Che il Quintetto in mi bemolle maggiore WoO 208 (1796 circa) per oboe, tre corni e fagotto sia pervenuto in forma incompleta è davvero un peccato: per la particolarità dell'organico, incentrata sull'insieme dei tre corni, come per l'interesse musicale che traspare da quanto è rimasto della composizione (oggetto, peraltro, di un tentativo di completamento da parte di L. A. Zeltner nel 1862). Di fatto l'unico movimento compiuto è il secondo; del primo e del terzo restano soltanto frammenti, mentre del finale non si ha alcuna traccia.
Ciò che rimane dell'Allegro iniziale incomincia dalla parte conclusiva dello sviluppo, ma è con la ripresa che si può apprezzare il tipo di scrittura che caratterizza il lavoro. Nel primo gruppo tematico, seguito dalla transizione, ai tre corni risponde una sezione dove i segnali del Tutti all'unisono avviano un ordito articolato in cui l'oboe ora delinea passaggi fioriti ora si unisce al fagotto in dialogo con i corni. E da un suadente dialogo tra il corno I e l'oboe è costituito il secondo gruppo tematico, suggellato dalla chiusa della ripresa e quindi dalla coda in diminuendo che echeggia il tema principale del movimento.
D'indubbio fascino è l'Adagio mesto, dove il complesso dei corni ll-lll e del fagotto offre uno sfondo timbrico suggestivo ed emotivamente sensibile alla tersa cantabilità dell'oboe e del corno I; la forma è semplicissima, con una prima parte che poi viene ripresa e variata. Del Menuetto. Allegretto non restano che poche battute: la prima parte, replicata, e l'inizio della seconda.
Cesare Fertonani