Le sacre du printemps (La sagra della Primavera)

Quadri della Russia pagana in due parti

Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Libretto: proprio e Nikolaj Roerich

Parte I: L'adorazione della Terra
  1. Introduzione
  2. Gli auguri primaverili - danze delle adolescenti
  3. Gioco del rapimento
  4. Danze primaverili
  5. Gioco delle tribù rivali - corteo del saggio - il saggio
  6. Danza della terra
Parte II: Il sacrificio
  1. Introduzione
  2. Cerchi misteriosi delle adolescenti
  3. Glorificazione dell'Eletta
  4. Evocazione degli antenati
  5. Azione rituale degli antenati
  6. Danza sacrificale (l'Eletta)
Organico: ottavino, 3 flauti (3 anche ottavino), flauto contralto, 4 oboi (4 anche corno inglese), corno inglese, clarinetto piccolo 3 clarinetti (3 anche clarinetto basso), clarinetto basso, 4 fagotti (4 anche controfagotto), controfagotto, 8 corni (7 e 8 anche tube tenore), tromba piccola, 4 trombe (4 anche tromba bassa), 3 tromboni, 2 bassi tuba, timpani, grancassa, tam-tam piatti, triangolo, tamburello, guiro, crotali, archi
Composizione: Ustilug, 1911 - Clarens, 8 marzo 1913
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre des Champs Élisées, 29 maggio 1913
Edizione: Édition Russe de Musique, Parigi, 1921
Dedica: Nikolaj Roerich

Esiste anche una riduzione per pianoforte a quattro mani fatta da Stravinskij nel 1912
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Pensare che la storia della cultura proceda lungo un binario può essere utile in sede didattica ma può portare a una semplificazione che impedisce di comprendere le sfumature di un'opera d'arte. I processi culturali sono invece simili a cerchi concentrici nei quali è frequente trovare tentativi espressivi variegati. La dimensione di ogni presente è sempre eterogenea e la novità di un'opera rispetto a quelle della sua epoca si trova nell'aver rappresentato meglio di altre le tensioni della società in cui nacque. Deriva da qui il valore "profetico" di un'opera, quel saper cogliere come in una premonizione l'essenza del futuro. Inserire la Sagra delia primavera in un percorso storico lineare non permette di coglierne a pieno l'effetto dirompente: al di là della sua novità formale, l'opera rompe con la convenzione in primo luogo perché riesce a gettare una luce disincantata sulla sua epoca e ne coglie le tensioni sottocutanee.

L'idea dell'opera venne a Stravinskij nel 1910, mentre lavorava all'Uccello dì Fuoco per la compagnia dei Balletti russi diretta da Sergej Diaghilev, nel modo che il compositore stesso ci descrive nelle Chroniques (una delle sue biografie): «Un giorno, in modo assolutamente inatteso giacché la mia mente era occupata da cose affatto diverse, intravidi nell'immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, osservano la danza di morte di una vergine che essi stanno sacrificando per propiziarsi il Dio della primavera». Dalle profondità dell'inconscio giunge a Stravinskij, in modo inaspettato e prepotente, l'immagine di un rito in cui si propizia la divinità col sacrificio umano sperando che ella permetta il ritorno della primavera. In fondo, a pensarci bene, è una visione al contempo trasgressiva e violenta, non certo consona al distillato universo musicale che l'Ottocento aveva coltivato. Ma c'erano state avvisaglie, in molti ambiti della società e soprattutto in quella francese, del fatto che l'accentuata sublimazione delle emozioni avrebbe potuto aprire di contro la strada a un'energia difficilmente controllabile, più antica e profonda, della quale atteggiamenti "primitivi" e neopagani erano evidenti filiazioni.

A queste tendenze di fine Ottocento si sposarono le influenze culturali del processo industriale, l'immagine e il ritmo delle sue grandi macchine, l'energia cieca che esse sviluppavano (si pensi al Futurismo), energia facilmente apparentabile a quella dirompente e incontrollabile dell'inconscio e delle sue sfumature distruttive, materia che la psicoanalisi andava approfondendo in quegli anni. La Sagra della primavera è il punto di incontro di queste tendenze, nelle quali l'istintuale, il "motoristico", gli aspetti del fauvisme che rifiutavano la cultura tradizionale europea, si manifestavano tutti come bisogni espressivi dell'artista "attuale".

