Sinfonia n. 4 in do minore, D. 417 "Die Tragische"


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Adagio molto (do minore). Allegro vivace (do minore)
  2. Andante (la bemolle maggiore)
  3. Menuetto: Allegro vivace (mi bemolle maggiore). Trio (mi bemolle maggiore)
  4. Allegro (do minore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: terminata il 27 Aprile 1816
Prima esecuzione: 19 Novembre 1849
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1884
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Delle otto Sinfonie di Franz Schubert che sono giunte ai posteri in forma completa - laddove il concetto di "completezza" si riferisce non al numero dei movimenti compiuti ma all'integrità e all'eseguibilità della loro stesura; dunque fra le complete ha posto anche la celebre "Incompiuta" - solamente le ultime due (appunto l'"Incompiuta" e la "Grande") sono opere dell'autore maturo, giunto al pieno possesso dei propri mezzi espressivi. Le prime sei Sinfonie, scritte fra il 1813 e il 1818 (fra i sedici e i ventun anni) sono da considerarsi piuttosto alla stregua di esperienze formative, lavori di fattura anche pregevolissima e di interesse sommo, ma esercitazioni nella difficile tecnica di scrittura orchestrale più che libere manifestazioni della creatività del musicista - creatività che aveva invece già trovato una personalissima definizione nell'ambito della produzione cameristica e liederistica.

Non a caso le Sinfonie giovanili non furono destinate dall'autore alla esecuzione pubblica, ma furono concepite come saggi scolastici, o come materiale per un'orchestra di dilettanti, in una dimensione di musica "domestica" che sembra incompatibile con una grande ambizione "sinfonica". Lo stesso Schubert, in una lettera del 1823, mostrava di essere cosciente di non aver ancora raggiunto dei risultati pienamente originali in campo sinfonico, allorché scriveva: «Veramente non ho nulla per grande orchestra che potrei presentare al mondo con la coscienza tranquilla... Devo pregarti di perdonare la mia incapacità di soddisfare la tua richiesta, ma sarebbe dannoso per me presentarmi con qualcosa di mediocre».

Mediocri certamente non sono le prime Sinfonie, anzi; nella loro ricerca di un linguaggio autonomo, di un personale approccio alla forma sinfonica, esse sono senz'altro gli unici lavori del loro tempo che possano essere considerati degni di un qualche rilievo se accostati con i capolavori beethoveniani. Nel cammino del compositore verso una propria consapevolezza stilistica, la Quarta Sinfonia, terminata il 27 aprile del 1816 ma eseguita probabilmente solo dopo la morte dell'autore, è quella che più di ogni altra sente l'influenza, non sempre positiva, del modello beethoveniano, manifestando una tensione verso esiti drammatici che differenzia quest'opera dai risultati, ancora haydnianamente olimpici, delle opere precedenti (non a caso è l'unica delle prime sinfonie ad essere stata scritta nel modo minore). Lo stesso nomignolo di "Tragica", apposto dall'autore medesimo sul frontespizio della partitura, anche se in un secondo tempo rispetto al momento della creazione dell'opera, vuole certo riallacciarsi alle tenebrose atmosfere dell'ouverture "Coriolano" e della Quinta Sinfonia di Beethoven, che aveva visto la luce nel 1808 e costituiva un inarrivato modello per ogni contemporaneo.

Alla "Quinta" beethoveniana rimanda già la tonalità di do minore, mentre la presenza di quattro corni piega verso una maggiore corposità il consueto organico orchestrale (archi e coppie di flauti, oboi, clarinetti, fagotti, trombe e timpani). Ma la tecnica di scrittura di Schubert si mostra non tanto inadeguata quanto sostanzialmente estranea ai contrasti di contenuto propri de¬l'illustre modello, come emerge prepotentemente già dal primo movimento. Dopo la suggestiva introduzione (Molto adagio), ampia e meditativa, l'Allegro vivace si apre con un tema che ricalca quello del Quartetto op. 18 n. 4 di Beethoven, ma ha implicita nella sua tornitura l'inadattabilità alla tecnica di sviluppo. Delle elaborazioni tematiche, dei complessi sviluppi del sinfonismo di Beethoven, Schubert non trattiene se non una pallida eco, preferendo stemperare tali contrapposizioni nella languida iterazione delle liriche idee melodiche, iterazione che trova un riscontro nella grande libertà dell'impianto tonale (ad esempio la ripresa avviene in una tonalità diversa da quella iniziale).

