No riches from his scanty store, WoO 153 n. 2

Canzone in re maggiore per soprano, pianoforte, violino e violoncello dalle 20 canzoni irlandesi, WoO 153

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Testo: Helen Maria Williams Organico: soprano, pianoforte, violino, violoncello
Composizione: 1810 - 1813
Edizione: Preston & Thomson, Londra 1814-16
Guida all'ascolto (nota 1)

La critica romantica, con i suoi preconcetti ancora oggi affascinanti e difficili da smaltire, ha descritto Beethoven come un essere quasi sovrumano e non soggetto alle debolezze dell'uomo comune, come un creatore di musica idealistica, eroica, nobile, visionaria. Si deve alla forte e durevole suggestione di questo Beethoven titanico se ci si sente spesso a disagio di fronte a musiche che mal si adattano alla sua immagine idealizzata, come le rielaborazioni di melodie popolari in forma di Lieder o di variazioni, tanto che si è tentati di liquidarli come un momento di distrazione o di vacanza del genio.

Prima di giungere a tale sommario giudizio si dovrebbe però considerare che allora questo genere di composizioni rientrava nell'ampio e variegato ambito della musica "da camera", destinata ad essere ascoltata in ambito domestico, tra parenti e amici, affidata alle ugole e alle dita d'esecutori dilettanti. Solo in seguito - anche in conseguenza del fatto che i compositori, a partire proprio da Beethoven, cominciarono a richiedere agli esecutori un livello tecnico superiore alle possibilità d'un dilettante - alcuni generi concepiti per questa fruizione privata passarono ad occupare un posto nella vita musicale pubblica, mentre altri non superarono questo passaggio e, scomparso l'ambiente sociale per le cui esigenze erano stati concepiti e non ricevendo alcun sostegno dalle nuove istituzioni musicali, finirono fuori dal repertorio. Inoltre gli adattamenti beethoveniani di melodie popolari si sono scontrati con il moderno approccio alla musica popolare, più rispettoso delle sue qualità specifiche e originali, finendo quindi coll'essere considerate musiche di "seconda mano", non indicative né della personalità dell'autore né dell'autentico spirito popolare.

Ma una musica nata per una determinata società e per un determinato tipo di fruizione può trovare nuova vita in un ambiente diverso, tanto più se il nome dell'autore suscita una doverosa attenzione.

Come ogni altro musicista viennese di nascita o d'adozione - dai minori fino a Haydn, Schubert, Brahms, Wolf e Mahler, con l'unica eccezione di Mozart - Beethoven non disdegnò affatto la musica popolare e vi attinse sia per musiche d'intrattenimento dal tono leggero che per composizioni di grande impegno, come due dei tre Quartetti dedicati al conte Andrej Rasumovskij: ma i suoi adattamenti di quasi centocinquanta melodie popolari scozzesi, irlandesi e gallesi non sarebbero nati senza le ripetute sollecitazioni di George Thomson, segretario del "Board of Trustees of the Encouragement of Art and Manufacture in Scotland". Costui, dopo aver ascoltato in concerto ad Edimburgo alcune canzoni scozzesi (eseguite da cantanti d'opera italiani!), si era consacrato al compito di raccogliere le "migliori canzoni e melodie" della sua tena: nel 1793 ne pubblicò una prima raccolta, affidata alle cure di Pleyel, Kozeluch e Haydn, incontrando un'ottima accoglienza in tutto il Regno Unito. Tali pubblicazioni di Thomson andarono avanti fino al 1838, estendendosi anche alla musica popolare irlandese e gallese.

Era convinzione di Thomson che si dovesse dare a queste melodie popolari una veste più decorosa, che fosse cioè conforme ai gusti del ceto borghese allora in piena ascesa. Per questo si rivolse ad alcuni tra i compositori più importanti dell'epoca, senza preoccuparsi se avessero una qualche dimestichezza con la musica popolare delle isole britanniche, e chiese loro di rielaborare e armonizzare le melodie che gli inviava, realizzandone una versione per voce solista, pianoforte, violino e violoncello, ed eventualmente un piccolo coro ad libitum. Il testo originale veniva il più delle volte scartato in ragione della lingua e del contenuto, ritenuti volgari, e sostituito con versi dallo stile più letterario, dovuti a scrittori di grido come Walter Scott, Robert Burns e perfino George Byron.

Thomson contattò per la prima volta Beethoven con una lettera del 1803, sollecitandolo a comporre delle sonate in cui avrebbero dovuto figurare temi scozzesi. La risposta non fu affatto negativa ma, forse per il compenso troppo elevato richiesto, la trattativa non andò avanti. Nel 1806 Thomson si rifece vivo con la richiesta di qualcosa di meno impegnativo e Beethoven rispose: «Renderò le composizioni facili e piacevoli fino al punto che mi sarà possibile, per quanto ciò sarà compatibile con lo stile elevato e originale, che, secondo la Sua espressione, caratterizza vantaggiosamente le mie opere, e da cui non mi discosterò mai». E concludeva dicendosi disposto ad armonizzare delle piccole canzoni scozzesi.

