Gaspard de la nuit (Topo notturno)

Tre poemi per pianoforte da Aloysius Bertrand

Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
  1. Ondine - Lent (do diesis maggiore)
    Dedica: Harold Bauer
  2. Le gibet - Très lent (mi bemolle minore)
    Dedica: Jean Marnold
  3. Scarbo - Modéré (si maggiore)
    Dedica: Rudolph Ganz
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, maggio - 5 settembre 1908
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 9 gennaio 1909
Edizione: Durand, 1909
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ravel scrisse nel 1908 il trittico pianistico intitolato Gaspard de la nuit, una indicazione piuttosto enigmatica e strana, ma resa più comprensibile e chiara se si tiene d'occhio il sottotitolo: "Fantaisies a la manière de Rembrandt e Callot" che fa pensare a visioni e immagini diaboliche e infernali. Esso trae ispirazione da alcuni poemetti in prosa dell'opuscolo neo-hoffmanniano apparso postumo nel 1842 con la firma di Aloysius Bertrand, che Baudelaire considerò un precursore della moderna poesia; il libro è conosciuto con il nome di "Histoires vermoulues et poudreuses du Moyen Age" (Storie tarlate e polverose del Medio Evo) e fu il pianista Ricardo Vines a segnalarlo all'amico Ravel, al quale piacevano simili argomenti e che era oltretutto un lettore e un ammiratore di Edgar Poe. Per fare entrare meglio l'ascoltatore nell'atmosfera del poema, il musicista ha riprodotto integralmente il testo letterario servito da pretesto in calce a ciascuno dei tre pezzi, che sono nell'ordine: Ondine, che veramente in Bertrand figura nel frammento "La nuit et ses prestiges", Le gibet (La forca) e Scarbo, che è una specie di gnomo, di personaggio orripilante che si agita e si dimena per la stanza "come un fuso caduto dall'arcolaio di una strega".

Lo stesso Ravel ha tenuto a precisare che con Gaspard de la nuit ha voluto fornire alla letteratura pianistica dei pezzi di un virtuosismo trascendente, che superassero in difficoltà l'lslamey di Balakirev, senza dimenticare l'esperienza lisztiana. Ciò vale soprattutto per Scarbo, dove la fantasia pianistica raveliana tocca le più audaci e spericolate combinazioni sonore, che servono ad esprimere la figura clownesca e deforme dello gnomo, riflessa «nell'estrema mobilità di un adattamento musicale dove tutte le battute piroettano, s'intersecano, si contraddicono e si confondono in un disordine apparente, mentre il loro insieme si ordina, in definitiva, in uno Scherzo di forma irreprensibile» (Cortot).

Ondine è il pezzo più descrittivo del trittico e, con le sue armonie "umide", con le sue scale che fanno pensare a rivoli di pioggia e provocano effetti di polverizzazione sonora, si riallaccia a due precedenti composizioni raveliane: Jeux d'eau e Une barque sur l'Océan. Sinistro e quasi spettrale Le gibet con il suo pedale immutabile e lugubre su cui si distende una serie di accordi in tempo lentissimo cne si smorzano come un suono di campana a morto nel finale, con la visione dello scheletro dell'impiccato che si arrossa al tramonto del sole.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quel che accomuna Gaspard de la nuit al clima della musica da camera francese, il suo tratto familiare di somiglianza, per così dire, è la ricerca di un effetto narrativo: la volontà di comunicare con il pubblico non solo attraverso il testo musicale, ma anche attraverso l'aggiunta di un testo scritto, verso il quale la musica vorrebbe svolgere un compito evocativo e descrittivo insieme, simbolista e naturalista. Non è, negli usi di quel tempo, cosa nuova. Anzi, proprio il fatto che sia in qualche modo "fuori tempo" è, sotto certi aspetti, rivelatore: l'epoca dei poemi sinfonici era già in declino, Debussy dava ai suoi pezzi per pianoforte titoli dal tono icastico, buoni per associazioni mentali ma non per procedere in maniera descrittiva. Ravel, invece, percorre questa via più facile, più diretta, ma anche più rischiosa per comunicare con il pubblico. Il rischio sta nella possibilità che l'ascoltatore, divenuto anche lettore e saputo quale sia l'effetto ricercato, possa giudicare fallita la composizione se questa non riesce a restituire le idee previste, le immagini raccontate. La sicurezza con Ravel affronta il rischio, tuttavia è anche quella del funambolo da circo, del compositore capace di sfoggiare virtuosismi di tecnica, timbrica e armonia, tali da esser certo di ottenere l'effetto sperato.

