Sinfonia n. 41 in do maggiore "Jupiter", K 551


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro vivace (do maggiore)
  2. Andante cantabile (fa maggiore)
  3. Minuetto e trio. Allegretto (do maggiore)
  4. Molto Allegro (do maggiore)
Organico: flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 10 agosto 1788
Edizione: Cianchettini & Sperati, Londra 1800 ca.
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart compose le sue tre ultime Sinfonie - in mi bemolle maggiore K. 543, in sol minore K. 550 e in do maggiore K. 551 - in tre soli mesi, tra il giugno e il 10 agosto 1788. La ripresa in maggio del Don Giovanni a Vienna, dopo il trionfo della prima a Praga, non aveva sortito il successo sperato e la situazione finanziaria del musicista si era fatta preoccupante. Ne fanno fede, amaramente, le incalzanti richieste di denaro rivolte all'amico e compagno di loggia massonica Michael Puchberg, e la conseguente necessità di cambiare alloggio, spostandosi dal pieno centro di Vienna alla meno costosa periferia. Il 27 giugno la morte ad appena sei mesi di età della figlioletta Theresia pesò ulteriormente su equilibri psichici e familiari già precari. Tutto ciò concorre a fare di quell'estate del 1788 uno dei periodi più infelici della vita di Mozart. La liberazione avvenne ancora una volta col lavoro creativo, come in una lotta incessante tra l'ombra e la luce: sicché può sorprendere ma non meravigliare la straordinaria piena creativa di quel periodo, con la composizione febbrile dei tre capolavori sinfonici accanto ad altre pagine importanti di musica da camera. Al culmine della triade dell'88, e quasi suggello luminoso di tutto il sinfonismo mozartiano, la Jupiter celebra il trionfo di un magistero tecnico ed espressivo tanto spontaneamente esibito quanto pazientemente costruito sul confronto con i grandi modelli del presente (Haydn) e del passato (il contrappunto bachiano e hàndeliano). Dopo la scelta di un organico più raccolto per la Sinfonia in sol minore, Mozart ritorna al fasto timbrico di quella in mi bemolle, con trombe e timpani, ma senza i clarinetti: una tavolozza timbrica tesa a valorizzare il carattere vittoriosamente affermativo di un lavoro che, con la lucentezza abbagliante delle sue astratte geometrie formali, si allontana non solo dalla robusta opulenza della Sinfonia K. 543 ma anche dal cupo patetismo della Sinfonia in sol minore K. 550. La Sinfonia K. 551, nella sua maestà solare intonata a olimpica grandezza (da cui il nome di Giove, probabilmente attribuitole dall'impresario londinese Johann Peter Salomon, l'alfiere di Haydn), coniuga la solidità comunicativa di un do maggiore dimostrativamente epico e monumentale con la sottigliezza a tratti perfino inquietante della ricerca contrappunstica: come a voler mettere alla prova la coscienza in una conquista professionale perseguita e goduta in orgogliosa solitudine con la sfida a un altro da sé, di natura tanto rigorosamente impegnata quanto libera, leggera e ironicamente ambigua.

La Jupiter è una sorta di apoteosi della forma sonata, estesa eccezionalmente a ciascuno dei quattro movimenti, e tuttavia rivitalizzata da un così organico uso del contrappunto da conquistare nuovi spazi espressivi, arcate e tessiture sinfoniche fino ad allora mai esperite.

