Pini di Roma, P 141

Poema sinfonico

Musica: Ottorino Respighi (1879 - 1936)
  1. I pini di villa Borghese - Allegretto vivace. Vivace
  2. I pini presso una catacomba - Lento
  3. I pini del Gianicolo - Lento
  4. I pini della Via Appia - Tempo di marcia
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 4 tromboni, timpani, triangolo, 2 piatti piccoli, tamburino basco, raganella, piatti, grancassa, tam-tam, arpa, campanelli, celesta, grammofono, pianoforte, organo, tromba interna, 6 buccine, 2 flicorni soprani, 2 flicorni tenori, 2 flicorni bassi, archi
Composizione: giugno 1924
Prima esecuzione: Roma, Augusteo, 14 dicembre 1924
Edizione: Milano, Ricordi, 1925

Note:
Ottorino Respighi ha fatto una riduzione per pianoforte a quattro mani dei Pini di Roma consultabile nel catalogo al n. P 142 del 1924.
Guida all'ascolto 1

I testi in corsivo riportano le note esplicative che Respighi ha posto sulle partiture, come premessa ai singoli brani.

Note comuni alla Trilogia romana

Tra tutti i compositori della "generazione dell'80" che nell'Italia del primo novecento propongono un rinnovamento del linguaggio musicale, Ottorino Respighi ha forse il maggior respiro culturale a livello europeo. Dopo gli studi musicali compiuti presso il conservatorio di Bologna sotto la guida di Giuseppe Martucci e Luigi Torchi, nel 1900 occupa il posto di prima viola presso il Teatro di Pietroburgo dove segue i corsi di Rimski-Korsakov. Trasferitosi a Berlino nel 1902 si perfeziona alla Hochschule sotto la guida di Max Bruch ed entra in contatto con l'ambiente di Richard Strauss. Rientrato in Italia nel 1913 diventa prima insegnante e poi dal 1924 direttore del Conservatorio di S. Cecilia a Roma. Nel 1925 si ritira dall'attività didattica per dedicarsi esclusivamente alla composizione.

La sua produzione sinfonica coniuga il suo senso della natura, il suo interesse per l'animo e le tradizioni popolari e il gusto delle antiche forme liturgiche del Canto Gregoriano con vasti richiami alla contemporanea cultura musicale europea.

In questo contesto nasce il ciclo dei poemi sinfonici romani in cui Respighi sfruttando le sue straordinarie doti di orchestratore, riporta le sensazioni provate nella visita della città di Roma. In queste composizioni ritroviamo tutta l'atmosfera romana purtroppo in buona parte oggi scomparsa.

Chi di noi ricorda gli "gli strilli dei bambini come rondini a sera" a Villa Borghese, l'usignolo che canta "nel plenilunio sereno" del Gianicolo, "lo scampanio di tutte le chiese", gli "echi di caccia, tintinnii di sonagliere" sui Castelli Romani, "la voce dell'organo meccanico d'un baraccone e l'appello del banditore, il canto rauco dell'ubriaco e il fiero stornello" a Piazza Navona? E ancora dove ritrovare la "la salmodia accorata" dei fedeli che "si diffonde solenne come un inno", "il ritmo di un passo innumerevole" allo squillare delle buccine sull'antica Via Appia, la folla che ondeggia nel Circo Massimo, lo squillare dei corni di Tritone e Nettuno? Forse solo chi è stato sul Monte della Gioia percorrendo il cammino di Santiago di Campostella può comprendere i pellegrini che "si trascinano per la lunga via" ed il loro giubilo alla vista della Città Santa.

Accanto all'animo popolare romano troviamo però anche le citazioni della contemporanea cultura europea. La fontana di Valle Giulia ricorda il ruscello della Moldava di Smetana, la fontana di Trevi ha assonanze con la Mer di Debussy, tra i pini del Gianicolo si sentono le belle favole di Ma Mère l'oye di Ravel, il Petruska di Stravinskij impazza sia a Piazza Navona che a Villa Borghese, mentre lo spirito della Sagra della Primavera è presente nei Circenses e nell'Ottobrata. Il ritmo ostinato della marcia nei pini della via Appia abbinato al suo clamoroso crescendo orchestrale, richiama il Bolèro ma Ravel non lo aveva ancora scritto! Che abbia voluto rendere la cortesia a Respighi?