Come è noto, il 29 maggio 1913 si scatenò un putiferio passato alla storia per la memorabile insurrezione degli spettatori. Ci fu sicuramente un'esagerazione mondana e aneddotica nella descrizione dell'avvenimento, ma è innegabile che la musica di Stravinskij abbia toccato i nervi scoperti di un uditorio sensibile.

L'Adorazione della terra e il Sacrifìcio

Il compositore pensò di proporre il tema della Sagra della primavera a Diaghilev che ne fu subito entusiasta. Stravinskij cominciò così a lavorare con Nikolas Roerich, pittore e scenografo specializzato nell'evocazione del paganesimo, nonché con Diaghilev stesso, per definire la forma dell'opera. La composizione procedette spedita e all'inizio della primavera del 1912, Stravinskij terminò la partitura, il cui copione ci è giunto in tre differenti versioni. L'ultimo e definitivo divide la Sagra in due grandi quadri: l'Adorazione della terra e il Sacrificio. Questa la traccia di cui disposero gli spettatori del maggio 1913:

Primo quadro: «Primavera. La terra è ricoperta di fiori. La terra è ricoperta di erba. Una grande gioia regna sulla terra. Gli uomini si abbandonano alla danza e, secondo il rituale, interrogano l'avvenire. L'avo di tutti i saggi prende personalmente parte alla glorificazione della Primavera. Viene guidato a unirsi alla terra rigogliosa e orgogliosa. Tutti danzano come in estasi».
Quadro secondo: «Trascorso è il giorno, trascorsa la mezzanotte. Sulle colline stanno le pietre consacrate. Gli adolescenti compiono i loro mitici giochi e cercano la grande via. Si rende gloria e si acclama Colei che fu designata per essere accompagnata agli Dei. Si chiamano gli avi venerabili a testimoni. E i saggi antenati degli uomini completano il sacrificio. Così si sacrifica a larilo, il magnifico, il fiammeggiante».

La generica trama non scende nei particolari dell'opera, in realtà divisa in varie sezioni, ma ne dichiara l'elemento simbolista, presente almeno nelle intenzioni del copione, nel quale colpisce la dimensione antisoggettiva in cui vengono inquadrati i protagonisti. Anche la ragazza destinata al sacrificio («Colei che fu designata per essere accompagnata agli Dei») è parte di una collettività indistinta che si identifica con la natura. Nella Sagra il soggetto è dunque un intero gruppo sociale, fattore che la distanzia quanto mai dal teatro musicale, fondato quasi tutto sulla singolarità dei suoi eroi, nonché dalla gran parte dei balletti precedenti. Ne deriva la mancanza quasi assoluta di un intreccio, sostituito da una serie di cerimonie «mutuate», a dire di Stravinskij, «dalla Russia pagana e unificate da una sola idea fondamentale: il mistero dell'improvviso sorgere del potere creatore della primavera». Altra conseguenza è la rinuncia al vocabolario espressivo di emozioni come l'amore, l'amicizia, il dolore, la nostalgia o simili. L'Introduzione, con la nota frase melodica al fagotto, potrebbe trarre in inganno; in realtà la melodia mantiene una neutralità sua propria e ha la pura finalità di un "richiamo".

Il mondo delle emozioni romantiche non trova accoglienza nella Sagra, e le soluzioni armoniche che l'avevano descritto si condensano in blocchi sonori la cui unica funzione è quella fenomenologica, ovvero quella di apparire come entità sonore complesse che non sono momenti di un percorso ad ampio raggio. Ne deriva una musica il cui tempo drammatico è sospeso, proprio come in un rito che col ripetere i suoi codici solleva l'attimo al di sopra del tempo.

