Ouverture Fidelio in mi maggiore, op. 72


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 2 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1814
Edizione: Farrenc, Parigi 1826

Scritta per la terza versione dell' opera Fidelio
Guida all'ascolto (nota 1)

Per il suo travagliato capolavoro teatrale Fidelio / Leonore Beethoven scrisse quattro Ouverture: le cosiddette Leonore I, II, III, e l'Ouverture del Fidelio. Di queste quattro pagine sinfoniche, differenti tra loro poco o sostanzialmente, la Leonore II aprì la rappresentazione del 1805; la celeberrima Leonore III la ripresa, rivista e abbreviata, del 1806; e l'ultima, infine, aprì la nuova versione del 1814 (la Leonore I, mai eseguita vivo Beethoven, pare sia stata composta nel 1807 per una progettata esecuzione dell'opera a Praga, che poi non ci fu; anche il titolo dell'opera è cambiato tre volte, da una versione all'altra).

Chi qui scrive è persuaso che, pur essendo il Fidelio / Leonore del 1805 già una grande opera, l'ultima versione del 1814 sia la 'definitiva', sia cioè la più equilibrata e matura nel libretto e nella musica, e che dunque la vera introduzione sinfonica al Fidelio sia l'ultima versione dell'Ouverture, molto diversa dalla altre, più concisa e decisa, e legata al dramma solo spiritualmente e non per anticipazioni tematiche: il che fa un effetto incomparabilmente maggiore. La pratica, che si va diffondendo, di premettere al Fidelio la Leonore II e l'altra, più nota e generalmente gradita (attribuita a Mahler a torto, perché era già in uso nell'Ottocento, come sappiamo da Berlioz), di inserire la meravigliosa Leonore III come interludio prima del quadro finale dell'opera, mi sembra facciano un sopruso all'integrità drammatica. Se per la versione del 1814 Beethoven rinunciò alla Leonore III, cioè al capolavoro sinfonico che sapeva di aver creato, fu perché comprese che quella musica grandiosa era troppo prepotente (acutamente Donald F. Tovey disse che la Leonore III rendeva inutile il primo atto del Fidelio, anticipandolo tutto e annientandolo).

Il dinamismo drammatico, originato dal rigoglioso impulso, ideale e creativo, tipico di Beethoven di spingere una contro l'altra idee opposte e principi esistenziali contrari per esprimere nella musica lo scontro ed esaltare la supremazia finale di un'etica umanistica e positiva, è il carattere primario anche del Fidelio. Qui la dialettica spirituale tra bene e male, tra umanità e abiezione, eloquente in molte delle composizioni strumentali, si fa esplicita e teatrale, essendo essa il contenuto stesso dell'opera nei suoi valori concettuali, nella descrizione psicologica, e infine nelle situazioni rappresentate. Il Fidelio mette in scena, infatti, due passioni, quella della fedeltà e quella, nemica, dell'odio vendicativo, e due modi di esistenza, l'ideale ed eroico e il quotidiano borghese, e addirittura due casi, uno di commedia degli equivoci e uno di dramma idealistico, senza sovrapporli e, quindi, senza identificare uno con l'altro gli estremi dei due confronti. Anzi i personaggi-simbolo della passione eroica, del dramma, quindi, Leonore e Florestan, e la loro vicenda appaiono grandi nel piccolo mondo del realismo borghese, lo trascendono accogliendo in sé e nobilitando le sue modeste ambizioni e illusioni, che la musica osserva con attenzione ed umorismo, e lo trascinano allo scontro vittorioso contro la malvagità e il disumano sopruso. Nella glorificazione finale degli spiriti nobili e giusti nulla resta della commedia, del mondo affettuoso e goffo di Marzelline, Rocco, Jaquino, se non poche esclamazioni nel libretto che la musica non accoglie.

Lo spirito di riscossa e di vigorosa speranza che anima l'opera è già intero nell'Ouverture in mi maggiore. Essa si inizia con 22 battute che sono quasi una sigla dell'idea di forza morale che nasce dal dolore, nell'immediato accostamento di Allegro (4 battute) / Adagio (8 battute), quindi di nuovo Allegro (4 battute) / Adagio (ora, irregolarmente, 4 più 2 battute), in cui, tra l'Allegro e l'Adagio, si contrappongono due disegni musicali, due modi espressivi, due colori (orchestra intera / corni e legni). Un'estesa sezione modulante di 24 battute conduce, attraverso si maggiore, alla riaffermazione della tonalità di mi maggiore (la tonalità della Hoffnung, della speranza, nella grande aria di Leonore), conduce cioè al corpo dell'Ouverture, allo svolgimento sinfonico vero e proprio, notevolmente conciso nei suoi elementi (esposizione dei due temi, sviluppo, riesposizione, transizione alla coda). In esso la cellula ascoltata all'inizio diventa il primo tema dell'organismo, ma non smarrisce la sua teatrale espressività perché conserva, nella ritmica asciuttezza, il carattere di sfida ardimentosa. La transizione alla coda ripete l'Adagio iniziale (corni e legni), meditativo e solenne, contrappuntato da un estatico disegno all'acuto (clarinetto e flauto), quindi al basso (violoncelli), finché il tutto si effonde e dilata in quattro luminosi accordi di cadenza come in un commosso sospiro di liberazione e di felicità. Quindi un Presto esprime l'esultanza della vittoria.

L'Ouverture, o meglio la vicenda che essa simbolicamente esprime, celebra solo l'impulso alla lotta e la felicità dell'azione, e dunque essa prepara la nostra disposizione morale all'sscolto, ma non prefigura il dramma musicsle nei suoi contrasti (come facevano invece le altre Ouverture Leonore). Infatti non ci si presentano in essa le due negazioni del principio di fedeltà e di giustizia, che nel Fidelio sono la distruttiva ferocia dell'ambizione (Pizarro) e la vile prudenza della vita modesta con le sue illusioni (Rocco e Marzelline) - le due negazioni che la nobile Leonore affronta e vince nel dramma.

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 15 dicembre 2007

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Ultimo aggiornamento 7 novembre 2013