Jeux d'eau (Giochi d'acqua)


Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 novembre 1901
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 aprile 1902
Edizione: E. Demets, 1902
Dedica: à mon cher maȋtre Gabriel Fauré
Guida all'ascolto (nota 1)

I Jeux d'eau, Giochi d'acqua, inaugurano cronologicamente, e non solo cronologicamente, la musica francese del Novecento. Cronologicamente, invero, la Sonata di Dukas precede i Giochi d'acqua di un anno: 1900 invece di 1901. L'utopia di Dukas non ha però seguito, e il Novecento francese non si metterà in concorrenza con la classicità viennese di un secolo prima. La materia sonora, che sgorga dai giochi d'acqua di Ravel rinnova invece la musica francese e sarà all'origine di una delle civiltà più alte del Novecento.

Jeux d'eau è in forma di primo tempo di sonata, sia pure così ben mascherato da essere riconoscibile solo attraverso un'attenta analisi. Nulla di nuovo, dunque, in questo senso. Molto di nuovo, invece, nell'armonia: fin dalla prima battuta l'accordo consonante ingloba due suoni (settima maggiore e nona maggiore rispetto al suono fondamentale) che erano sempre stati considerati dissonanti. Già Chopin e già Liszt avevano allargato il concetto di consonanza, ma in via del tutto episodica: con questo Ravel il nuovo concetto di consonanza diventa un tratto lessicale costante. E si tratta di un passo molto importante, da cui scaturirà nove anni più tardi, con il Trattato d'armonia di Schönberg, l'abolizione del concetto stesso di dissonanza.

Il carattere di Jeux d'eau che più colpì i contemporanei riguarda però la sonorità pianistica. Le filigrane di Chopin e di Liszt, che in Chopin e in Liszt insaporivano come gesti sonori il discorso, diventano con Ravel le protagoniste: l'ornato, non il soggetto, assorbe tutto l'interesse dell'ascoltatore, e quando il soggetto compare, in incantate melodie, non ha forza patetica o rappresentativa, ma solo evocativa. In una piccola polemica giornalistica che qualche anno dopo lo vide opposto ad un critico, Ravel rivendicò a sé la scoperta di una sonorità pianistica che era stata attribuita a Debussy. Ma non si era trattato solo di costruire un pezzo sulle filigrane dei romantici; si era trattato anche di inventare una tecnica che, sui pianoforti di inizio Novecento, diversi dai pianoforti di metà Ottocento, consentisse di ottenere suoni di lamina percossa invece che di corda. Suoni leggeri e lungamente risonanti, suoni di campanellini, qualche grave suono di gong (Ravel impiega pochissimo il registro basso), suoni di litofoni, resi vaporosi dal costante uso dei pedali. Gocce d'acqua iridescenti, le gocce dell'epigrafe di Henri de Règnier, "Dio fluviale che ride per l'acqua che lo solletica".

Ma nessuna visione mitologica, alla "pomeriggio d'un fauno", sorge a parer mio dalle note di Ravel, e nessun dio ride veramente. Forse l'acqua batte sulla statua d'un dio che ride, e forse, anzi, certamente, quel dio è orientale, cinese o giapponese. In Giochi d'acqua alla Villa d'Este di Liszt le fontane di Tivoli cantavano l'"acqua di vita" del Vangelo giovanneo. Nei Giochi d'acqua di Ravel la pace è ricercata in oriente, in antiche, remote civiltà di cui l'intellettuale europeo sente nostalgia senza conoscerle ma solo sognandole. Jeux d'eau apre così un filone esotico-mistico della cultura francese che avrà vita fiorente e su cui si baserà la poetica di Messiaen.

Piero Rattalino


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 25 marzo 1994


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Ultimo aggiornamento 6 giugno 2013