Nell'esposizione del primo movimento, Allegro vivace in do maggiore e senza introduzione, la geometria sonatistica, benché disegnata sulla trama abituale dei due temi, tende ad allargarsi nella complessità di profondi contrasti psicologici. Prima ancora che venga presentata la seconda idea tematica, gli elementi del primo tema entrano a far parte di un capillare processo di elaborazione, dilatatosi in un'ampia transizione di ben cinquantacinque misure. Una pausa teatrale separa questa sezione dall'atmosfera del secondo tema, che dall'iniziale grazia quasi affettuosa precipita fuggevolmente in un tono tragico e pensoso. Né è ancor tutto. Prima di chiudere la parte espositiva Mozart introduce un terzo tema nella coda, ancora isolato da una pausa d'effetto. Si tratta della citazione scherzosa di un'arietta buffa (Un bacio di mano K. 541) composta tre mesi prima per il basso Francesco Albertarelli, l'interprete viennese del Don Giovanni: un tema all'apparenza innocente e leggero, pronto tuttavia a lasciarsi frammentare nella prima parte dello sviluppo in un denso gioco contrappuntistico. L'altra metà dello sviluppo si richiama invece imperiosamente al tema principale d'esordio, introdotto da una falsa ripresa del tono della sottodominante. La vera ripresa alla tonica si presenta ulteriormente ampliata e arricchita nella strumentazione.

Anche nell'Andante cantabile in fa maggiore è rinvenibile una struttura sonatistica basata sull'opposizione di una serena melodia enunciata dai violini e dalle viole con sordina con una seconda idea in do minore di carattere agitato e drammatico. Un terzo tema di fluente effusione melodica riporta di nuovo nel modo maggiore; ma sarà la seconda idea tematica in do minore, con le sue affannose sincopi e le increspature delle coppie di biscrome, a dominare interamente lo sviluppo. La ripresa è variata e viene preparata dalla riapparizione del terzo tema con funzione cadenzante, per lasciare spazio alla melodia iniziale solo nella coda, in un sottile gioco di incastri e di ricreazioni del materiale espositivo.

Anche la forma binaria del Minuetto è dilatata dalle dimensioni che vi assume la seconda parte, impreziosita da un sinuoso disegno cromatico discendente, in contrappunto con se stesso, che dà inopinatamente origine a una sezione di sviluppo di stampo sonatistico. Ricollegandosi a questa figura, le prime quattro note della sezione mediana del Trio anticipano il tema-soggetto, quasi "motto", con cui si apre, sottovoce e in tono di mistero, il Finale, Molto allegro. Per quanto Mozart avesse già utilizzato questo incipit in almeno una decina di composizioni precedenti, a cominciare dall'Andante della sua prima Sinfonia K. 16, esso si presenta ora come una emblematica sintesi del pensiero sonatistico e di quello della fuga, quasi a creare un innesto del monotemarismo contrappuntistico barocco nei principi dialettici del linguaggio classico.

Cinque idee tematiche (tre appartenenti al primo tema, due riservate al secondo) si succedono nella imponente esposizione, rivelando nessi intimi e strette parentele. Dopo il ritornello, un breve sviluppo fugato combina ed elabora materiale proveniente dalla prima sezione tematica. Ma questo processo non si esaurisce nello sviluppo, prolungandosi direttamente nella ripresa, dove raggiunge punte di tensione armonica sorprendenti e quasi estreme. Infine tutti e cinque gli incisi tematici ricorrono nel grandioso edificio polifonico della famosa coda: essa si distende ancora per quasi cento battute, prima nella calma di una solenne dilatazione in valori larghi, poi nella stretta festosa e incisiva. Tale limpido furore contrappuntistico si placa solo nella fanfara gioiosa del congedo, come in un gesto teatrale definitivo che racchiuda un appello all'eternità.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel breve spazio di tre mesi, durante l'estate del 1788, in un momento della sua vita rattristato dallo scarso successo del Don Giovanni a Vienna, dalla povertà, dalla morte della piccolissima figlia Theresia, Mozart scrisse, forse in vista di qualche progettata "accademia", le tre Sinfonie che sarebbero state le sue ultime, nate fra le amarezze ma anche attingendo a un misterioso e inesauribile fondo di gioia musicale. Dopo la calda luminosità della Sinfonia in mi bemolle maggiore K. 543, a cui la solennità di certi "segnali" massonici non toglie niente dello smalto festoso, e la drammaticità raccolta e nondimeno tormentata della Sinfonia in sol minore K. 550, la Sinfonia in do maggiore K. 551 (terminata in partitura il 10 agosto 1788) celebra il trionfo di un magistero tecnico ed espressivo tanto spontaneamente dissimulato quanto pazientemente costruito nel confronto con il presente (Haydn) e con il passato (lo studio del contrappunto bachiano e händeliano), fino a creare una sintesi emblematica del pensiero sonatistico classico e della fuga barocca. Dopo la scelta di un organico più concentrato per la Sinfonia in sol minore, Mozart ritorna al fasto timbrico di quella in mi bemolle, reintegrando trombe e timpani, ma rinunciando ai clarinetti: una tavolozza timbrica tesa a valorizzare il carattere vittoriosamente, solennemente affermativo di un lavoro che, con la lucentezza abbagliante delle sue snelle geometrie formali, si allontana, per superarli, non solo dalla robusta opulenza della Sinfonia K. 543 ma anche dal cupo patetismo della Sinfonia K. 550.

