Erwartung (Attesa), op. 17

Monodramma in un atto

Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
Libretto: Marie Pappenheim
  1. Ai margini di un bosco
  2. Chiaro di luna
  3. Sentieri e campi
  4. Il bosco profondo e scuro
Organico: soprano, ottavino, 3 flauti (3 anche ottavino 2), 3 oboi, corno inglese (anche oboe 4), clarinetto piccolo, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 4 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, xilofono, piatti, grancassa, tamburo piccolo, tam-tam, raganella, triangolo, celesta, arpa, archi
Composizione: 27 agosto - 12 settembre 1909
Prima rappresentazione: Praga, Deutsches Landestheater, 6 giugno 1924
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1917
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Erwartung può essere considerato il primo esempio di teatro espressionista, in posizione diversa e anche contrastante con il teatro romantico e con il teatro verista, perché tendente ad una rappresentazione più scavata, essenzializzata e scarnificata della vita interiore del personaggio. Schönberg scrisse questo lavoro in un atto e della durata quasi di mezz'ora in appena quindici giorni, dal 27 agosto al 12 settembre 1909, senza correzioni e ripensamenti, come attesta la partitura originale conservata negli archivi di Los Angeles intitolati al musicista. Era stato il cognato Zemlinsky a far conoscere al compositore il testo del poema letterario Erwartung della giovane dottoressa e psicologa Marie Pappenheim, pubblicato nella rivista "Die Fackel" (La fiaccola). Schönberg mostrò vivo interesse al soggetto, così intriso di forte carica esistenziale in un gioco di sentimenti connessi strettamente all'amore e alla gelosia di una donna nella disperata ricerca del proprio uomo. E probabilmente l'aspetto che spinse il compositore viennese a musicare un poema concentrato nella delirante vicenda di una sola donna fu l'atmosfera psicanalitica che avvolge e condiziona l'ansioso e drammatico monologo della protagonista, in una situazione di completa solitudine che rende ancora più angoscioso e traumatico il racconto musicale. Del resto la psicanalisi era in pieno sviluppo in quegli anni in cui Sigmund Freud aveva pubblicato non solo la fondamentale Traumdeutung (L'interpretazione dei sogni), apparsa a Vienna nel 1900, ma anche tre delle Krankengeschichten (Casi clinici) su traumi isterici e nevrosi ossessive, pubblicati nel 1905 e nel 1909 e certamente conosciuti dalla dottoressa Pappenheim.

L'azione di Ertwartung si svolge senza soluzione di continuità in un solo atto, articolato in quattro scene, così raffigurate secondo una serie di annotazioni teatrali. Ai margini di un bosco. Chiaro di luna, sentieri e campi: il bosco profondo e oscuro. Solo i primi tronchi e l'inizio dell'ampia via appaiono ancora visibili. Una donna avanza, graziosa, vestita di bianco; ha sparsi sull'abito petali di rose rosse. La donna si accinge ad entrare nel bosco per raggiungere l'amante. La musica, una trentina di battute, sottolinea il senso di tensione e di preoccupazione di questa prima scena.. Un brevissimo intermezzo conduce alla seconda scena che vede la donna avanzare cautamente nella "via ampia" e nell'"oscurità profonda, tra folti alberi alti". La seconda scena occupa 54 battute, mentre di sole 24 battute si compone la terza scena, popolata di "alte erbe, felci e grandi funghi gialli" sotto i lividi riflessi della luna che rendono più allucinante il quadro. Un interludio di poche battute basate su figure martellanti con insistente ostinazione sfocia nella quarta scena: la donna ha l'abito strappato, i capelli scomposti, macchie di sangue sul volto e sulle mani: con orrore inciampa nel cadavere dell'amante steso presso la casa della rivale. Esplosioni di gelosia si mescolano a grida disperate: la donna si abbandona a ricordi e speranze in un clima di sogno disincantato e incompiuto. Alla fine la sua ansia si acqueta e la musica si scioglie in un gorgoglio timbrico di straordinaria incisività espressiva.