Ad un intenso lirismo è improntato anche l'Andante (in cui tacciono significativamente trombe, timpani e due dei quattro corni), con la sua sovrabbondanza di materiale tematico e un affettuoso sentimentalismo che guardano ancora verso Mozart (in particolare verso l'analogo movimento della Sinfonia K. 543). Energico e vitale, il Minuetto si basa sul preannunciato impulso ritmico delle sincopi, e trova i suoi momenti più spontanei nella sezione del Trio.

Ma l'intera Sinfonia converge verso il Finale, dove vorrebbe essere più marcata l'influenza beethoveniana; l'idea basilare del movimento consiste infatti nel far seguire alla drammatica concitazione iniziale (un esordio che sembra ancora segnato dalla poetica dello "Sturm und Drang") una progressiva apertura verso il modo maggiore, apertura tramite la quale dovrebbe esprimersi una "catarsi tragica" (secondo la definizione di Alfred Einstein) similare a quella della Quinta di Beethoven. Anche qui, tuttavia, il talento lirico dell'autore ha il predominio, e i giochi di "domanda e risposta" del secondo tema e la lieta fanfara che conclude la composizione ci rimandano a contenuti meno ambiziosi e più cordiali; circostanza questa che in realtà rende più interessante questo discusso movimento. Proprio nel non attingere la dimensione "tragica" cui ambiva fin dal titolo, Schubert ritrova la sua vena più autentica - quella intimistica ed elegiaca - e con essa schiude nuove prospettive alla propria consapevolezza di compositore sinfonico.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto n. 2 (nota 2)

Anche nel 1816 (anno non meno eccezionalmente fecondo del precedente) Schubert compose due sinfonie, la Quarta e la Quinta, dai caratteri molto diversi. La Quarta fu ultimata il 27 aprile 1816. Il soprannome di "Tragica" fu attribuito, a posteriori, dallo stesso Schubert. Questa è la sua unica sinfonia giovanile in tonalità minore, dove la scelta stessa del do minore fa pensare alla volontà di confrontarsi con tensioni beethoveniane. L'esito di questo approfondito impegno espressivo conferma peraltro l'autonomia di Schubert, sia pure con alcuni squilibri. L'introduzione lenta è la migliore composta da lui fino a questa; l'Allegro vivace (il cui primo tema richiama il Coriolano e il Quartetto op. 18 n. 4 di Beethoven) è improntato a un'inquieta, incalzante tensione. Ma la gemma della sinfonia è l'Andante dall'intenso respiro lirico; la prima idea preannuncia l'Improptu op. 142 n. 2 e si alterna con un episodio più oscuro e teso (secondo lo schema A-B-A'-B'-A"). Caratteri oscuri presenta il Minuetto nel cromatismo e nell'inquietudine armonica (in contrasto col Trio). Il finale ha ambizioni sinfoniche simili a quelle del primo tempo e dimensioni più ampie: anche nel suo procedere incalzante appaiono evidenti richiami a Beethoven. Questa fu la seconda sinfonia di Schubert eseguita in un concerto pubblico (Lipsia, 19 novembre 1849).

Guida all'ascolto n. 3 (nota 3)

La Terza Sinfonia di Beethoven è del 1804: Vienna l'ascoltò nella prima esecuzione pubblica, il 7 aprile 1805, al Theater an der Wien. Schubert aveva compiuto da poco otto anni. Con l'Eroica, come tutti sappiamo, il genere sinfonico e il suo stile mutarono indole e intenzioni perché con l'Eroica essi si erano impegnati in ideali e in modi espressivi fino a quel momento inimmaginabili. Fu, dunque, un cambiamento radicale di civiltà e di spiriti musicali, o almeno tale appare a noi posteri che leggiamo, e ascoltiamo, il grande passato del sinfonismo austro-tedesco secondo un "prima" e un "dopo" Beethoven. E certamente vero che la Terza di Beethoven ha segnato un confine, di cui furono consapevoli anche molti dei contemporanei, tuttavia le abitudini, i gusti, le tecniche non si dissolsero lì per lì, dopo il successo di quel 7 aprile 1805. E le scuole, gli istituti musicali, le accademie, le serate dei dilettanti continuarono a prosperare con la musica del Settecento. E così visse Schubert i suoi primi anni di pratica musicale.