La Sinfonia K. 551, nella sua maestà solare intonata a olimpica grandezza (donde il soprannome di Jupiter, postumamente attribuitole dagli editori, forse su suggerimento dell'impresario londinese Salomon), coniuga la solidità comunicativa di un do maggiore dimostrativamente epico e monumentale con la forza inquietante della ricerca contrappuntistica: come a voler mettere alla prova una conquista, artistica non meno che professionale, perseguita in orgogliosa solitudine, oltrepassando le stesse delimitazioni temporali e spaziali della forma sinfonica. La Jupiter è una sorta di apoteosi dei principi dialettici della forma-sonata, estesi prodigiosamente a ciascuno dei quattro movimenti e tuttavia innervati da un uso del contrappunto così organico da aprire nuovi orizzonti espressivi: di cui il grandioso edificio polifonico della fuga finale si pone al vertice come il capolavoro dello stile classico nella sua stagione più matura.

Il movimento iniziale (Allegro vivace), privo di introduzione lenta quasi a voler entrare subito autorevolmente in mediar res, si apre con un incipit tra i più famosi, la proposta delle notine "in levare" dell'orchestra che piomba assertivamente sull'accordo di do maggiore d'impianto, cui segue il più flebile inciso degli archi. E' quasi una commediola a due motti musicali che si prolunga in un fine tessuto di elaborazione prima che subentri con la sua grazia il secondo tema, e poi un tema ulteriore, apparentato a un'arietta che Mozart aveva scritto qualche mese addietro per l'edizione viennese di un dramma giocoso di Pasquale Anfossi. Anche quest'idea sorridente si incorpora a fondo nella ricca trama contrappuntistica che caratterizza lo sviluppo, rivelando un tratto peculiare, supremamente gestito, sotteso alle sue olimpiche certezze: l'incrocio di "alto" e "basso", facile e difficile, severo e popolare.

L'assorto Andante cantabile in fa maggiore ha anch'esso una latente struttura sonatistica nell'interazione raffinata delle due idee principali: quella iniziale dei violini con la sua inconfondibile movenza di candore (prolungata e incrociata con la sua prosecuzione, in un respiro più ampio e drammatico che sale dai suoni gravi dell'orchestra), seguita da una seconda sezione espositiva dominata da una nuova idea, affine alla prima nel profilo ma di tutt'altra intonazione. Essa prende slancio e dà all'Andante quell'improvvisa, emozionante apertura sul sublime che in Mozart è una porta sempre aperta a spalancarsi. Porta che, come in questo caso, gira sui cardini delle straordinarie caleidoscopie armoniche in modo minore, animate da sincopi e dissonanze che drammatizzano stilemi arcaici e chiesastici. Il Minuetto è una pausa di grazia volteggiante, nelle cui pieghe l'orchestra lascia intendere il plastico tema-soggetto del colossale Finale, già usato da Mozart in vari lavori, soprattutto a destinazione sacra: le famose quattro note da cui il tema-soggetto prende avvio hanno infatti un tono di oggettività atemporale che ne rivela l'origine ecclesiastica e al tempo stesso la trasfigura in materiale di costruzione sinfonica. E' un Finale in cui la fuga e la forma-sonata, il passato e il presente, si fondano in una struttura perfettamente compiuta: il principio dell'imitazione e della lavorazione del soggetto fra le varie voci, e quello dialettico della contrapposizione fra aree tematiche e armoniche, vi hanno pari peso: di fatto tutto il materiale tematico deriva da quel tema-soggetto per via di procedimenti squisitamente contrappuntistici come l'inversione ed elaborativi come la variazione. Questi procedimenti si prolungano fin nella ripresa e nello stretto conclusivo, dove i temi sono presentati insieme, sovrapposti e trionfanti. Mozart si impegna e si diverte a rendere il più possibile ampia, tesa, articolata, sorprendente la conciliazione tra i principi della fuga e della forma-sonata, combinando con estrema naturalezza elementi "gioviali" ed "ermetici". Viene così realizzato il sentimento della Sinfonia come estesa geometria e costruzione salda, oggettiva campitura formale che è il risultato di un pensare in grande, senza che venga abbandonata la ricerca di un carattere e di un colore dell'espressione, la conquista più evidente del tardo stile mozartiano.

