Boléro

Balletto in do maggiore per orchestra - Versione per concerto

Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi (2 anche oboe d'amore), corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 sassofoni, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, tromba piccola, 3 trombe, 3 tromboni, bassotuba, timpani, 2 tamburi, piatti, tam-tam, celesta, arpa, archi
Composizione: 1918
Prima esecuzione in concerto: Parigi, Salle Pleyel, 11 Gennaio 1930
Prima rappresentazione balletto: Parigi, Palais Garnier, 22 Novembre 1928
Edizione: Paris, Durand & Cie., 1929
Dedica: Ida Rubinstein

Vedi al 1928 n. 128 la versione per balletto, al 1928 n. 130 la versione per pianoforte a quattro mani ed al 1928 n. 131 la versione per due pianoforti
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È difficile, ed è forse superfluo, commentare una musica universalmente nota, verso la quale chiunque di noi ha in sé una disposizione istintiva (quella dei molteplici ascolti e dei ricordi) e riflessa, che non coincide né sempre né in tutto con l'idea che abbiamo della musica di Ravel. Qui mi sembra stia "il problema" del Bolèro. La popolarità corrente, e consunta alquanto, di questa musica non corrisponde, si direbbe, al successo chiaro e giustificato di tutte le altre musiche di Ravel, che hanno il privilegio rarissimo di non mostrare mai una ruga per quante volte siano ripetute. Si sa, Ravel non ha scritto una battuta che sia sciatta o distratta, e questo vale anche per il Bolèro, che in sé ostenta un'originalità di stile e di mezzi e una fantasia formidabili. Ma l'idea prima dell'artista di creare una forte pagina sinfonica (che essa sia nata come musica di balletto per la Rubinstein, ha qui poca importanza) sottratta del tutto allo sviluppo tematico e costretta alla ripetizione ossessiva di un solo disegno, si è rivoltata contro la composizione stessa: che è diventata nell'opinione comune l'espressione della trasgressione esotica, dell'erotismo eccessivo e sognato, da vacanza iberica o in un'impossibile avventura gitana (molte interpretazioni sceniche e coreutiche, anche famose e ripetutamente teleproiettate, hanno confuso l'immagine anche di più). Che il carattere e il valore di una musica non dipendano dalle convinzioni correnti, è indiscutibile; ma nel caso del Bolèro ciò che crediamo di aver sempre ascoltato e ciò che dagli ascolti passati speriamo o ci attendiamo di sentire, limita e definisce la nostra percezione e forza probabilmente le esecuzioni stesse. Forse l'istintiva aristocrazia di Toscanini aveva percepito il pericolo della banalizzazione del significato, quando staccò nel Bolèro un tempo più secco e più rapido del previsto (che dice «Tempo di bolero moderato assai»), attenuando molto la sensualità della pagina (come si sa, Ravel ne fu irritato, ma poi si scusò col maestro).

La sensualità, dunque, l'ossessione erotica, il dionisismo estatico, sono tutte energie accolte nella concezione originaria e messe in azione nella musica - ma messe in azione da Ravel, dunque da uno degli artisti del Novecento più raffinati, sapienti, e più diffidenti di eccessi e di trasporti. È bene ormai, perciò, che prima del significato celato e sinistro, si gusti di questa musica la magnifica forma sonora.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

All'origine di Boléro di Maurice Ravel c'è la richiesta al compositore, nel 927, da parte di Ida Rubinstein, di una partitura per un breve balletto di ambientazione spagnola. Personaggio centrale nella vita teatrale parigina dei primi decenni del secolo, Ida Rubinstein si era imposta come artista di grande fascino all'interno della celebre compagnia dei Ballets russes, dalla quale si era poi presto staccata fondando una propria compagnia autonoma. Nonostante mancasse, come ballerina, di una tecnica veramente solida, e fosse afflitta, come attrice, da un forte accento russo, la sua avvenenza e il suo carisma stimolarono la creatività di molti compositori (Debussy, Stravinskij, Honegger, Sauguet), letterati (D'Annunzio, Gide, Valery) e coreografi (Fokine, Massine, Bronislava Nijinska). Nei confronti di Ravel i suoi meriti risiedono anche nell'aver montato per la prima volta in versione coreografica - nel maggio 1929, pochi mesi dopo Boléro - La valse, partitura che Diaghilev aveva respinto, giudicandola inadatta alla danza, e che era stata eseguita, dal 1920 in poi, solo in forma di concerto.