Il principio dinamico fondamentale diventa così il ritmo, di sicuro l'aspetto più innovatore, spettacolare e sconcertante dell'opera, poiché è per le scelte ritmiche che la Sagra appare in tutto il suo splendore come un fenomeno totalmente isolato. Lo si avverte subito dopo l'Introduzione. La sezione intitolata Presagì primaverili gioca su un accordo dalla pulsazione isocrona e dall'accentazione irregolare: il tradimento dell'attesa, la difficoltà a individuare la sequenza, generano un notevole senso di straniamento. Compare qui il primo andamento "motoristico" dell'opera: l'orchestra si muove come un sussultante pistone. Tuttavia, quando il tessuto sonoro rischia di farsi ripetitivo, il compositore interrompe la sequenza con un canto tradizionale russo, un chorovod, che dona solennità e spazialità religiosa alla scena. Stravinskij gestisce il materiale combinandolo e alternandolo per creare un puro gioco di forme che aumenta o diminuisce la tensione sorprendendo l'ascoltatore. Nel brano successivo (Gioco del rapimento) il compositore introduce altre novità: fa combaciare una struttura ritmica semplice e una struttura metrica irregolare col fine di descrivere l'antagonismo degli elementi in scena (inseguimento dei rapitori e fuga della vittima). Tale fattore ritmico caratterizza anche la sezione intitolata Ronde primaverili, dove, a piena orchestra, ricompare anche il solenne chorovod. Il passaggio di strutture ritmiche e di cenni tematici da un brano all'altro assicura all'opera una certa unità.

I Giochi delle città rivali e il Corteo del Saggio presentano ancora nuovi aspetti della ritmica stravinskiana. Il primo ha una sola unità ritmica, la croma, che gioca su una dialettica tra accento stabilito e tempo forte variabile, mentre il Corteo del Saggio, pur avendo una metrica invariabile, apre il campo a una poliritmia favolosa dove ogni strumento procede secondo propri ritmi. L'intenzione di Stravinskij nella Sagra è quella di rendere dialettico, in generale, il rapporto fra ciò che nella musica è costituito a priori (per esempio, le battute con i tempi forti e deboli) e ciò che invece è mobile, un'intenzione che anima tutta la partitura e dalla quale proviene il suo fascino straniante. Il senso dell'antico e del primitivo è raggiunto anche con l'uso di melodie popolari russe: si è fatto cenno al chorovod che compare nei Presagi primaverili e nel Gioco del rapimento, ma anche quello presente in Cerchi ha un suo ruolo simile, più tendente però alla poeticità che alla solennità. Il brano seguente, la Glorificazione dell'Eletta chiamata negli abbozzi di Stravinskij "Danza selvaggia", è per potenza e originalità uno dei culmini dell'opera. L'assenza dei bassi, gli slanci verso il sovracuto, le proiezioni sonore discontinue, sembrano sfidare la legge di gravita e porsi in contrapposizione con i brani successivi, intitolati l'Evocazione degli antenati e l'Azione rituale degli antenati dotati entrambi di un andamento più processionale, quasi fossero tappe di relativa stabilità tra la Glorificazione e la Danza sacrale che segue.

In questo ultimo brano l'autore si pone un'altra difficile sfida: l'intensità si contrappone alle masse (egli richiede infatti a pochi strumenti intensità oltre il fortissimo: sarebbe stato più facile ottenere effetti di grandiosità con tutta la massa orchestrale), mentre i registri degli strumenti mirano a realizzare contrasti timbrici paradossali. L'effetto ottenuto e la difficoltà nel raggiungerlo vengono dunque percepiti insieme, dando luogo ad un esito semantico unico per l'epoca.

Nel finale la Sagra presenta una voluta ambiguità tecnica, ricercata non solo per la novità del suo risultato uditivo. Al di là di tutto il suo scoppiettante formalismo, l'opera denuncia (forse è questo che gli spettatori dell'epoca ebbero difficoltà a tollerare) una dialettica sempre più difficile tra singolo e società, difficoltà profetica alla luce di quello che sarebbe di lì a poco accaduto in Europa.

I cent'anni della Sagra

Cosa può scandalizzarci oggi nell'ambito dell'arte? La domanda è lecita, soprattutto nel centenario della Sagra della primavera. Lo scandalo presuppone certi valori, magari proclamati e poco praticati, ma li presuppone. I valori presumono una società compatta che condivide alcune idee, situazione poco riscontrabile nella frammentazione di oggi. Pensiamo spesso da singoli e, soprattutto nelle cose artistiche, dubitiamo tra noi della qualità di un'opera ma non ne facciamo un problema di scandalo. Se la Sagra abbia (inconsciamente) denunciato davvero il pericolo di una regressione sociale alla barbarie (come poi accadde) o cavalcasse ad agio dell'autore certe tensioni senza reale volontà di denuncia, è questione inestricabile. Sono passati cento anni ed è certa una cosa: la Sagra della primavera, oggi, ha una funzione diversa da quella che aveva quando apparve: forse potrebbe insegnarci cosa è lo scandalo...