Segio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

È intorno alla metà del 1788, tre anni prima della morte, che Mozart scrive le sue ultime tre Sinfonie, K. 543, 550, 551, completate rispettivamente, secondo il catalogo personale dell'autore, il 26 giugno, il 25 luglio e il 10 agosto. Nei giovanili anni salisburgesi la creazione di lavori sinfonici, destinati a una funzione di intrattenimento, era stata una prassi piuttosto consueta per il compositore, legata a commissioni nobiliari o a specifiche occasioni celebrative, e Mozart vi si era dedicato con regolarità. Dopo il trasferimento a Vienna del 1781, venuti meno i rapporti con la corte salisburghese e con gli ambienti nobiliari della cittadina, le Sinfonie si diradano nel catalogo del compositore, e non è un caso che la nascita di lavori di questo tipo appaia legata spesso a città diverse da Vienna. La Sinfonia K. 385 è detta "Haffner" perché riprende la musica di una precedente Serenata scritta per la rinomata famiglia salisburghese degli Haffner; le Sinfonie K. 425 e K. 504 sono dette rispettivamente "Linz" e "Praga" perché legate a visite in queste due città.

Piuttosto oscure sono, invece, le circostanze della nascita e la destinazione delle ultime tre partiture sinfoniche. È possibile che l'autore pensasse alla loro pubblicazione, o anche a un impiego per un viaggio a Londra che non si concretizzò mai; o ancora che le tre Sinfonie siano state concepite in funzione di una serie di "accademie" - ovvero concerti per sottoscrizione - destinate a raccogliere fondi, accademie delle quali sembra si sia effettivamente tenuta solo la prima, per mancanza di sottoscrittori. È assai probabile comunque che le partiture siano state eseguite nel corso di alcuni viaggi del 1789 e del 1790 in diverse città tedesche. Come è anche verosimile che le due differenti versioni della Sinfonìa K. 550 - con e senza clarinetti - siano state approntate in occasione di due diverse esecuzioni; quasi certamente la versione con clarinetti venne eseguita in un concerto dell'aprile 1791 sotto la direzione di Antonio Salieri.

Le ultime tre Sinfonie portano al più alto grado quel processo di maturazione che si riscontra nella tarda produzione strumentale di Mozart. La loro straordinaria ricchezza musicale deriva dalla stratificazione di numerosi stili, di diversa origine e provenienza. Soprattutto, si manifesta la straordinaria abilità raggiunta dall'autore nelle elaborazioni tematiche, nella padronanza delle forme, negli effetti strumentali, sulla base dell'esempio di Franz Joseph Haydn. I confini della costruzione sinfonica si dilatano così fino ad assumere delle dimensioni assai più vaste rispetto alle Sinfonie scritte da Mozart appena un decennio prima; e, parallelamente, anche i contenuti della Sinfonia divengono più ambiziosi, trasformando lo stile di intrattenimento in una speculazione di alta complessità, destinata a un pubblico di intenditori.

