Quartetto per archi n. 9 in do maggiore, op. 59 n. 3 "Razumowsky"


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Introduzione. Andante con moto. Allegro vivace
  2. Andante con moto quasi Allegretto (la minore)
  3. Minuetto (grazioso). Trio
  4. Allegro molto
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1806 - 1807
Edizione: Bureau des Arts et d'Industrie, Vienna 1808
Dedica: Conte Razumovsky
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Terzo dei tre Quartetti che vanno sotto il nome di Rasumowsky (il dedicatario dell'op. 59), il Quartetto in do maggiore è considerato il meno impegnativo dei tre, sia dal punto di vista della scrittura quartettistica sia da quello della costruzione architettonica. Come sempre, però, si tratta di giudizi che vogliono inserire l'opera in un contesto "evoluzionistico" (dal semplice al complesso), penalizzando un quartetto che, come quello in do maggiore, risulta di struttura compositiva più semplice rispetto ai due precedenti. Ricordiamo però che il confronto è falsato dal fatto che è il primo Quartetto di questo gruppo ad essere eccezionale nella produzione beethoveniana: per le proporzioni inusuali e la complessità del pensiero compositivo, il n. 1 dell'op. 59 si staglia, infatti, come un unicum, un punto di riferimento per il resto della produzione coeva. Si intuisce, dunque, come un'analisi o, peggio, un giudizio, degli altri due Quartetti dell'op. 59 fatta in riferimento al primo, sia fuorviante ed impedisca di notare le peculiarità delle singole pagine. Sgombrato il campo dagli "a priori" analitici sarà più facile, allora, riconoscere ad ognuno dei quartetti dell'op. 59 il contributo dato alla storia del genere.

La lenta Introduzione che precede l'Allegro vivace è la dimostrazione della maturità raggiunta da Beethoven nel creare zone di forte sospensione prima che si inneschi la carica propulsiva principale. Il compositore riesce ad affrancarsi dall'idea dello scorrere del tempo grazie al dilatamento di accordi dissonanti che, seguendo una vaga progressione, mutano impercettibilmente natura (armonica) e scopo (l'obiettivo da raggiungere). All'attacco dell'Allegro, il clima rimane ancora sospeso grazie al tipo di scrittura che lascia il primo violino da solo in una sorta di recitativo che espande lo spazio fino alla battuta 43 dove "finalmente" si stabilizza la tonalità di do maggiore. Anche il secondo tema è annunciato da un piccolo "solo" del primo violino, un gruppo di due quartine di sedicesimi che dominerà (insieme al frammento di recitativo che apre l'Allegro) tutta la sezione centrale (sviluppo).

Il secondo movimento ha senza dubbio qualcosa di speciale che lo avvicina a certi esiti "sconvolgenti" dei tempi lenti degli ultimi quartetti e lo allontana dai due corrispondenti degli altri Quartetti dell'op. 59. Si è parlato di pulsazione ipnotica del ritmo (un 6/8 ossessivo e implacabile), di indicibile melanconia che trasforma tutti i parametri (armonici e melodici) in un tessuto uniforme più emozionale che complesso, più immaginativo che razionale. Si ha l'impressione che tutto cambi anche se nulla si muove: le modulazioni sono frequenti ed originali ma inserite in un contesto ritmico-melodico che le rende simili a se stesse. L'ossessività del pizzicato del violoncello scandisce il tempo in modo contraddittorio: da una parte ce ne da la coscienza segnando i tempi delle battute, dall'altra lo ferma rendendolo immutabile. La viola, utilizzata sovente nel registro grave, contribuisce in modo fondamentale alla creazione del colore strumentale dell'intero movimento, una zona nera in un quadro scuro. Il secondo tema, in do maggiore, crea una sezione senza dubbio contrastante che non serve però ad alleggerire il clima dell'intero movimento, semmai a rendere più netti i contrasti della tavolozza espressiva.