In occasione del centenario le riflessioni in proposito si sono moltiplicate: critici, musicologi - citiamo ad esempio il bell'articolo pubblicato il 18 settembre 2012 sul "New York Times" a firma di Anthony Tommasini: Shocking or Subtle, Still Radical - e istituzioni concertistiche, celebrando questo anniversario, si pongono interrogativi sulla reale funzione dell'arte, sul suo ruolo nella società contemporanea, sulla capacità di un'opera d'arte di essere trasgressiva e provocatoria, e se è o no lecito esserlo con il solo obiettivo di far parlare di sé, dando vita ad una palese iniziativa pubblicitaria.

Stravinskij e Diaghilev, artisti geniali e impresari di rara scaltrezza, avevano voluto lo scandalo e ne erano soddisfatti ("era esattamente ciò che volevo" esclamò Diaghilev alla fine della serata); sapevano che questo avrebbe assicurato loro il successo. Quanto genio, però, nello strapotere ritmico di questa partitura. I valori del movimento e del corpo sono esaltati da una musica dalla fisicità travolgente. Altri importanti compositori di quel periodo hanno scritto cose più radicali ma difficilmente così scioccanti; ad essere scioccante era anche la tematica, che importava un rito primitivo nella raffinata società parigina (che comunque è stata la culla del modernismo novecentesco). Cosa leggevano i parigini in questa vicenda, alla luce del Romanticismo che avevano vissuto e prima delle guerre mondiali? Forse avevano individuato una minaccia latente, o magari l'avevano presa come un'accusa.

La partitura della Sagra della primavera è lunga e complessa ma possiede una comunicativa immediata. Un altro aspetto per cui ci può essere utile è la sua capacità di passare all'ascoltatore trame complesse in modo diretto e spontaneo. L'augurio di questo centenario è dunque che la Sagra ci instradi, con la lungimiranza del suo ingegno e con il ragguaglio minaccioso della sua trama, verso un miglioramento sociale che passa inevitabilmente per lo scandalo.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Durante la primavera del 1910, mentre a Pietroburgo stava terminando le ultime pagine della partitura dell'Uccello di fuoco, Stravinskij ebbe come una visione. Racconta egli stesso nelle Cronache della mia vita: "un giorno - in modo assolutamente inatteso, perché il mio spirito era occupato allora in cose del tutto differenti - intravidi nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera. Fu il tema del Sacre du printemps. Confesso che questa visione m'impressionò fortemente; tanto che ne parlai subito all'amico pittore Nikolaj Roerich, specialista nell'evocazione del paganesimo. Egli accolse l'idea con entusiasmo e divenne mio collaboratore in quest'opera. A Parigi ne parlai pure a Djagilev, che si entusiasmò subito di tale progetto".

Nonostante la folgorazione e l'entusiasmo di Djagilev, che immediatamente ne vide le potenzialità per un nuovo balletto, la realizzazione non seguì immediatamente. Stravinskij fu occupato dalla composizione di Petruska che lo impegnò dalla metà del 1910 alla metà del 1911: solo dopo la sua rappresentazione, avvenuta nel giugno del 1911, poté pensare alla stesura della Sagra e alla sua concretizzazione scenica, in collaborazione con Roerich. Il balletto, con il sottotitolo di "Quadri della Russia pagana", si suddivide in due parti: "L'adorazione della terra" e "Il sacrificio". In una lettera a Djagilev, Roerich così descriveva l'azione: "Nel balletto Le sacre du Printemps, così come lo abbiamo concepito io e Stravinskij, il mio scopo è presentare un certo numero di scene che manifestano la gioia terrena e il trionfo celestiale secondo la sensibilità degli slavi. La prima scena deve trasportarci ai piedi di una collina sacra, in una pianura rigogliosa, dove le tribù slave sono riunite per celebrare i riti della primavera. In questa scena c'è una vecchia strega che predice il futuro, un matrimonio dopo un rapimento, danze in tondo. Poi viene il momento più solenne. Il vecchio saggio è condotto dal villaggio per imprimere il suo sacro bacio sulla terra che ricomincia a fiorire. Durante questo rito la folla è in preda a un terrore mistico. Dopo questo sfogo di gioia terrestre la seconda scena suscita intorno a noi un mistero celestiale. Giovani vergini danzano in circolo sulla collina sacra, fra rocce incantate: poi scelgono la vittima che vogliono onorare. Immediatamente ella danzerà davanti ai vecchi vestiti di pelli d'orso per mostrare che l'orso era l'antenato dell'uomo. Poi i vecchioni dedicano la vittima al dio Jarilo".