PINI DI ROMA (1924)

I pini di Villa Borghese

"Giuocano i bimbi nella pineta di Villa Borghese: ballano a giro tondo, fingono marce soldatesche e battaglie, s'inebriano di strilli come rondini a sera, e sciamano via".

Tutto il brano affidato ad una coloratissima orchestra, è un intrecciarsi di girotondi e di infantili fanfare militaresche. Dopo la rapida introduzione compare il tema principale (Oh quante belle figlie Madama Dorè) affidato al corno inglese, ai fagotti ed ai corni. Un improvviso cambio di ritmo caratterizza il secondo motivo che flauti, ottavino e pianoforte cantano su uno sfondo costituito dai trilli degli archi. Con il ritorno all'andamento iniziale ricompare il tema principale questa volta affidato agli oboi ed ai clarinetti. La parte successiva costruita sulla melodia di un nuovo girotondo sfocia in una fanfara di trombe. La successiva ricomparsa del girotondo viene ripresa ed intrecciata con squilli di marce, dall'intera orchestra che successivamente si avvia verso l'ultimo vorticoso crescendo.

Pini presso una catacomba

"Improvvisamente la scena si tramuta ed ecco l'ombra dei pini che coronano l'ingresso di una catacomba: sale dal profondo una salmodia accorata, si diffonde solenne come un inno e dilegua misteriosa".

L'atmosfera diventa improvvisamente cupa e ci porta nei pressi di una catacomba. Dal profondo emerge sommessa la voce degli archi intercalata da un mesto cantabile dei corni e dai rintocchi gravi di una campana quasi a ricordarci la memoria di antichi martiri. Una tromba sola in controcanto con i violini rischiara l'ambiente con un inno mariano. Dal profondo si leva una salmodia affidata a clarinetti, corni e violoncelli che si trasforma gradualmente con l'entrata degli altri strumenti in un maestoso ed austero crescendo. Dopo il rapido spegnersi della salmodia una coda ci riporta alla cupa atmosfera iniziale.

I pini del Gianicolo

"Trascorre nell'aria un fremito: nel plenilunio sereno si profilano i pini del Gianicolo. Un usignolo canta".

Il gocciolio dell'acqua dalla fontana introduce il brano con gli arpeggi del pianoforte mentre il clarinetto espone un tema sognante nel plenilunio che sovrasta i pini del Gianicolo. Gli archi che riprendono questo tema sono interrotti dalla celesta che ripropone il gocciolio della fontana. L'oboe presenta un nuovo tema che viene ripreso da un violoncello solo e sviluppato poi dagli archi con un ampio crescendo. Gli arpeggi del pianoforte, dell'arpa e della celesta ci ripropongono ancora una volta il gocciolio dell'acqua e ci portano verso la sezione conclusiva quando il clarinetto prepara il canto dell'usignolo che si perde fra i rami dei pini.

I pini della via Appia

"Alba nebbiosa sulla via Appia. La campagna tragica è vigilata da pini solitari. Indistinto, incessante, il ritmo di un passo innumerevole. Alla fantasia del poeta appare una visione di antiche glorie: squillano le buccine ed un esercito consolare irrompe, nel fulgore del nuovo sole, verso la via Sacra, per ascendere al trionfo del Campidoglio".

Il ritmo del passo di marcia dell'esercito consolare è scandito da timpani, pianoforte, violoncelli e contrabbassi. I corni ci presentano frammenti di fanfare mentre i clarinetti introducono quello che sarà il tema conduttore di tutto il brano. Il corno inglese si inserisce con una melodia esotica, quasi una danza orientale, prima che i corni diano avvio al poderoso amplissimo crescendo cui si uniscono progressivamente tutti gli altri strumenti per preparare la sfarzosa conclusione. Da notare l'impiego di sei flicorni che sono uno strumento tipicamente bandistico poco usato in orchestra.