Sottotitolo dei brani che compongono Gaspard de la nuit è Trois poèmes pour piano d'après Aloysius Bertrand, uno scrittore sentimentale e "frénetique" del primo Ottocento francese, da cui provengono immagini di forte e spesso scontato romanticismo. Ravel per le prime esecuzioni fece riprodurre le poesie di Bertrand affinchè il pubblico potesse leggerle, e comunque le antepose alla musica nell'edizione a stampa dello spartito. Delle poesie egli prende a prestito gli spunti quasi per farne la guida di un'invenzione musicale che non segue parametri formali, ma che privilegia le piccole strutture e quasi un andamento improvvisativo. Ondine, il primo dei tre brani, rievoca il movimento dell'acqua, l'elemento naturale nel quale vive la ninfa di cui parla la poesia. Le gibet, ossia La forca, tende a riprodurre il macabro spenzolare dell'impiccato attraverso l'ossessiva ripetizione del pedale di si bemolle, al quale Ravel prescrive un'amplissima varietà di colorazioni espressive. Scarbo, infine, è una sinistra figura di nano la cui ambiguità viene riassunta nella compresenza di due temi, uno di tre note, l'altro basato su una nota ribattuta, un re diesis.

Scritti nel 1908, basati su una tecnica pianistica di eccezionale raffinatezza e abilità, i tre brani di Gaspard de la nuit sembrano la prosecuzione diretta di quel descrittivismo estetico inaugurato da Ravel, sul pianoforte, già qualche anno prima con i Miroirs.