Il terzo movimento si pone come una sorta di momento di respiro tra le profondità del secondo e l'impressionante energia dell'ultimo. Diviene così di grande pertinenza l'aggettivo Grazioso apposto al Minuetto, elegante nel tema, nel movimento polifonico e nella conduzione armonica. Il Trio si fa invece più energico, con frequenti e veloci escursioni tra piano e forte, sforzati sui tempi deboli e rapide scale di viola e violino secondo.

Come spesso accade nella musica che fa largo uso della tecnica contrappuntistica, molti elementi che appaiono evidenti all'occhio sfuggono all'orecchio. È il caso dell'Allegro conclusivo che inizia come una fuga di cui Beethoven sfrutta il perfetto e consolidato meccanismo matematico (la successione delle entrate: viola, violino secondo, violoncello, violino primo) per dare l'effetto di un'inesorabile e "trionfale" macchina musicale che non si fermerà più per 429 battute. Gli studiosi hanno tentato di capire se nelle intenzioni dell'autore c'era un movimento in forma-sonata con un trattamento di fuga o viceversa; ovviamente la risposta non c'è perché ci troviamo di fronte ad una pagina pensata e costruita come qualcosa di nuovo che reinterpreta e reinventa forme ormai del passato.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

L'occasione di dedicarsi nuovamente al quartetto per archi venne dalla commissione di un personaggio di grande rilievo nella vita cultural-mondana della Vienna di inizio secolo, il conte Andreas Rasumovskij (1752-1836). Dal 1794 questo aristocratico russo, figlio di un ufficiale cosacco che aveva avuto una relazione con l'imperatrice Caterina (circostanza che certo aveva facilitato la carriera della sua discendenza), ricopriva l'incarico di ambasciatore a Vienna; appunto nella capitale austriaca svolgeva un ruolo di mecenate, promuovendo grandi trattenimenti musicali nel suo splendido palazzo. Apparteneva alla cerchia di Rasumovskij il violinista Schuppanzig, amico di Beethoven e primo interprete di tanta parte della sua musica da camera, e capitava che l'aristocratico, dotato, come si conveniva all'epoca, di una adeguata preparazione musicale, sostenesse la parte di secondo violino nelle sedute di quartetto; fondò anzi nel 1806, con Schuppanzig, il violista Franz Weiss e il violoncellista Josef Lincke, un suo proprio quartetto, che si riunì stabilmente fino a quando, nel 1816, il palazzo dell'ambasciatore non venne completamente distrutto da un incendio, causandogli ingenti danni finanziari.

Non stupisce dunque che questo personaggio, ammiratore di Beethoven fin dagli esordi del musicista, gli potesse commissionare un ciclo di quartetti; né che queste partiture, come diretto riferimento al destinatario, rechino al proprio interno la citazione di alcuni temi russi, tratti da una delle tante antologie di melodie popolari, raccolte secondo quella tendenza ad indagare le culture locali (sia pure con occhi civilizzati e viziati da pregiudizi) che si andava diffondendo; per l'esattezza è verosimile che i temi citati da Beethoven siano stati tratti da una raccolta di Ivan Pratsch, edita nel 1790.

Beethoven scrisse dunque le tre partiture, ovvero i Quartetti opera 59, nel periodo 1805-1806, per pubblicarle poi un paio d'anni più tardi, con dedica al committente. Anche se il lasso temporale che distanzia questi nuovi quartetti da quelli dell'opera 18 è di appena cinque anni, in realtà molta acqua era passata sotto i ponti musicali viennesi, e Beethoven in particolare si era lasciato alle spalle quelle partiture, tipiche dei suoi anni giovanili, incentrate su un gusto intrattenitivo ancora settecentesco, e aveva fatto eseguire capolavori quali il Terzo Concerto per pianoforte op. 37, la Terza Sinfonia «Eroica» op. 55, le Sonate per pianoforte op. 53 («Waldstein«) e op. 57 («Appassionata«), nonché la prima versione del «Fidelio». Ovvio che le premesse di sperimentazione fonica, formale e concettuale di questa nuova fase creativa dovessero in qualche modo ripercuotersi anche nei nuovi lavori quartettistici.