Che l'idea del balletto spagnolo piacesse a Ravel non c'è da stupirsi; le sue origini basche lo avevano portato in più occasioni a rifarsi a stilemi spagnoleggianti; basterebbe pensare a lavori come Raphsodie Espagnole (1907), L'heure espagnole (1911), Alborada del Gracioso (1923). Boléro nacque, peraltro, quasi come un ripiego rispetto a una idea primitiva scartata per motivi di forza maggiore. In un primo momento il progetto di Ravel era quello di orchestrare alcune pagine pianistiche tratte da Iberia, celebre raccolta pianistica di Albeniz, compositore protagonista della rinascita musicale spagnola, scomparso nel 1909. Questa scelta, di profilo tutto sommato modesto, era legata certo ad altri pressanti impegni del compositore, inclusa la lunga tournée concertistica negli Stati Uniti e nel Canada conclusasi nel maggio 1928. Occorre osservare però che anche gli altri musicisti coinvolti nello spettacolo della Rubinstein si impegnarono in un lavoro di trascrizione e orchestrazione; Honegger trascrisse pagine di Bach, Milhaud orchestrò pagine di Schubert e Liszt. Ad ogni modo il progetto di sfruttare i brani pianistici di Albeniz risultò impossibile, poiché i diritti per la trasformazione in balletto di Iberia erano già stati ceduti ad altri dagli eredi. Di qui la scelta del compositore di orchestrare una propria melodia di carattere spagnolo, forse annotata durante un viaggio nella regione dei Pirenei; nelle lettere scritte nel corso della stesura Ravel si riferisce al brano chiamandolo Fandango; ma il titolo definitivo fu poi Boléro.

La prima esecuzione avvenne, il 22 novembre 1928, all'Opera di Parigi, con la direzione di Walther Straram e la coreografia di Bronislava Nijinska; la stessa Rubinstein era protagonista, nei panni di una ballerina gitana danzante sopra un tavolo, mentre, intorno a lei, altri gitani venivano progressivamente coinvolti nel vortice della danza. Fu Ravel a dirigere poi la sua partitura in forma di concerto, l'11 gennaio 1930 ai Concerts Lamoureux. In entrambi i casi un grande successo arrise alla composizione; ma Boléro era destinato a traguardi imprevedibili. Numerosissime le versioni coreografiche che si sono succedute, e converrà citare almeno quelle di Aurelio Milloss, Serge Lifar, Filar Lopez e Maurice Béjart. Ma la melodia di Boléro doveva diffondersi molto oltre i confini degli ambienti della danza e della musica colta; innumerevoli sono state le trascrizioni di vario tipo e per tutti gli strumenti, le trasposizioni nell'ambito della musica jazz (il Jacques Loussier Trio, fra gli altri), gli impieghi come colonna sonora cinematografica (Boléro di Claude Lélouche, il più celebre).

Tutto questo per una composizione che si avvale di elementi, tutto sommato, estremamente semplici. Innanzitutto, il ritmo della danza spagnola; nella sua versione iberica, diffusa nella seconda metà del XVIII secolo, il Bolero è una danza in tempo ternario e di andamento moderato, con un ritmo peculiare spesso scandito dalle nacchere e con due melodie principali, ciascuna delle quali ripetuta. Come danza caratteristica aveva avuto, a livello colto, numerose stilizzazioni soprattutto in Francia, da parte di Auber (La muette de Portici), Berlioz (Benvenuto Cellini), Verdi (Les Vêpres siciliennes). Insomma uno stilema che rientrava perfettamente nell'esotismo ispanico della Francia ottocentesca, sviluppato soprattutto alla fin du siècle, dove spesso il folklore spagnolo diviene evocazione di sensualità lascivia.