La prima rappresentazione del balletto ebbe luogo a Parigi al Théâtre des Champs-Elysées per la stagione dei Rallets Russes il 29 maggio 1913 (coreografo Vaslav Nijinskij, direttore Pierre Monteux) e suscitò uno scandalo rimasto memorabile. Stravinskij abbandonò la sala dopo le prime battute del preludio, che sollevarono immediatamente risa e canzonature. "Queste manifestazioni", ricorda il compositore nelle Cronache della mia vita, "dapprima isolate, divennero presto generali e, suscitando d'altra parte delle opposte manifestazioni, produssero in breve un chiasso infernale. Durante tutta la rappresentazione rimasi tra le quinte, a fianco di Nijinskij. Questi stava in piedi su una sedia e gridava a squarciagola ai ballerini: "Sedici, diciassette, diciotto..." (si servivano di un conteggio convenzionale per segnare le battute). Naturalmente i poveri ballerini non sentivano niente a causa del tumulto della sala e del loro calpestio. Io ero costretto a tenere per il vestito Nijinskij, fuori di sé dalla rabbia e in procinto di balzare in scena, da un momento all'altro, per fare uno scandalo. Djagilev, per far cessare il fracasso, dava ordini agli elettricisti, ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala. È tutto ciò che ricordo di quella 'prima'. Fatto strano, alla prova generale a cui assistevano, come sempre, numerosi artisti, pittori, musicisti, letterati e i rappresentanti più colti della società, tutto si era svolto in modo calmo e io ero lontano mille miglia dal prevedere che lo spettacolo avrebbe provocato quella gazzarra".

Anche in seguito a quella storica serata, la partitura del Sacre rimase a lungo il simbolo della musica moderna, in ogni senso: se da un lato la sua apparizione parve sconvolgere tutti i canoni della bellezza e del gusto per l'inaudita violenza con cui si evocava l'irruzione di forze selvaggie e primordiali, d'altro canto l'originalità della sua lingua barbarica e "primitiva" esercitò un influsso notevole, e non solo tra le avanguardie musicali del tempo. La radicale novità della partitura, percepibile soprattutto nell'invenzione ritmica, di una ricchezza e complessità senza precedenti, ma estendibile anche ai parametri armonici e melodici, si basava su una visione formale profondamente emotiva, ma improntata anche a una evidenza insieme classica e popolare. Non a caso Jean Cocteau definì il Sacre "le georgiche della preistoria", ponendo l'accento su una rappresentazione delle forze della natura che per quanto rovesciata in confronto alle visioni idilliche della primavera ne serbava il carattere mitico e l'aura sacrale; mentre Stravinskij stesso, ancora anni dopo la composizione, ribadì che a influenzarlo era stata l'esperienza della "violenta primavera russa, che sembra iniziare in un'ora ed è come se la terra intera si spezzasse": un'esperienza che risaliva alla sua infanzia e che si intrecciava con il ricordo dei riti propiziatori della tradizione popolare. Gran parte del fascino incomparabile della partitura sta proprio in questa strettissima commistione di artificio e natura, mitologia e folklore, simmetria e asimmetria. pulsione vitale e istinto di morte, dinamicità e staticità.

