An die Hoffnung (Alla speranza), op. 94

Lied in si bemolle minore per voce e pianoforte - Seconda versione


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Testo: C.A. Tiedge
  1. Ob ein Gott sei? - Poco sostenuto
  2. Die du so gern in heil'gen Nachten feierst - Larghetto (sol maggiore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1813 - 1815
Edizione: Steiner, Vienna 1816

Vedi la prima versione al n. Op. 32
Guida all'ascolto (nota 1)

An die Hoffnung op. 94 (1813-1816) è il ripensamento in termini musicali affatto nuovi di un precedente Lied del 1805 composto sullo stesso testo poetico, l'Urania di Tiedge. Il componimento appartiene al «genere» filosofico - misticheggiante, e in tal senso trova un illustre precedente nella Piccola cantata mozartiana K. 619 «Die ihr des unermesslichen Weltalls Schöpfer ehrt», d'ispirazione massonica. Mentre nella primitiva versione Beethoven si era accontentato di un semplice andamento strofico, nella nuova egli adotta le forme più ambiziose della cantata cameristica, ripristinando, a tale scopo, la prima strofa dell'ode, precedentemente eliminata. Sui dubbi metafisici espressi dal testo: «Ma esiste un Dio? Verranno esaudite le preghiere che gemendo innalziamo a lui?» il Maestro costruisce uno dei suoi recitativi più intensi e scavati, che, attraverso un tormentato giro armonico conduce a un Larghetto cantabile, di un più prevedibile fraseggiare melodico.

Giovanni Carli Ballola

Testo

AN DIE HOFFNUNG ALLA SPERANZA
Ob ein Gott sei? Ob er einst erfülle,
Was die Sehnsucht weinend sich verspricht?
Ob, vor irgendeinem Weltgericht,
Sich dies rätselhafte Sein enthülle?
Hoffen soll der Mensch! Er frage nicht!

Die du so gern in heiigen Nächten feierst
Und sanft und weich den Gram verschleierst,
Der eine zarte Seele quält,
O Hoffnung! lass, durch dich emporgehoben,
Den Dulder ahnen, dass dort oben
Ein Engel seine Tränen zählt!

Wenn längst verhallt geliebte Stimmen schweigen,
Wenn unter ausgestorbnen Zweigen
Verödet die Erinnrung sitzt:
Dann nahe dich, wo dein Verlassner trauert,
Und, von der Mitternacht umschauert,
Sich auf versunkne Urnen stützt.


Und blickt er auf, das Schicksal anzuklagen,
Wenn scheidend über seinen Tagen
Die letzten Strahlen untergehn:
Dann lass ihn um den Rand des Erdentraumes
Das Leuchten eines Wolkensaumes
Von einer nahen Sonne sehn!
E' un dio, forse? Appagherà forse un giorno
quanto l'ansia, piangendo, si ripromette?
Si rivelerà forse, quest'essere enigmatico,
prima di un qualche giudizio universale?
L'uomo deve sapere! Non chiede!

Tu che ami celebrare le sante notti
e ricopri blandamente l'angoscia
che tormenta un'anima delicata,
o Speranza, concedi al rassegnato
di poter credere che lassù
un angelo conta le sue lacrime!

Quando tacciono le care voci che hanno
[risuonato per lungo tempo,
quando il ricordo desolate giace
sotto i rami morenti,
accorri dove soffre colui che hai abbandonato
e, guardandosi attorno nel cuore della notte,
si appoggia alle urne crollate.

Egli solleva lo sguardo, per accusare il destino,
mentre gli ultimi raggi tramontano,
accomiatandosi, sui suoi giorni:
fai allora che al margine del suo sogno terreno,
possa mirare il bordo di una nuvola
illuminata da un sole vicino!
(Traduzione di Luigi Bellingerdi)

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 4 dicembre 1970

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Ultimo aggiornamento 19 dicembre 2013