Sonata op. 2 n. 1 sia stato suggerito a Beethoven dal primo tema del finale della Sinfonìa K. 550 di Mozart; ci sembra che abbia invece ragione Edwin Fischer, il quale suggerisce un rapporto con un'altra Sinfonia di Mozart (K. 183), anche perché in uno schizzo, pubblicato dal Nottebohm, il tema di Beethoven manca dell'anacrusi.

Oltre alla probabile derivazione da Mozart del primo tema, nel primo tempo della Sonata è riscontrabile qualche traccia della drammatica Sonata in do minore K. 475 di Mozart. La costruzione architettonica del pezzo è invece diversa dal tipo che in Mozart prevale largamente, con lo svolgimento molto più breve dell'esposizione e della ripresa. Nel primo tempo dell'op. 2 n. 1 le tre parti sono quasi di pari lunghezza (48, 52, 52 battute), e la costruzione si avvicina quindi al tipo che Beethoven mostrerà anche in seguito di prediligere, con lunghezza rispettiva, prendendo il numero 10 come punto di riferimento convenzionale per l'esposizione, di 10 - 8,8 -12,5.

Per il secondo tempo Beethoven si servì dell'Adagio con espressione del Quartetto WoO 36 n. 3 per pianoforte e archi, scritto nel 1785, nel quale il giovanissimo artista riusciva a far rivivere in modo personale il tipo dell'Adagio ornato che si incontra spesso in Haydn e in Cari Philipp Emanuel Bach (secondo il Rosenberg questo Adagio potrebbe essere stato ispirato dall'Adagio del Quartetto op. 64 n. 5 di Haydn). Il nucleo principale della composizione giovanile rimane invariato (gli ascoltatori potranno così sentire a quale altezza sapesse già portarsi il Beethoven quindicenne), e Beethoven lo amplia semplicemente con nuovi episodi, che denunciano appena una leggera frattura di stile: per esempio, stilisticamente è un pò diverso il bell'episodio in re minore, pianisticamente geniale per l'abile sfruttamento del'incrocio della mano destra sulla sinistra.

L'attacco del Minuetto avviene nello stesso registro usato per l'attacco dell'Adagio, con la stessa dinamica (piano) e con una disposizione analoga delle parti; ma basta l'uso dello staccato e la mancanza della didascalia dolce (che c'era invece nell'Adagio) per cambiare completamente la sonorità pianistica: è un esempio di come Beethoven sappia sfruttare le risorse timbriche del pianoforte.

Il finale, come ha notato il Prod'homme, può essere stato suggerito a Beethoven dal finale della Sonata op. 6 n. 1 di Clementi. La caratteristica più sorprendente (e più beethoveniana) del finale è l'inizio dello svolgimento: Beethoven lo inizia con una lunga melodia, che non ha rapporto con il materiale tematico della esposizione. Il Rosenberg ha però dimostrato la derivazione di questa melodia dal materiale tematico del primo tempo: è una prima prova dei sottili legami tematici che Beethoven stabilisce quasi sempre tra i tempi di una Sonata.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Destinate ad inaugurare la gloriosa serie delle trentadue sonate per pianoforte di Beethoven, le tre composizioni apparse a Vienna nel 1796 come opera 2, non erano in realtà i primi lavori pianistici del giovane musicista dì Bonn. Senza contare alcune esercitazioni marginali, volutamente lasciate inedite, già tredici anni prima erano state pubblicate tre sonate, scritte, come recitava il frontespizio dell'edizione, «in età di anni 11». Se a questi primi esperimenti si aggiunge l'intensa attività di pianista svolta da Beethoven in quell'intervallo, si comprenderà meglio l'approfondimento stilistico e tecnico che egli aveva operato a contatto con uno strumento che, in quegli anni, era appena agli albori della sua complessa storia. Non è dunque possibile considerare le tre sonate dell'op. 2 come semplici lavori giovanili, tanto più che, benché figurino scritte nel 1795, Beethoven vi aveva rielaborato schizzi e lavori precedenti al punto che si può loro assegnare una gestazione di almeno dieci anni. Già nella prima delle tre, quella in fa minore, la forma sonata appare allargata e lo schema tripartito caro ad Haydn (a cui l'intera opera 2 è dedicata) e a Mozart (alla cui sonata in do minore il tema di apertura può far pensare) è allargato a quattro movimenti. I due estremi sono avveniristici e incandescenti, mentre al centro figurano due pagine di sapore più arcaico: un adagio, che è una trascrizione di un tempo tratto dal quartetto con pianoforte scritto nel 1785, e un minuetto con trio che costituisce un elegante e candido addio ad una forma tipicamente settecentesca. Già infatti dalla sonata successiva il minuetto sarà sostituito da uno scherzo. Il prestissimo conclusivo, infine, dimostra che Beethoven conosceva le migliori sonate di Clementi e che era perfettamente al corrente di quanto di più avanzato era stato scritto per il pianoforte.

Bruno Cagli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 17 gennaio 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 maggio 1977

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Ultimo aggiornamento 21 febbraio 2016