L'Adorazione della terra si apre con il celeberrimo assolo del fagotto iinpiegato in una tessitura acuta, su una melodia popolare lituana. Fin dall'inizio si stabilisce un clima di arcaica staticità, cui ben si attaglia il titolo di "Notte pagana" suggerito dal compositore per il grande sacrificio: qui è come se la musica volesse rappresentare il timore suscitato dalle grandi forze cosmiche della creazione, "il risveglio della natura, lo stridio, il rodio, i movimenti di uccelli e bestie", secondo un'indicazione del compositore stesso. Alcuni caratteri fondamentali si delineano già in questa introduzione: i motivi si riducono per lo più a frasi brevi e incisive, quasi formule elementari, che hanno però già in sé le forze della propria trasformazione; il ritmo, anche attraverso l'uso frequente dell'ostinato, provoca l'impressione di un impulso inarrestabile, che non è solo quello realistico della danza, ma assurge anche a valore simbolico di esasperazione del movimento; le sovrapposizioni politonali, congiunte da un lato con procedimenti modali e dall'altro con il libero trattamento delle dissonanze che non eliminano l'esistenza di centri tonali, creano un antagonismo che acquista via via un sempre più marcato senso drammatico (massimamente nel Gioco del rapimento, culmine anche di un crescendo dinamico di forza esplosiva). Ad episodi di crescente tensione fanno seguito zone di quiete e di rarefazione: così le Ronde primaverili vengono introdotte da un lungo trillo dei flauti che preludono a un movimento "sostenuto e pesante", dove i clarinetti danno voce a una melodia di sapore popolare che ricorda il Chorovod, la danza circolare in onore della primavera. I trilli dei flauti fanno nuovamente da preludio al Gioco dalle città rivali, in cui entrano con prepotenza le percussioni, che assumono l'importanza quasi di una sezione orchestrale a sé stante. La tremenda tensione interna tra la semplicità del materiale tematico e la discordante complessità della tessitura ritmica e armonica è acuita dalla strumentazione, che utilizza mezzi estremamente sofisticati per ottenere un effetto volutamente elementare, primitivo. Episodi di opposta spettacolarità sono il Corteo del saggio, che culmina nella straordinaria magia evocativa del "bacio della terra", e la vorticosa Danza della terra, momento di estrema forza centrifuga che chiude la prima parte con l'esplosione di un caos primordiale. La seconda parte si apre con una nuova Introduzione, di segno diverso: sono, secondo Roman Vlad, "sonorità glaciali, da notte polare", che creano il clima di attesa sacrificale. Nei freddi armonici degli archi e negli echi dei corni si fa luce un tema d'un singolare, astrale lirismo.

Nei Cerchi misteriosi degli adolescenti, intrisi ancora della medesima atmosfera velata, questo tema si dispiega in un incedere quasi ipnotico, trepido e struggente. A questo momento di ripiegamento lirico, segue, avviata dal tamburo, in un brusco accelerando, la Glorificazione dell'eletta, originariamente pensata come una selvaggia cavalcata delle amazzoni; la solenne Evocazione degli antenati ristabilisce il carattere religioso del sacrificio, a cui l'episodio successivo, Azione rituale degli antenati, conferisce sussulti e spasimi di sinistra irrevocabilità. Si avvicina così l'epilogo, la danza sacrale della vittima designata a morire per propiziare il rinnovarsi della primavera. Nella Danza dell'eletta, il furore ritmico raggiunge l'apice del più orgiastico parossismo, rimettendo in gioco tutte le possibilità strutturali sperimentate nell'opera e non lasciando più dubbi sul carattere barbarico del sacrificio. Eppure, proprio da questa identificazione con le crudeltà del rito che si è appena compiuto, si rigenera una sorta di euforia vitale, di panica rivelazione del mistero della rinascita, di tragica consapevolezza del ciclo eterno degli inizi e delle fini scandito dalle leggi immodifìcabili della natura.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

«Terminando a Pietroburgo le ultime battute dell'«Uccello di fuoco» — racconta Stravinsky nelle sue «Cronache» — un giorno intravidi nella mia immaginazione, in modo del tutto inaspettato, poiché il mio animo era allora occupato a cose del tutto differenti, lo spettacolo di un grande rito sacrale pagano: vecchi saggi erano seduti in cerchio a osservare la danza della morte di una fanciulla che essi sacrificano per rendere loro propizio il dio della primavera. Fu il soggetto della «Sagra della primavera». Devo dire che questa visione mi aveva molto impressionato e ne parlai subito all'amico pittore Nicholas Roerich, specialista nello studio del paganesimo. Egli accolse l'idea con ardore e divenne mio collaboratore. A Parigi ne parlai anche a Diaghilev, che subito si entusiasmò per il progetto ».