Il pieno accordo tra editore e compositore fu raggiunto nel 1809 e da allora fino al 1818 Beethoven rielaborò per Thomson melodie scozzesi, gallesi e soprattutto irlandesi, pubblicate in sette raccolte da Thomson tra il 1814 e il 1822. Venticinque Schottische Lieder (già pubblicati da Thomson nel 1818) furono ristampati come opus 108 in Germania nel 1822, mentre le altre sei raccolte rimasero senza numero d'opus e vengono ora indicate con i numeri 152, 153, 154, 155, 156 e 158 del catalogo redatto da Kinsky e Halm dedicato, appunto, ai Werke ohne Opuszahlen (WoO, cioè lavori senza numero d'opus). Inoltre alcune di queste rielaborazioni rimasero inedite fino al 1971, quando vennero inserite nel quattordicesimo volume di supplemento dell'edizione degli opera omnia di Beethoven.

Negli stessi anni in cui attendeva alle sue rielaborazioni, Beethoven utilizzò motivi scozzesi anche nelle due serie di temi variati per flauto e pianoforte, opp. 105 e 107: ciò fa supporre che questa musica semplice e popolare avesse suscitato in lui un interesse che andava al di là dell'ottimo compenso pagatogli dall'editore. Infatti, mentre in un primo tempo aveva scritto a Thomson che «questo lavoro è un impegno che non offre all'artista molto piacere», una posteriore annotazione nel suo diario rivela che il suo interesse a questo lavoro cominciava a crescere: «I Lieder scozzesi dimostrano con quanta libertà si possa trattare, per quanto riguarda l'armonia, la melodia poco strutturata delle canzoni».

L'impegno messo da Beethoven in queste rielaborazioni è testimoniato da altre frasi della sua corrispondenza con Thomson: «Si possono trovare facilmente degli accordi per armonizzare queste canzoni, ma far risaltare la semplicità, il carattere, la natura del canto non è tanto facile come Lei forse crede. Esiste un numero infinito di armonie, ma una sola è conforme al genere e al carattere della melodia». Analogo concetto ritorna in un'altra lettera: «Vi prego ancora una volta di aggiungere sempre il testo alle melodie scozzesi. Non capisco come Lei, che è un intenditore, non riesca a comprendere che farei dei pezzi completamente diversi se avessi sott'occhio le parole e che le canzoni non potranno mai diventare dei prodotti perfetti se Lei non mi manda il testo» (Thomson seguiva infatti la singolare prassi di scegliere il testo solo dopo aver ricevuto le elaborazioni delle melodie).

Che Beethoven portasse anche in questi lavori apparentemente disimpegnati tutta la sua coscienza artistica è dimostrato anche dal fatto che si rifiutò di sottostare alla richiesta di semplificare alcuni accompagnamenti ritenuti da Thomson troppo difficili: «Mi dispiace, ma non posso accontentarLa. Non ho l'abitudine di ritoccare le mie composizioni: non l'ho mai fatto, convinto come sono che ogni cambiamento anche parziale alteri il carattere della composizione».

Tutti questi Lieder, sebbene non rivelino l'orma gigantesca del genio, denunciano la mano del grande musicista, contengono momenti originali (inconfondibilmente beethoveniane sono molte delle brevi introduzioni e conclusioni strumentali, che costituiscono un'aggiunta dovuta interamente al compositore) e sono di piacevolissimo ascolto.

Mauro Mariani

Testo
No riches from his scanty store
Nessuna fortuna dal suo povero negozio
No riches from his scanty store
My lover could impart;
He gave a boon I valued more:
He gave me all his heart!
His soul sincere, his gen'rous worth,
Might well this bosom move;
And when I ask'd for bliss on earth,
I only meant his love.

But now for me, in search of gain,
From shore to shore he flies:
Why wander, riches to obtain,
When love is all I prize!
The frugal meal, the lowly cot,
If blest my love with thee!
That simple fare, that humble lot,
Were more than wealth to me.

While he the dang'rous ocean braves,
My tears but vainly flow:
Is pity in the faithless waves
To which I pour my woe?
The night is dark, the waters deep;
Yes soft the billows roll:
Alas! at every breeze I weep:
The storm is in my soul.
Nessuna fortuna, nel suo povero negozio,
Poteva offrirmi il mio amato,
Mi diede un bene che io considerai molto di più:
Mi diede tutto il suo cuore.
Il suo animo sincero, il suo generoso valore,
Poterono ben smuovere questo petto.
E quando chiesi la felicità terrena
Intendevo solo il suo amore.

Ma ora per me, in cerca di guadagno,
Vola da costa a costa:
Perché vagare, in cerca di ricchezze,
Quando amore è tutto ciò che io stimo.
Il cibo frugale, un umile riparo,
E, mio Dio, il mio amore con te!
Questo semplice prezzo, quest'umile sorte
Sarebbero per me più della ricchezza.

Lui sfida il periglioso oceano,
E invano scorrono le mie lacrime:
Han compassione le onde infide
Alle quali levo il mio lamento?
Scura è la notte, profonde le acque;
Sì, dolcemente i flutti ondeggiano:
Ahimé, ad ogni alito di brezza sospiro: -
E tempesta è nel mio cuore.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 gennaio1997

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Ultimo aggiornamento 9 novembre 2014