Stefano Catucci

Testi che Ravel ha posto in calce alle partiture

Ondine Ondina
..Je croyais entendre
Une vague harmonie enchanter mon sommeil.
Et près de moi s'épandre un murmure pareil
Aux chants entrecoupés d'une voix triste et tendre.
Ch. Brugnot: Les deux Génies
«Ecoute! - Ecoute! - C'est moi, c'est Ondine qui frôle de ces gouttes d'eau losanges sonores de ta fenêtre illuminée par les mornes rayons de la lune; et voici, en robe de moire la damé châtelaine qui contemple à son balcon la belle nuit étoilée et le beau lac endormi.
«Chaque flot est une ondine qui nage dans le courant, chaque courant est un sentier qui serpente vers mon palais, et mon palais est bâti fluide, au fond du lac, dans la triangle du feu, de la terre et de l'air.
«Ecoute! - Ecoute! - Mon père bat l'eau coassante d'une branche d'aulne verte, et mes soeurs caressent de leurs bras d'écume les fraîches iles d'herbes, de nénuphars et des glaïeuls, ou se moquent du saule caduc et barbu qui pèche à la ligne».
Sa chanson murmurée, elle me supplia de recevoir son anneau à mon doigt, pour être le roi des lacs.
Et comme je lui répondais que j'amais une mortelle, boudeuse et dépitée, elle pleura quelques larmes, poussa en éclat de rire, et s'évanouit en giboulées qui ruisselèrent blanches le long de mes vitraux bleus.
«Ascolta, ascolta! Son io, l'Ondina che accarezza con le sue gocce le lastre sonore della tua finestra illuminata dai lividi raggi di luna; ed ecco in abito nero sul balcone la signora del castello che contempla la magnifica notte stellata, e il bel lago addormentato.
Ogni flutto è un'ondina che nuota nella corrente e ogni corrente un sentiero che serpeggia verso il mio palazzo. Il mio palazzo è fluido, in fondo al lago, nel triangolo di fuoco, di terra e di aria.
Ascolta, ascolta! Mio padre batte l'acqua che mormora con un ramo verde d'ontano e le mie sorelle carezzano con braccia di schiuma le fresche isole d'erbe, di ninfea e di giuggiolo oppure scherzano con il salice folto e piangente che pesca alla lenza».
Dopo aver mormorato la sua canzone, l'Ondina mi pregò di infilare al dito il suo anello per diventare il re dei laghi.
Ma le risposi che amavo una donna mortale e Ondina, indispettita e stizzosa, pianse qualche lacrima, poi scoppiò a ridere e scomparve in uno scroscio di pioggia bianca che scorreva lungo i vetri azzurri della mia finestra.
Le gibet Il patibolo
Que vois-je remeur autour de ce gibet?
Faust
Ah! ce que j'entends, serait-ce la brise nocturne qui glapit ou le pendu qui pousse un soupir sur la fourche patibulaire?
Serait-ce quelque grillon qui chante tapi dans la mousse et la lierre stérile dont par pitié se chausse le bois?
Serait-ce quelque mouche en chasse sonnant du cor autour de ces oreilles sourdes à la fanfare des hallali?
Serait-ce quelque escarbot qui cueille en son vol inégal un cheveu sanglant à son crâne chauve?
Ou bien serait-ce quelque araignée qui brode une demiaune de mousseline pour cravatte à ce col étranglé?
C'est la cloche qui tinte aux murs d'une ville, sous l'horizon, et la carcasse d'un pendu que rougit le soleil couchant.
Ah! Ciò che ascolto è forse la brezza notturna che soffia o l'impiccato che geme sul patibolo?
Forse è il grillo che canta nascosto nel muschio e nell'edera che pietosamente riveste la scorza degli alberi?
Forse è una mosca che va cacciando e suona il suo corno in quelle orecchie sorde alla fanfara gioiosa?
Forse è lo scarabeo che afferra nel suo volo ineguale un capello insanguinalo strappato al cranio calvo?
O forse è un ragno che ricama mezza canna di mussolina attorno al collo strangolato per fargli una cravatta?
È la campana che rintocca fra le mura della città, laggiù all'orizzonte, è la carcassa dell'impiccato insanguinata dal sole morente.
Scarbo Scarbo
Il regarda sous le lit, dans la cheminée, dans le bahut; personne. Il ne put comprendre par où il s'était introduit, par où il s'était évadé.
Hoffmann: Contes nocturnes
Oh! que de fois je l'ai entendu et vu, Scarbo, lorsqu'à minuit la lune brille dans le ciel comme un écu d'argent sur une bannière d'azur semée d'abeilles d'or!
Que de fois j'ai entendu bourdonner son rire dans l'ombre de mon alcôve, et grincer son ongle sur la soie des courtines de mon lit!
Que de fois je l'ai vu descendre du plancher, pirouetter sur un pied et rouler par la chambre comme le fuseau tombé de la quenouille d'une sorcière!
Le croyais-je alors évanoui? le nain grandissait entre la lune et moi comme le clocher d'une cathédrale gothique, un grelot d'or en branle à son bonnet pointu!
Mais bientôt son corp bleuissait diaphane comme la cire d'une bougie, son visage blêmissait comme la cire d'une lumignon, - et soudain il s'éteignait.
Oh! quante volte l'ho sentito e veduto, Scarbo, quando la luna splende nel cielo di mezzanotte, simile ad uno scudo d'argento sopra una bandiera azzurra ricamata di api d'oro!
Quante volte ho sentito scoppiare il suo riso nell'ombra dell'alcova e stridere le sue unghie sulla seta delle cortine del mio letto!
Quante volte l'ho visto scivolare dal soffitto, piroettare su un piede e volteggiare per la stanza come un fuso caduto dall'arcolaio di una strega!
Lo credevo sparito, ma ecco che il nano diventava grande, proiettato come il campanile di una cattedrale, con il sonaglio d'oro in cima al berretto a punta!
Ma presto il suo corpo si faceva trasparente, diafano come la cera della candela; il suo viso impallidiva come la cera di un lucignolo e all'improvviso si spegneva.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 aprile 1990
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 30 gennaio 2003


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Ultimo aggiornamento 19 aprile 2013