In realtà la realizzazione del lavoro non fu altrettanto subitanea come la traccia immaginativa: un anno (fra il 1910 e il 1911) fu completamente assorbito dalla stesura di «Petruska» e successivamente, di ritorno da Parigi, Stravinsky compose due «Melodie» per voce e pianoforte e la cantata «Zvesdoliki» («Il Re delle Stelle»), tutte su testo del simbolista russo Constante Belmont.

«La Sagra» era infine terminata il 17 novembre 1912 e inaugurava la stagione dei Ballets russes al Théatre des Champs Elisées a Parigi il 28 maggio 1913, sotto la direzione di Pierre Monteux e con la coreografia di Nijnsky.

Il balletto fu un insuccesso dei più clamorosi; vani gli sforzi di quelle «cinquanta persone» presenti in sala che — come racconta Casella — cercavano di tenere a freno la «feroce bestialità» scatenatasi fra il pubblico. «A metà del preludio, scoppiò la tempesta, sotto forma di urli, fischi e schiamazzi di ogni genere. Quando si aperse, la scena, la coreografia di Nijinski, anziché attenuare la bufera, la aggravò ancora. Si vedevano infatti sulla scena strani gruppi di uomini e di donne che parevano esquimesi raggruppati insieme in pose dolorosamente e goffamente contorte, probabilmente tolte da qualche ceramica popolare russa... Per tutta la mezz'ora che dura il lavoro, fu impossibile udire qualcosa».

Del resto se lo stesso autore dissente fortemente dalla «incoscience» della coreografia di Nijinsky che avrebbe completamente travisato lo spirito dell'opera, gli sembra altrettanto inconcepibile che del «Sacre» si sia potuto fare una specie di vessillo rivoluzionario, come Stravinsky chiaramente esprime nella sua «Poetica». Questo è un fatto, molto significativo della posizione estetica tenuta dal musicista nei confronti dei suoi prodotti, che considera assolutamente 'naturali', perché elaborati senza selezioni qualitative o scarti prioritari. Partendo cioè da premesse di ordine estetico, escludenti interferenze etiche, egli si comporta come un bravo 'artigiano' — appellativo di cui ama spesso fregiarsi — che di continuo si rinnova seguendo l'istanza dei suoi «appetiti» e, nuovo Don Giovanni, rincorrendo prede sempre diverse (E. Ansermet).

Le quali, nella fattispecie del «Sacre» sono semplici e pertanto 'impersonali' mezzi musicali; inseguiti e costruiti quasi mentalmente: il ritmo, di continuo modificato in un'incessante asimmetria al limite del parossismo, la tonalità, che si esplica in potenti fasce politonali, gli strumenti, soprattutto quelli percussivi, usati come ai fini di una potente deflagrazione («Danza della terra»).

La partitura comprende un'orchestra di dimensioni enormi: 2 ottavini, 3 flauti, 1 flauto in sol, 4 oboi, 2 corni inglesi, 3 clarinetti, 1 clarinetto piccolo, 1 clarinetto basso, 4 fagotti, 2 controfagotti, 8 corni, 4 trombe, 1 tromba piccola, 1 tromba bassa, 3 tromboni, 2 tube, 2 tube tenori, 5 timpani, Grancassa, Tam-tam, triangolo, tamburo basco, guiro, crotali, quintetto d'archi.

Il sottotitolo del balletto è "Quadri della Russia pagana in due parti", («Adorazione della Terra», «Il Sacrificio») che dovevano nelle intenzioni di Stravinsky e Roerich ricreare la cerimonia delle tribù slave fedeli al dio Yarilo le quali, all'inizio della primavera, offrono in sacrificio una fanciulla, simbolo di fertilità e di nuova linfa vitale.

«Componendo la "Sagra" — scrive il compositore — mi immaginavo l'aspetto scenografico del lavoro come un seguito di movimenti ritmici di una estrema semplicità eseguiti da dei grandi blocchi umani, di effetto immediato sullo spettatore, senza minuzie superflue né complicazioni forzate ad una sola danzatrice. La musica di questo passo, netta e precisa, esigeva ugualmente una coreografia corrispondente semplice e facile da cogliere». Anche lì dove le intenzioni del musicista sottendono un programma, tutto si risolve con un taglio decisamente astratto, in cui le componenti cubiste e del fauvismo offrono un felice supporto.