Musicalmente il monodramma di Schönberg punta il suo intreresse sul singolare valore della vocalità, intesa non come linea melodica, ma come grido originario (Urschrei) che si adegua all'inconscio e ne esprime ogni sfumatura di sentimento. La stessa parola sembra nascere dalla voce come suono musicale per creare quella particolare melodia timbrica (Klangfarbenmelodie) alla quale teneva molto Schönberg nelle sue osservazioni sul "nuovo modo di comporre". Atematismo e atonalità sono presenti in questa partitura, ma ciò non significa che essa non abbia una sua capacità di coinvolgere in senso emotivo l'ascoltatore e farlo partecipe di una storia drammatica in cui, oltre alla voce, è bene fare attenzione anche all'orchestra, sorretta e animata da un incessante fluire armonico e timbrico, tra brusii e sonorità di penetrante scavo psicologico, al limite dell'alienazione non solo individualistica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In due settimane, dal 27 agosto al 12 settembre del 1909, Arnold Schönberg si accomiata dal Mondo di Ieri, combinando in un solo buffet freddo Freud e Salomè, Isotta e il Re Waldemar, Kafka e Kandinsky, Stramm e Kokoschka e (imperdonabile ghiottoneria) il Giovane Torless e Gustav Klimt.

Si tratta di «Erwartung» (Attesa), un monodramma in cui Schönberg dà fuoco a un intero deposito o repertorio o magazzino o patrimonio dì valori (ingombranti o viscerali) e, nello stesso tempo, tira fuori (da quel rogo) leghe e metalli nuovi per «un altro pianeta». Il teatro in musica ha cosi il suo manifesto espressionista: un'allucinante metafora sull'attesa della morte; certo sul disfacimento di una società in crisi: non un grido di ribellione o di liberazione ma d'angoscia e d'orrore.

L'opera è quindi incastonata, come in un «puzzle», nel terreno «storico» e culturale di quegli anni. A toglierla dal suo posto si rischia di confondere tutto il quadro tra Bismarck e Hindenburg: di non distinguere Guglielmo II da Papà Natale. E Schönberg si comporta come il protagonista del «Vampiro» di Dreyer, che assiste al proprio funerale e fissa (impassibile?) il proprio cadavere dentro la bara.

«Erwartung» per Paul Bekker è «il riassunto più concentrato di ciò che il periodo successivo a Wagner ha prodotto, quasi un saggio critico scritto non in parole ma in suoni e che per la forza dell'intuizione e della penetrazione critica non consente alcuna spiegazione razionalistica». Per Adorno «una registrazione sismografica di "shoks" traumatici che diviene automaticamente la legge formale e tecnica della musica».

La mitteleuropa di quegli anni è, del resto, un crogiolo di tormentose esperienze artistiche e Schönberg (col suo smisurato orgoglio) non si nega nulla: dalla musica, alla pittura, alla scenografia, alla poesia, agli scritti critici.

Quasi contemporaneamente al trattato di Kandinsky «Della spiritualità nell'arte » (1912) pubblica il «Manuale di armonia» e nello stesso anno collabora, con un articolo sul rapporto tra musica e testo, al volume redatto da Marc e Kandinsky sotto l'insegna «Der Blaue Reiter» (Il cavaliere azzurro). La tesi è semplice (e felicemente oltraggiosa dopo secoli di dispute sul melodramma, sulla «riforma» e sui molti alessandrini dosaggi): la musica (vocale) non va interpretata in relazione al senso letterale della poesia ma nella sua intima essenza espressiva cosi come è stata colta dal compositore «nell'ebrezza della sonorità iniziale delle prime parole». La musica, non è quindi una descrizione, ma una visione interiore del mondo. Come dire: guardate bene «Erwartung» e imparate a comporre, e abbasso l'abate Casti!

La formula di cui è composto Schönberg in quel periodo è una combinazione di elementi organici precedenti e contemporanei: del 1904 è «La psicopatologia della vita quotidiana» di Freud, del 1905 la grottesca e disperata ridda della «Descrizione di una battaglia» di Kafka, del 1906 le compatte e contorte durezze geometriche del «Törless» di Musil, del 1907 la tragedia «Assassino, speranza delle donne» di Kokoschka e di tutto il periodo la "parola-urlo" del «Kräfte» di Stramm: l'«Ur-Schrei», il grido originario, irrefrenabile dell'anima angosciata e inorridita {e sistema nervoso centrale di «Erwartung»). Una specie di "do di petto" della poetica espressionista, uscito la prima volta dalla trachea di Munch.