Questo stile sinfonico è sviluppato in ciascuna delle tre ultime partiture secondo categorie affettive differenti, fortemente connesse alla scelta della tonalità di base: il mi bemolle maggiore (K. 543) era la tonalità legata a nobiltà e profondità espressiva, il sol minore (K. 550) quella del patetismo, il do maggiore (K. 551) quella di dinamismo, positività, eroismo marziale. Ogni Sinfonia, dunque, possiede una propria luce che illumina diversamente, e per contrasto, le altre due. È appunto in direzione delle categorie espressive legate al do maggiore che si sviluppa la Sinfonia "Jupiter", che deve il suo nomignolo, postumo, editoriale ed apocrifo, all'equilibrfo interno, olimpico, dei due grandi movimenti estremi, animati da una dialettica interna che si risolve nella conciliazione degli opposti.

Il grande Allegro vivace che apre la Sinfonia si basa su elementi tematici assai diversi fra loro: una marcia festosa, un tema cantabile di gusto galante, esposto dai violini e, verso la fine della esposizione, un terzo tema di opera italiana (tratto dall'Arietta buffa "Un bacio di mano" K. 541, scritta poco tempo prima per essere inserita in un'opera di Pasquale Anfossi). Il percorso che allinea questi temi è, tuttavia, piuttosto frastagliato, fatto di ripetizioni che illuminano diversamente i medesimi temi, di improvvise pause e apparenti divagazioni; eppure si impone la perfetta consequenzialità di tutto questo discorso musicale, per cui le tensioni accumulate lungo l'esposizione vengono stemperate dal più leggero tema di opera buffa.

È proprio da questo tema che parte la sezione dello sviluppo, che riserva quasi subito una sorpresa; il tema "buffo" diventa protagonista infatti di una elaborazione "dotta", contrappuntistica, in stile antico; è questo un elemento tipico dell'ultimo Mozart, derivato dallo studio della musica di Händel e Bach, che il compositore aveva imparato a conoscere frequentando la casa viennese di un facoltoso appassionato con una passione "antiquaria", il barone Gottfried van Swieten. Lo sviluppo approda poi a una finta ripresa - espediente tipicamente haydniano - e quindi alla vera riesposizione; non si è inteso, nello sviluppo, il tema di marcia, che quindi si ripresenta con rinnovata energia, proponendosi come il carattere più autentico del movimento, che i vari temi e procedimenti secondari non fanno che sottolineare, fino alla sua chiara affermazione nella coda.

Rispetto a questo complesso tempo iniziale, il seguente Andante cantabile - in cui significativamente tacciono trombe e timpani - segna un forte trapasso espressivo; si impone subito la melodia appunto cantabile dei violini, a tratti raddoppiata da altri strumenti; essa ritorna più volte con varie sembianze e intrecci che la impreziosiscono, interrotta da improvvisi drammatici chiaroscuri (mirabile il rilievo lirico e coloristico dei fiati), da un nuovo tema ascendente, e condotta attraverso peregrinazioni sempre consequenziali ma spesso non prevedibili; la forma della canzone viene qui dilatata fino ad assumere altissime ambizioni concettuali.

Il Minuetto, in terza posizione, non ha solo sembianze di danza, ma con le trombe e i timpani ritrova accenti marziali che riconducono la Sinfonia verso gli stilemi del do maggiore. Si tratta quasi di una introduzione verso ciò che seguirà.