Ravel si richiama a questo fiorentissimo filone della musca francese. Propone così un lungo tema diviso in due frasi, ciascuna di 16 misure, accompagnato dal ritmo ben scandito dalle percussioni. La grande idea è quella di procedere non già, a partire dal tema, verso una libera composizione, ma di ripetere il semplice tema per 18 volte consecutive, ciascuna delle quali diversa dalla precedente perché proposta a un livello dinamico via via superiore; insomma un progressivo crescendo, dal pianissmo al fortissimo, basato su diverse "terrazze" sonore, ciascuna delle quali si distingue per l'aggiunta di nuovi stumenti, sia nella linea melodica che nel supporto ritmico. Si parte dal flauto solo, accompagnato da tamburo, viole e violoncelli; si passa poi via via ad altri strumenti - clarinetto, fagotto, clarinetto piccolo, corno inglese - quindi a vari gruppi strumentali, mentre, nel contempo, anche l'accompagnamento acquista un progressivo spessore. L'approdo è al coinvolgimento dell'intera orchestra. Insomma un magistrale cimento di strumentazione da parte di Ravel.

L'idea del crescendo a terrazze, di per sé, non era nuova. Era stata intensamente impiegata nell'opera italiana del primo Ottocento, e Rossini ne aveva fatto uno dei propri segni distintivi, sempre collegandola a un processo di progressiva animazione, che sfociava direttamente nello smarrimento dell'identità, nell'irrazionale. Ravel si spinge però ancora oltre, sia moltiplicando il numero delle ripetizioni del tema, sia portando il prodigioso crescendo verso un esito imprevedibile: dopo diciotto ripetizioni tutte inanellate nella medesima tonalità di do maggiore, Boléro opera una brusca transizione, che ha la funzione e l'effetto di liberare la eccezionale energia accumulata: il tema vira bruscamente verso la tonalità di mi maggiore, modificando il proprio profilo melodico, e ritornando poi, dopo solo otto misure, al do maggiore per una rapida conclusione.

A ben vedere la fortuna dello schema di Boléro non è poi così difficoltosamente spiegabile. Da una parte la grande diffusione di massa è legata proprio al principio della iterazione, che, anche nella musica commerciale, è la formula del facile successo; e non a caso proprio nelle iterazioni e trasformazioni di questa partitura sono stati indicati, talvolta, i principi costruttivi della minimal music. Ma soprattutto il calibratissimo processo di accrescimento strumentale, realizzato da Ravel con infallibile razionalità, si rivolge poi direttamente ai sensi di chi ascolta, a una ricezione non razionale, e forse perché è esso stesso metafora dell'ebbrezza dei sensi, dell'atto sessuale. La piccola commissione per la ballerina, nata in fretta come soluzione di ripiego, da parte di un autore che non la tenne mai in eccessiva considerazione, aveva così le connotazioni giuste per essere veicolata agevolmente attraverso i circuiti di comunicazione di massa, per imporsi all'immaginazione dell'ascoltatore, per affermarsi come uno dei pochi veri grandi classici del Novecento.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel panorama della musica europea del Novecento, la figura di Maurice Ravel si colloca a sé per una singolare ventura: quella di essere riuscito a conciliare le opinioni dei critici musicali con i successi che i più vari pubblici gli tributavano. Ma, con l'andare degli anni, questo universale consenso è apparso quanto meno sospetto al versante «progressista» della musicologia, pericolosamente incline a qualificare come regressivo chi avesse scritto qualcosa ancora vagamente tonale e definire come aggiornato e rispettabile chi avesse comunque sposata la causa della dissonanza e della «lacerazione». Simili qualificazioni manichee (che pure hanno trovato un autorevolissimo sostenitore in Theodor W. Adorno) appaiono oggi viziate di un certo schematismo riduttivo, anche se tardano a scomparire, e dopo una sorta di esilio, in questa particolare temperie che assiste alla liquidazione di certe avanguardie, il nome di Ravel affiora sempre più insistentemente quando si parla dei più interessanti musicisti di oggi (e pensiamo a Salvatore Sciarrino, ma anche al giovanissimo Carluccio, e al «classico» Bussotti). I cento anni che ci separano dalla sua nascita non hanno minimamente offuscato il fascino e la lezione di stile che emanano dalla sua musica, anche se ad alcuni Ravel potrà non apparire un prepotente creatore di concezioni nuove, per non aver voluto mai abbandonare l'impianto tonale ed essersi limitato a una dimensione espressiva di comunicabilità raffinata.