Non c'è artista di quegli anni che non teorizzi e non tenti un'osmosi tra le varie forme espressive. Il razionalismo critico e l'irrazionalismo viscerale delle avanguardie assalgono congiuntamente le forme, svillaneggiano i contenuti e mettono in crisi i linguaggi. La roccaforte da abbattere è la separazione delle arti.

Kandinsky — il più consanguineo a Schönberg — scrive: «qualsiasi consonanza, qualsiasi progressione è possibile; oggi vi sono condizioni precise per adoperare questa o quell'altra dissonanza; lotta di suoni, equilibrio perduto, opposizioni e contraddizioni: questa è la nostra armonia. Una composizione che si fondi su questo genere di armonia è una combinazione di forme cromatiche e lineari che hanno, come tali, esistenza indipendente e vengono tratte da un'interiore necessità». E ancora: «Esempi delle nuove composizioni sinfoniche, nelle quali si usa l'elemento melodico solo di rado e come parte subordinata, ma dandogli cosi una nuova forma, una coloritura oscillante del linguaggio (è proprio la «Klangfarbenmelodie », melodia di colore risuonante, o melodia di timbri, teorizzata da Schönberg) possono essere considerati tre miei quadri. "Impressione n. 5", 1911, "Composizione n. 2", 1910, "Improvvisazione n. 18", 1911». Da parte sua il musicista concorda col pittore nel proporre un teatro dove suono, colore, parola e azione mimica si fondono: si cerca cosi un ritorno Alle Origini attraverso la Rappresentazione Totale.

L'idea l'aveva avuta anche Skrjabin, che nel 1908 aveva tentato di potenziare l'azione del suono con quella del colore, componendo una «tabella dei paralleli delle tonalità» (nel settimanale «Muzyka» di Mosca). Ma applicando il suo principio nel «Prometeo», Skrjabin aveva perduto le penne del pavone e messa a nudo la cornacchia che ci stava sotto.

Schönberg, invece, centra il bersaglio. Non poteva sbagliare; aveva alle spalle un percorso coerentissimo, il più radicale e progressivo del tardoromanticismo: quello che dalla dissoluzione della tonalità (mediante il cromatismo spinto fino alle estreme conseguenze) lo faceva approdare alla atonalità e, formalmente, a una "riduzione" e crescente concentrazione dei mezzi espressivi. Nascono cosi «Erwartung» (1909) e «Die glückliche Hand» (La mano felice) (1909-'13). E naturalmente le due opere servono a Schönberg per andare oltre sulla via della consanguineità tra le forme d'arte.

Per esempio i «Sei piccoli pezzi per pianoforte» op. 19 (del 1911), rapidissimi e aforistici, sono costruiti con la stessa «tecnica edificatoria» dei poeti espressionisti: quella cioè dei versi di Stramm, miniature a mosaico simili a geroglifici, musicalissime e brevissime; e riproducono inoltre il linguaggio figurativo di Klee e l'instantaneità dell'immagine (ideale di pittura sonora) dei «Sei pezzi per orchestra» op. 6 (1909) di Webern. I quali poi si ricollegano all'op. 16 di Schönberg sempre del 1909. Come si vede l'Annata di Grazia per l'Angoscia e per l'Incubo: «un eden di delizia» per il Dott. Caligari. Se poi si pensa che nello stesso anno Jawlensky, Kandinsky e Kubin fondano la Nuova Associazione Artistica (una specie di Supercoop dei pittori espressionisti) e Kokoschka pubblica la cartella di illustrazioni per l'«Assassino, speranza delle donne», si ha un'idea di quale "calderone" ribollente la cultura mitteleuropea stesse per riversare addosso alle tranquillanti e "medie" certezze della società guglielmina e absburgica.