L'intera Sinfonia, infatti, gravita verso il finale; un movimento che ha un rilievo unico in tutto il sinfonismo di Mozart, per il peso predominante che vi ha la tecnica contrappuntistica, tanto che spesso si è impropriamente parlato di "fuga conclusiva". In realtà questo finale rimane saldamente ancorato alla forma-sonata; esso si apre con un tema già molte volte usato da Mozart (due precoci Sinfonie, la Sinfonia K. 319, il Credo della Messa K. 192), e noto anche a Haydn (Sinfonia n. 13, del 1763); in definitiva un tema dal carattere neutro, utile per impieghi molto diversi. Si aggiungono nella esposizione del movimento, altri quattro frammenti tematici, ascoltati di seguito e anche combinati fra loro. Mozart riesce dunque a fondere due principi di scrittura contrastanti, quello di un sinfonismo "moderno" e dialettico e quello dell'antico contrappunto, ossia dell'intreccio serrato di più melodie parallele ed autonome. Così i cinque differenti temi del movimento - protagonisti anche di uno sviluppo non lungo ma molto complesso - vengono nella coda ripresi contemporaneamente e sovrapposti, con un intreccio di linee musicali di straordinario virtuosismo compositivo. L'esultanza di trombe e timpani conclude la Sinfonia: una affermazione di fede nell'ordine e nel razionale, condotta attraverso la limpida, programmatica trasparenza del do maggiore.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Le ultime tre sinfonie di Mozart recano le date rispettivamente del 26 giugno, del 25 luglio e del 10 agosto 1788: dunque questi tre capisaldi della storia della sinfonia furono composti con una rapidità e una facilità stupefacenti, perfino inquietanti! Ma questa era la prassi, prima dei tormenti creativi del romanticismo. Piuttosto - poiché queste sinfonie non furono mai eseguite durante i tre anni di vita che restavano a Mozart - dovrebbe stupire che il compositore abbia dedicato tanto (!) tempo a lavori che non avevano una precisa destinazione, contravvenendo alla regola universale di lavorare solo su commissione o comunque in vista d'una esecuzione garantita e immediata. Si può avanzare l'ipotesi che Mozart le abbia scritte con la speranza d'inserirle nei concerti a sottoscrizione da lui organizzati periodicamente a Vienna e che poi il progetto non sia andato in porto, a causa della sua declinante fortuna presso il pubblico e del conseguente diradamento delle sue esibizioni. In tal caso sarebbe stata soltanto una previsione sbagliata ad assicurare alla posterità questo splendido dono!

Se non si conosce con certezza l'occasione esteriore della nascita di queste sinfonie, si può almeno cercare di capire quali furono le ragioni profonde che indussero Mozart a comporle. Dobbiamo risalire indietro di qualche anno. Nel 1782 Haydn aveva pubblicato i Quartetti op. 33, "scritti in una maniera nuova e particolare", che reinventavano radicalmente il genere del quartetto: l'attento studio di quei sei straordinari capolavori e il desiderio di inoltrarsi lungo la strada da essi indicata sono evidenti nei sei quartetti che Mozart iniziò a comporre subito dopo e che dedicò a Haydn. Nel 1787 questi pubblicò le sei Sinfonie n. 82-87 note come "Parigine", che impressero nuovi grandi sviluppi al genere sinfonico: pochi mesi dopo Mozart scrisse le tre sinfonie, ancora una volta seguendo l'esempio del più anziano amico e maestro, e forse anche superandolo. Sarebbe stato questo il suo testamento nel campo della sinfonia, ma lui, a soli trentadue anni, non poteva saperlo.

Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n. 35 "Haffner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.

La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile, che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature orchestrali. Mozart afferrò pienamente queste nuove possibilità e, come se avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.

L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni sinfonia esibisce un proprio carattere, difficilmente definibile ma inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.

Per l'ultima sua sinfonia Mozart scelse il do maggiore, la tonalità della luce zenitale, solare e incontaminata. Questo luminoso splendore, unito all'olimpica serenità, alla maestà delle dimensioni e al tono solenne e grandioso, hanno guadagnato alla Sinfonia n. 41 K. 550 il titolo di "Jupiter". L'oggettività non alterata da passioni umane si manifesta anche nell'impiego intensivo del contrappunto, soprattutto nel finale: rifulgono qui le doti contrappuntistiche dell'allievo di Padre Martini e dell'ammiratore e trascrittore di Bach e Haendel, ma è un contrappunto di nuova concezione, libero da ogni residuo di scolasticismo, da ogni compiacimento per l'esibizione di abilità fine a se stessa, da ogni barocca volontà di maraviglia.