L'«Introduzione» affida una melodia lituana (R. Vlad) al fagotto solo impiegato in registro acuto, mentre dopo poco il corno inglese, l'oboe, la tromba piccola svolgono dei «temi-richiamo» di incredibile efficacia, quasi «segnali che affiorano da un mondo primitivo» (G. Pestelli). La sezione successiva prevede l'arrivo dei sacerdoti e degli indovini (àuguri primaverili) in un clima di opprimente angoscia: gli accenti si inseriscono nella simmetria delle battute, poi ripresi dagli archi in contrattempo, con l'intervento dei corni sui tempi deboli. Qui il ritmo si afferma con la prerogativa stessa del tempo puro che si costruisce da solo la forma musicale (G. Brelet) e ciò è anche maggiormente rilevabile nel successivo «Gioco del ratto» che si configura come una lotta fra le battute introdottte in 9/8, quelle in 2/8, 3/8, 4/8, 5/8, 6/8, e in 12/ 8, a velocità forsennata, la pulsazione sembra rallentarsi nelle «Ronde primaverili», mentre il «Gioco delle città rivali» (Molto allegro) riprende il ritmo concitato, con un motivo già esposto nel «Gioco del ratto», ripreso dai corni. Da tenere presente che tale procedimento è piuttosto raro; per lo più il tema nasce, si evolve, si ripete e sparisce, gode cioè di una sua palese autosufficienza. I venti temi su cui, all'incirca, si fonda la partitura sono legati fra di loro (con un'arte che sta fra il magico e lo stregonesco potere di Stravinsky), per via di vaghe e sottili assonanze create dall'intervallo di quarta e la loro semplice articolazione fa pensare a influenze del folclore russo (anche se non testuali). «L'opera procede interamente per schemi aggiuntivi esterni, con un rinnovamento continuo e totale» (A. Schaffner).

Nel «Corteo del saggio» l'organico orchestrale si amplia di tamtam e grancassa finché a un certo punto tutto si placa su un accordo dei fagotti, timpano e controfagotto che «pulsano la nota 'fa' quasi battendo alle porte di un oracolo o quasi il Saggio chinasse il suo orecchio come un taumaturgo alla crosta terrestre per indagare i battiti sotterranei» (G. Pestelli). La prima parte si chiude con la «Danza della terra» in cui si sprigionano tutte le forze, con un senso quasi 'panico' della natura. La seconda sezione si apre con suggestioni timbriche che contrastano i violenti 'coups de marteau' con cui terminava la parte precedente: flauti, oboi, corni (su un accordo di re minore) e archi con accordi armonici acuti che fanno affiorare «sonorità glaciali, da notte polare» (Vlad). L'intreccio bitematico che appare in questa «Introduzione», si presenta separato dapprima nei «Cerchi misteriosi degli adolescenti» e poi nell'«Azione rituale degli antenati» (A, Schaeffner). L'episodio della «Glorificazione dell'Eletta» era stato concepito come una cavalcata selvaggia delle amazzoni; la fanciulla che sta per essere sacrificata appare in una iuce di bagliori primordiali, vitalisticamente esaltati (potenti colpi di percussione alternati a violenti accordi dissonanti). L'elemento collettivo che permane nell'«Evocazione degli antenati» e nell'«Azione rituale degli antenati» sparisce con la «Danza Sacrale dell'eletta»: qui la vittima è sola di fronte alle forze della natura che deve cercare di propiziarsi. Dalle figure aggettanti dei pannelli del bassorilievo prende corpo in un 'a tutto tondo' l'«eletta» che, dolorosamente partecipe dei destini dell'umanità, si assoggetta all'imperioso richiamo di un ritmo 'disumano', di una strumentazione ossessiva e orgiastica.

Fiamma Nicolodi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 5 gennaio 2013
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Ravenna Festival,
Ravenna, 15 giugno 1998
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale 14 febbraio 1974


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Ultimo aggiornamento 6 febbraio 2020