Al «mondo borghese dell'ordine, della rispettabilità, della gerarchia, dell'arrivismo» gli artisti sbandierano in faccia la Metafora Ossessiva Del Disfacimento, il Festival Dell'Orrore e, convinti, come sono, che quella società è un cimitero di «sepolcri imbiancati» si appropriano della conclusione che nel 1906 Sorel aveva indicato nelle «Riflessioni sulla violenza»: Distruggere Tutto (forse per una nuova e dostoievskiana redenzione attraverso la sofferenza?). Sentite i versi di Ehrenstein: «lo vi dico, fracassate le città / lo vi dico, distruggete le macchine / lo vi dico, devastate lo stato! ». Ora Schönberg non è cosi forsennato né cosi iconoclasta e in «Erwartung» si contenta della massima (non ancora scritta da Hermann Hesse) «la radice di ogni arte è il senso — o l'attesa — della morte».

La sua rivoluzione è quindi più sottile; è nel bruciare i vecchi materiali del linguaggio, nell'uso esplosivo e disperato di una vocalità inaudita: quella dell'inconscio in preda a un trauma isterico, che neppure l'orrorosa emissione dell'Ur-Schrei (grido originario) può rimuovere.

La musica poi è assolutamente atematica, atonale (o, come Schönberg preferiva, politonale o pantonale); lo « Sprechgesang » (canto parlato) "ammicca" qua e là e la «Klangfarbenmelodie» (melodia di timbri) serpeggia, prolifera e imperversa dappertutto.

Il soggetto, infine, è cosa che può lasciare perplessi; intanto, perché non esiste.

E qui sta la grandezza di Schönberg: nell'aver risolto il suo possibile Tristano rifiutando ogni tentazione naturalistica e crepuscolare, ogni «Morte e Trasfigurazione», ricorrendo ad uno psicodramma senza né capo né coda, cioè senza i nessi logici che avrebbero certamente intrappolato la musica.

Il testo della giovane dottoressa, psicologa e "coltivatrice diretta" della poesia, Marie Pappenheim è infatti il lungo monologo, lo sconnesso vaniloquio di una donna che sembra fuggita dal "neurodeliri". E in questo è il suo punto di forza; nel costituire un test psicanalitico sulla solitudine e sulla frustrazione.

La protagonista — un soprano drammatico — ricerca il proprio amante, di notte, in un bosco e lo ritrova cadavere, alla luce della luna, avendolo in un primo momento scambiato per una panca, mentre sta per spuntare il mattino. Tutta l'esperienza è vissuta con allucinata tensione passionale, come «una visione febbrile» dove si alternano reazioni e controreazioni emotive.

Letto «col filtro» o addirittura «a rovescio» lo psicodramma presenta qualche sorpresa. Intanto è funzionalissimo per Schönberg, che intendeva risolvere l'esperienza romantica capovolgendola dal suo interno; poi suggerisce una ricetta elementare ma utile: «Se volete rivoluzionare qualcosa, guardatevi anche e soprattutto indietro».

«Erwartung» contiene infatti, ribaltata, la situazione dei «Gurre-Lieder», il cui tema centrale è la tensione inappagata del Re Waldemar, che, trovata morta la fanciulla amata, la evoca in una delirante caccia notturna attraverso la foresta.

E risulta anche una specie di Tristano Senza l'Abbraccio. L'attesa è magari quella di Isotta al secondo atto, più spasmodica e più allucinata ma senza l'estuario di voluttà del finale del Tristano, poiché urta contro il tragico limite esistenziale della frustrazione.

Si capisce come questo monodramma, coerentemente al proprio titolo, abbia atteso quindici anni prima di apparire sulla scena. Non concedendo nulla, risultava un avaro spuntino per un pubblico tradizionalmente ingordo come un'ameba. Senza contare che un'opera di soli trenta minuti, in Germania, e dopo Wagner e Strauss, doveva apparire, a dir poco, un'insolenza senza precedenti, una «tirchieria» offensiva, un temerario attentato al Rituale. Né servirono a renderla «commestibile» alcuni «cinguettii» Art Nouveau, neanche tanto impercettibili, (come l'anelito al bacio «necrofilo» della Quarta Scena, dove la Donna rischia di «franare» in una Salomè «manicomiale» o quella maliziosa civetteria Jugendstil, chiaramente svaporata dal «boudoir» di Klimt, che è l'abbigliamento prescritto dalla didascalia della Prima Scena: «una donna; esile, vestita di bianco. Sulla veste ha rose rosse in parte sfatte. È adorna di gioielli».