Nell'Allegro vivace iniziale i temi - veri gruppi tematici, enormemente più complessi dei temi di Haydn - danno vita già al loro interno a tutto un mondo di contrasti musicali ed espressivi. Il movimento si apre con due energiche terzine ascendenti e con una risposta vaga e fluttuante, in ritmo puntato. Segue un episodio simile a una fanfara trionfale, che si arresta in un unisono sulla dominante: con alcune varianti viene allora ripetuta questa prima parte e il tema iniziale è adesso completato da flauto e oboi con un terzo motivo, una scala discendente. Viene quindi esposto, prima dai soli archi e poi anche da fagotto e flauto, il secondo tema, scorrevole e sicuro; una lunga pausa precede lo scoppio di un episodio tragico, dove ricompare, trasformata ed energica, l'indecisa risposta del primo tema. L'esposizione sembrerebbe conclusa, ma contro ogni regola appare un terzo tema, una vivace melodia da opera buffa utilizzata da Mozart alcuni mesi prima nell'aria "Un bacio di mano", sulle parole "Voi siete un po' tonto, Mio caro Pompeo, L'usanze del mondo, Andate a studiar". Proprio quest'arietta, completamente trasformata, trattata contrappuntisticamente e modulante a lontane tonalità, è alla base di gran parte dello sviluppo, fino alla ricomparsa del primo tema; ma si tratta d'una "falsa ripresa", che dà il via a un ulteriore sviluppo, basato sul contrasto tra la terzina ascendente di apertura e una quartina discendente già comparsa nella pomposa fanfara dell'esposizione. La ripresa vera e propria di tutta la prima parte e una sintetica coda concludono il movimento.

Nell'Andante cantabile, dopo una breve introduzione degli archi con sordina, costituita da un calmo inciso cui risponde un forte unisono di tutta l'orchestra, si dispiega un'effusa melodia dall'ampio respiro, prima ai violini, poi agli oboi, al flauto e al fagotto. Alla comparsa del secondo tema, questa calma atmosfera cede il passo a frementi e dolorosi sincopati degli archi, che si placano in una melodia dei primi violini, accompagnata da arpeggi dei secondi violini e da note tenute dei fiati. L'agitato andamento singhiozzante ricompare nel breve sviluppo, mentre la ripresa, liberissima, introduce un episodio dalle sonorità quasi eroiche e si conclude con il ritomo della calma melodia che costituiva il secondo episodio del secondo tema. La breve e suggestiva coda fu probabilmente aggiunta in un secondo momento.

Un tema nient'affatto danzante, anzi simile alla formula che nella musica barocca era il simbolo del dolore, conferisce un carattere piuttosto severo e solenne al Menuetto, rafforzato dal fitto trattamento contrappuntistico. Nel Trio è da segnalare la seconda sezione, che enuncia a piena orchestra il motivo che aprirà il movimento finale.

Nonostante lo straordinario sviluppo dei precedenti movimenti, il culmine di questa sinfonia è proprio il finale, Molto allegro, modificando così i rapporti consueti, che sbilanciavano tutto il peso della composizione verso la prima metà. Questo finale non è in forma-sonata e non è nemmeno una fuga, ma allude liberamente ad entrambi i generi, tanto che - con un orrido termine desunto con un po' di fantasia dalla fisica - lo si potrebbe definire un "fugoide sinfonico". Aperto da un motto di quattro note, ricavato da un Magnificat gregoriano già utilizzato da altri compositori e dallo stesso Mozart, questo movimento è basato su cinque soggetti, riuniti in due complessi gruppi tematici, che danno vita ad uno sviluppo straordinariamente elaborato. Con gioiosa disinvoltura Mozart gioca qui con tutti gli artifici del contrappunto, raggiungendo il culmine nelle trenta battute di vera e propria fuga che, introdotta dall'enunciazione misteriosa e sommessa delle quattro note del motto iniziale, presentate ora per moto contrario e nella forma inversa, esplode poi in un groviglio armonioso in cui s'intrecciano tutti e cinque i soggetti.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 Febbraio 1998
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Orchestra dell'Arena di Verona,
Verona, 11 Aprile 2003
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 15 Marzo 2008
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 maggio 2006


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Ultimo aggiornamento 18 novembre 2015