Ma, intorno al compositore, anche un'altra rivoluzione si stava compiendo, lentamente ma ineluttabilmente; quella che, nel volgere di qualche lustro, avrebbe portato la musica dagli ambiti dei saloni aristocratici a quelli delle sale pubbliche; in particolare un genere musicale esclusivistico come il quartetto, la cui destinazione agli intenditori significava che i reali fruitori delle partiture erano gli stessi esecutori, prima ancora che una ristretta cerchia di uditori, andava spostando la propria funzione, da quella di intrattenimento esoterico a musica per il pubblico; di qui il fiorire del genere del quatour brillant, in cui uno o più strumenti primeggiavano sugli altri con chiari fini virtuosistici, guardando in qualche modo a certe tecniche della musica sinfonica. Ovvio, dunque, che anche Beethoven, sensibile più di quanto non sia stato in genere rimarcato alle esigenze del mercato, avvertisse la necessità di donare un maggiore spessore sonoro alle sue partiture cameristiche, senza per questo far venir meno le ambizioni concettuali e la difficoltà tecnica.

Il risultato di tutto ciò è che si proietta, sui quartetti dell'opera 59, la logica dell'esperienza sinfonica, senza che venga compromessa la specificità cameristica delle composizioni, che anzi trae nuova linfa da un concetto di «massa» sonora, per cui veramente il quartetto non è più un insieme di quattro strumenti ma un unico strumento esso stesso. Il quartetto per archi non viene meno alla sua scrittura ricercata, alla tecnica dell'elaborazione tematica, ma ingloba piuttosto una serie di tecniche e di spunti che erano ignoti ai Quartetti dell'opera 18, quali la sobrietà e talvolta l'indeterminatezza (nella fisionomia e nella funzione) del materiale tematico, la logica più stringente e consequenziale, dovuta a una concezione della forma musicale e degli accadimenti che in essa si verificano, come processo, in cui ogni dettaglio ha una sua necessità all'interno di un preciso percorso evolutivo.

Il terzo Quartetto dell'opera 59 è l'unico dei tre a non possedere un suo «tema russo», e il primo fra tutti i quartetti di Beethoven ad aprirsi con una introduzione lenta: poche misteriose battute di armonie sospese, macchiate da trilli coloristici; un sipario sorprendente per il seguente Allegro vivace, movimento che, dopo la densità concettuale dei quartetti precedenti, sembra tornare a un oggettivismo di stampo haydniano, dove prevalgono la pulizia del gioco strumentale, e un regolare avvicendamento dei temi; anche se in realtà è la stessa configurazione di questi temi (incertezza-affermazione per la prima idea, che si impone poi nello sviluppo; inseguimento che finisce nel nulla per il secondo) a mostrare il carattere di studiato manierismo di queste scelte; laddove si intende per manierismo quella ricorrente attitudine di Beethoven a servirsi di stilemi settecenteschi estraniandoli e dando loro una rilettura che è in realtà una reinterpretazione.

Con l'Andante con moto quasi Allegretto abbiamo un tempo lento meno impegnativo che nei quartetti precedenti, una sorta di pastorale malinconica, in la minore e in 6/8, dove, più che l'avvicendarsi delle varie situazioni, risulta importante il ricorrere per tutto il movimento, insistito e davvero sinistro, del pizzicato del violoncello. In terza posizione troviamo un Menuetto. Grazioso, tempo che di per sé conferma le scelte manieristiche, nel senso di cui si diceva; e non a caso questo minuetto parte con un tema garbato per prendere poi strade eclettiche ed eterodosse, fra le quali compare lo scattante Trio, incentrato sul primo violino. La coda del minuetto è in realtà una ombrosa introduzione al finale, che succede senza fratture: un Allegro molto che è un movimento fugato, basato su un tema frammentario, e quasi interamente innervato da una fittissima polifonia, solo a tratti interrotta da una scrittura più dialettica. Un tempo anch'esso brillante ed oggettivo, che conferma le minori ambizioni concettuali e la maggiore giocosità di questo Quartetto rispetto agli altri dell'opera 59.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 20 Ottobre 1995
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 febbraio 2000

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Ultimo aggiornamento 1 febbraio 2015