E, a grattare un po' l'intonaco espressionista, questa figura immersa in illuminazioni d'argento d'alberi d'alto fusto, in erbe alte e felci e grossi funghi gialli, potrebbe uscire dalle visioni più direttamente impegnate della Secessione Viennese, dove la rappresentazione vegetale della forma umana è esaltata in un serpeggiare trasalito, deformante e ossessivo. Se non fosse per Schönberg. Il quale da parte sua, con tratti violenti e nervosi e in un'ansia tesa e inesausta, esaspera fino al parossismo (e rinsangua) il possibile linearismo ornamentale, l'estenuazione formale in agguato. Tutti gli elementi (ritmico, armonico, melodico e timbrico) della musica si dispongono infatti nelle quattro scene di «Erwartung» nel modo più asimmetrico e arbitrario possibile, attraverso accordi infiniti e nuovi, come in uno spasimo. Neanche una piccola unità melodica viene ripetuta. L'impressione che se ne riceve è quella di una completa disintegrazione ritmica e formale di segno espressionista tra i più rigorosi.

Se si potesse però fotografare a colori questa esplosione di cellule in libertà, ci accorgeremmo che lo spazio sonoro è percorso da guizzi e brividi istantanei, ogni volta diversi, ma dello stesso materiale pittorico. Ora, proprio questa sostanza, il timbro, è il collante che tiene insieme l'opera, la sua unità o «combinazione di parti in movimento» come preferiva Schönberg. Il timbro si proietta, infatti, in tutti i registri ed è affidato agli strumenti più diversi del ricco organinico orchestrale (ci sono anche l'arpa e la celesta) anche se la sua realizzazione più emotiva è certo nella voce, la quale intona sillabicamente il testo (quasi una nota per ogni sillaba) come un recitativo e inoltre esplode in frammenti melodici. Questi «fenomeni isolati» e ricorrenti creano una melodia vocale che si rigenera continuamente.

Forse a questa insolita unità si riferisce il Neighbour quando dice che in «Erwartung» per la prima volta l'atonalità o fluttuante tonalità è assunta a consistenza». Questa fittizia «ricomposizione» della materia sonora appare comunque un presentimento di ordine, preludio alla prigione di dodici sbarre con cui Schönberg cercherà di ingabbiare, fin dal «Pierrot lunaire», la musica del Novecento.

Il Finale di «Erwartung» sembra quasi una descrizione in suoni della dissociazione di un'epoca. C'è una combinazione di scale cromatiche (di terze in semicrome) per moto contrario. Mentre una fila sale nelle zone più alte fino a scomparire con un pianissimo (ppp) «l'altra scende contemporaneamente nelle profondità dei bassi». Proprio nell'abisso.

« L'arte — sosteneva Schönberg — è un grido d'allarme».

Possiamo dedurre che «Erwartung», con l'angosciosa corsa verso la morte della sua protagonista, non è solo una radiografia della Germania che fece esplodere l'Espressionismo, ma anche un agghiacciante globo di cristallo in cui si possono intravedere quelle Germanie di dopo che fecero esplodere qualcosa di peggio. Dell'ultima Thomas Mann ci dice: «Avvinghiata dai demoni, coprendosi un occhio con la mano e fissando l'orrore con l'altro, precipita di disperazione in disperazione. Quando toccherà il fondo dell'abisso?».

Agli inizi del secolo Guglielmo II aveva solennemente proclamato: «Vi porto verso tempi magnifici». (E nel 1904 aveva proclamato Leoncavallo il più grande compositore del secolo).

Lamberto Bartoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 12 gennaio 1986
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 18 febbraio 1978


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Ultimo aggiornamento 22 gennaio 2019