Nel 1808, quando aveva undici anni, Schubert aveva già ampiamente dimostrato di possedere superiore genio musicale, al padre, ai fratelli, al suo primo maestro di armonia e contrappunto, l'eccellente organista della parrocchia di Lichtenthal, Michael Holzer (molti sono gli aneddoti relativi alla stupita ammirazione di Holzer per il suo piccolo allievo: «Ha l'armonia nel sangue», pare abbia detto; oppure, in seguito: «Se gli voglio spiegare qualcosa di nuovo, lui la sa già. In verità non gli ho insegnato nulla, mi sono intrattenuto con lui ammirandolo in silenzio»). Nel settembre 1808, dunque, Schubert fu il primo nel concorso per l'ammissione al Convitto dei cantori per la Cappella di Corte. Soggiorno, mantenimento, studi letterari e musicali erano gratuiti. Il padre sperava di farne un maestro di scuola, ma con suo dispetto (che nei primi anni fu vero sdegno) ne uscì un musicista, grande e maturo. Nel Convitto Schubert s'era istruito, o meglio perfezionato, in tutto, ammirando, criticando, assimilando, perché cantava in coro nelle funzioni religiose e nelle cerimonie, copiava le parti e soprattutto era il migliore (come violino o viola) nella minuscola orchestra. Suonavano tutte le sere, Sinfonie e Quartetti di Haydn e di Mozart, Ouvertures, e altro repertorio di moda allora: i Quartetti di Johann Albrechtsberger, le musiche della cosiddetta scuola di Vienna (specialmente dei maggiori, Karl Ditters von Dittersdorf e Georg Wagenseil) e le Sinfonie di Leopold Kozeluch o quelle di Franz Krommer, che Schubert detestava. E di Beethoven? Le prime due Sinfonie e qualcuna delle Ouvertures (per esempio quella del Coriolano), che per una scuola tradizionale segnavano il massimo della modernità.

Schubert e Beethoven - un rapporto artistico profondo e sfuggente, di cui hanno già parlato tutti e di cui non si può evitare di parlare. In quel primo decennio del secolo la perplessità e l'incertezza comuni tra i musicisti di fronte a un'innovazione così radicale del linguaggio e dei fini della musica sorpresero anche Schubert, anzi lui per primo. E per quanto miracolosamente precoce egli fosse, era pur sempre poco più che un bambino. Anche su questo rapporto ci sono arrivati numerosi aneddoti e ricordi, perché i molti amici, fedelissimi, che Schubert si conquistò, dall'infanzia alla morte tragicamente prematura, hanno molto parlato di lui. Per esempio, a Joseph von Spaun che lodava con calore alcuni Lieder, Schubert rispose: «Qualche volta anche io sento dentro di me che potrei concludere qualcosa di buono. Ma chi mai ci riesce dopo Beethoven?».

Dunque, il più giovane artista visse e consolidò le sue energie creative all'ombra dell'artista sommo, lo incontrò più volte in occasioni pubbliche, non lo conobbe mai di persona. "All'ombra": anche questa è l'espressione che sempre ricorre quando si deve riflettere su Schubert e Beethoven. È una parola efficace, forse necessaria (ché un genio della statura di Beethoven ha gettato ombra nonché sulla sua epoca, sull'intero suo secolo), ma può essere anche ingannevole a proposito di Schubert, perché egli era sereno, forte, perfino nelle tristezze e nelle desolazioni, luminoso, immensamente fecondo e originale. Perciò venerò, sì, Beethoven come pochi o nessun altro in quegli anni, ma ciò che di assoluto e grande egli ha creato "all'ombra" di Beethoven non è "beethoveniano". Un po' diverso sarebbe il discorso per le composizioni che Schubert creò dopo la morte di Beethoven, nel prodigioso anno e mezzo che gli rimase da vivere (soprattutto riguardo alla grande Sinfonia in do maggiore, nella quale Schubert attuò in modo originale e perfetto la grande forma sinfonica). Ma qui restiamo all'artista adolescente.