Eppure, il suo pianismo ha soppiantato l'iridescenza morbida dei movimenti accordali di Debussy con la linearità della melodia netta e tornita; la sua tastiera può gareggiare per la varietà della timbrica ora con il clavicembalo, ora con la percussione, ora con la chitarra; la sua orchestra si distingue per la chiarezza e l'originalità dell'impiego dei singoli strumenti, ascoltati sempre e valorizzati nelle loro peculiarità coloristiche; per la frequenza di passaggi bitonali e politonali che pure mantengono un tipico carattere di plausibilità, accettabile anche dalle orecchie meno disposte all'ascolto di musica moderna.

Suscita pertanto un certo stupore la strana accoglienza riserbata al «Boléro» nel 1928: alla prima, raccontano le cronache, una delle solite «signore da concerto», aggrappata alla sua poltrona, gridò «Pazzo! Pazzo!». Eppure Parigi era stata teatro di ben altre battaglie: a quindici anni prima — riferiamo l'evento più significativo — risaliva lo scandalo del «Sacre du printemps» di Strawinsky. Che cosa dunque aveva impressionato il pubblico parigino nella partitura di Ravel? La celebre ballerina Ida Rubinstein (interprete, fra l'altro, del «Martyre de S. Sébastien» di Debussy) aveva chiesto a Ravel la musica per un balletto: per il musicista era una stupenda occasione per provare ancora una volta la gioia di ispirarsi a movimenti di danza. Quante sue pagine ne sono pervase: dalla giovanile «Habanera» alla «Valse» al «Menuet antique», e poi la Pavana, il Rigaudon, i ritmi americani ne «L'enfant et les sortilèges» e quelli spagnoli ne «L'heure espagnole». Il «Boléro» conferma questa curiosità tutta raveliana per i ritmi di danza, che giungono qui a un inedito parossismo; l'attrazione sempre rinnovantesi per la terra di Spagna, a lui, basco, tanto vicina; la finezza e l'originalità nell'uso degli strumenti.

Di questa danza popolare spagnola, già entrata nel linguaggio della musica colta con Chopin e con gli operisti italiani dell'Ottocento, Ravel evidenzia l'essenza ritmica, che costituisce l'ossatura del pezzo, nel quale, secondo una dichiarazione dello stesso Ravel «non c'è forma propriamente detta, non c'è sviluppo, non c'è o non c'è quasi modulazione». Ecco dunque l'elemento di assoluta novità: tutto l'interesse del musicista è concentrato sullo strumentale, unico tratto di varietà nella monotona, ossessiva ripetizione della melodia iniziale: dall'enunciazione in pianissimo affidata al flauto sì passa ad altri timbri o gruppi di strumenti, in un crescendo di allucinante effetto emotivo, che si placa in una risolutiva modulazione al mi maggiore, poco prima della fine.

Uno studioso francese ha scritto acutamente che in Ravel «la danza è il manto isolante del suo sogno», lo strumento cioè di cui si serve per simulare il distacco dalla materia cantata, per nascondere il fondo della sua anima «appassionata», una sorta di graticcio in cui figure e sentimenti s'irrigidiscono in una fissità e lontananza stranianti. Anche con il «Boléro» avviene qualcosa di simile: qui la danza esprime inizialmente un senso di apatia, di assenza di passione, di contemplante immobilità, ma un fremito angoscioso non tarda a insinuarsi nel quadro e montando via via giunge a travolgere, con l'ossessionante ripetersi del modulo ritmico-melodico, la calma semplicità della danza popolare: la coscienza dell'uomo contemporaneo riprende amaramente i suoi diritti, uscendo dall'incantato vagheggiamento di tempi e regioni lontane da cui il «Boléro» era germinato.

Cesare Orselli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 Gennaio 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 26 Novembre 2005
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 30 ottobre 1976


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Ultimo aggiornamento 20 febbraio 2019