Terenzio Sacchi Lodispoto


Guida all'ascolto 2 (nota 1)

Il poema, Pini di Roma, fu composto nel 1924 ed eseguito all'Augusteo il 14 dicembre, direttore Bernardino Molinari. Il suo primo numero, I Pini di Villa Borghese, fu disturbato da fischi e zittii, ma poi la sala si placò, e alla fine il successo fu clamoroso, e seguito da una diffusione internazionale altrettanto incontrastata e duratura quanto quella delle Fontane. Anche qui, quattro quadri che si seguono senza interruzione, con altrettanti titoli. Che però stavolta non vanno presi letteralmente. Nelle Fontane sia questi titoli che quello generale - beninteso nella misura in cui un'indicazione letteraria può aiutarci ad intendere la musica - comunicano l'argomento della musica senza equivoci. Qui invece i pini sono solo una garbata etichetta. Infatti i quattro numeri s'intitolano nell'ordine I Pini di Villa Borghese, I Pini presso una catacomba, I Pini del Gianicolo, I Pini della Via Appia, ma questo in realtà significa semplicemente Villa Borghese, una catacomba, il Gianicolo, la Via Appia; e a loro volta, Villa Borghese sono bambini che, come si legge nel programma premesso alla partitura, «ballano a giro tondo, fingono marce soldatesche e battaglie, s'inebriano di strilli come rondini a sera»; e la catacomba sono salmodie sospese, e il Gianicolo è un plenilunio, e la Via Appia il fantasma di legioni romane in marcia trionfale verso il Campidoglio.

Come nelle Fontane, ciò che conta è il piacere dell'immagine musicale per se stessa, priva di secondi fini: sotto il governo dello stesso sentimento formale. Solo che i quattro quadri non sono qui aspetti di uno stesso soggetto: mentre il contrassegno della fontana offre effettivamente alle loro musiche un comune denominatore, quello dei pini, come si è accennato, resta sulla carta. Abbiamo dunque quattro quadri radicalmente diversi, cui però un giuoco sapiente di contrasti, di tipo non drammatico ma sì teatrale assicura una continuità perfetta. Si comincia col chiasso dei bambini, in una scena di cui molti hanno segnalato la parentela con la Fiera di Petruska; ma si dovrebbe citare anche il second'atto della Bohème, e non solo per quella screanzata trombetta di latta di cui qui due trombe all'unisono, alla fine del brano, palesemente ricordano. A questo caleidoscopico sfolgorio segue di colpo il buio: letteralmente, non "vediamo" più nulla, le liturgiche melopee degli oranti ci vengono davvero di sottoterra. Tutto luce, sebbene pallida e senza moto, è invece il quadro del plenilunio, affidato a incanti melodici anzi che, come ci si aspetterebbe, a trovate dell'armonia; oltre che a raffinatezze timbriche poco meno che eccelse. Curiosamente ci si scandalizzò all'epoca - e ancora alquanto più tardi - dell'apparizione, alla chiusa, d'un autentico canto d'usignolo registrato su disco; che invece noi diremmo squisita. Infine, l'inno marciante dei legionari, colossale crescendo di suono e di tensione basato su un ritmo ostinato.

Quanto a quest'inno, un bel giorno ci si volle vedere un'apologià del Fascismo; come se l'impero romano fosse un'invenzione di Starace, e come se ogni celebrazione bellica valesse incoronazione di tiranni. Ma la paranoia fa questo ed altro. Non perciò questa pagina non dovrà dirsi magniloquente; a patto però di ricordare che in una poetica come quella di Respighi anche la magniloquenza ha i suoi diritti.

Comunque sarà magari vero che dopo una ventina di battute l'ascoltatore cominci ad avvertire l'avvio di una specie di progetto balistico di cui l'esito gli pare fastidiosamente scontato; ma è anche più vero che, affollandosi le voci di bronzo progressivamente e salendo via via la temperatura, avvertirà nel processo una sorta di fatalità soverchiante. E infine constaterà che i legionari hanno conquistato anche lui.

Fedele d'Amico


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 4 novembre 2000


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Ultimo aggiornamento 6 maggio 2016