«...Ma chi mai ci riesce dopo Beethoven?». Nella Sinfonia Schubert si cimentò per la prima volta a sedici anni, nel 1813, quando la Settima di Beethoven era compiuta ma non era ancora nota. Del resto, in nessuna delle prime tre Sinfonie del ragazzo (ottobre 1813, marzo 1815, luglio 1815) si riconosce una qualche impronta certa del sinfonismo beethoveniano. Nello stile strumentale Schubert si era formato, come ho già detto, sugli autori, maggiori e minori, del Settecento e le sue prime Sinfonie ne continuano i caratteri o, almeno, appartengono al processo di trasformazione estetica tra il "prima" e il "dopo" Beethoven: e, al massimo, ripercorrono gli elementi di sintesi linguistica e di drammaticità espressiva tipici delle pagine più ardite di Haydn e di Mozart. Di suo Schubert ci mise, e già non è poco, l'irrequietezza armonica e il delicato piacere della divagazione.

Differente è il discorso per la Quarta Sinfonia, compiuta il 27 aprile 1816 (sarà bene ricordare che tra il 1815 e il 1816 Schubert compose, per tacere di altro, più di duecentocinquanta Lieder, tra i quali ci sono capolavori supremi). Già il sottotitolo Die Tragische (Sinfonia Tragica), che si deve all'autore stesso, riecheggia il ben più celebre epiteto della Terza di Beethoven e dimostra una volontà espressiva elevata e forte e il proposito di accogliere il nuovo spirito della Sinfonia. Già Haydn, e non lui solo, aveva assegnato un sottotitolo a qualcuna delle sue Sinfonie, riferendosi però all'occasione del lavoro o al suo contenuto specifico, non al suo significato ideale, e dunque non destinando la musica a un fine drammatico e umanitario-etico. Anche nel rinforzo dell'organico orchestrale (quattro corni) intravediamo un impegno maggiore, un progetto di sonorità più robusta, più moderna. Eppure in quel sottotitolo c'è una certa ingenuità perché in queste pagine, che sono vigorose e concitate, di veramente "tragico" non c'è traccia. E se l'accento vi è anche virile ed eroico, non sentiamo tuttavia una vicenda di contrasto tra volontà e destino e di sconfitta o di eroica rassegnazione. Anzi, se non fosse per la lirica malinconia del primo tema nel secondo movimento, il carattere di questa musica è fervido e luminosamente affermativo, limitandosi per lo più lo svolgimento sinfonico alla contrapposizione, talora originalmente brusca, tra modo minore e modo maggiore (con il decisivo successo del do maggiore nel finale del primo e del quarto movimento) e alle modulazioni, quasi sempre sorprendenti ed efficaci, tra varie tonalità, anche tra quelle tra loro lontane (che del resto è un tratto inconfondibile dello stile di Schubert).

Una breve introduzione mesta e grave ci accompagna allo slancio agitato del primo tema in do minore, la cui cellula iniziale (tre note ascendenti) torna come elemento costitutivo anche altrove. La presentazione del secondo e terzo tema avviene tra molte sorprese armoniche, perché si arriva al do maggiore del terzo tema, passando per la bemolle maggiore e mi maggiore. Lo sviluppo tematico è conciso e la conlusione energica e positiva. L'Andante del secondo movimento è in forma doppia tripartita (A-B-A A'-B'-A) con opposizione tra melodia lirica (la bemolle maggiore, la prima volta) e stacco agitato (fa minore, le tre note ascendenti). Il Menuetto (Allegro vivace) mantiene il carattere di concitazione affettiva e di irrequietudine che si conclude in affermazione vigorosa; nel Trio ricompare la cellula delle tre note. Il movimento conclusivo, che muove da do minore a do maggiore attraverso aree tonali remote, è, come il primo, in forma-sonata, cioè si evolve in una dinamica molto movimentata di tre temi con agili modulazioni. Nemmeno nel grandioso Finale Schubert rinuncia, in prossimità degli ultimi accordi di do maggiore, a una sua ardimentosa e fulminea divagazione.

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium di via della Conciliazione, 4 gennaio 1992
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 maggio 1997


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Ultimo aggiornamento 24 novembre 2014