Sinfonia n. 40 in sol minore, K 550


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Molto allegro (sol minore)
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Minuetto e trio. Allegretto (sol minore)
  4. Allegro assai (sol minore)
Organico: flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 25 Luglio 1788
Edizione: Cianchettini & Sperati, Londra 1810
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La nostalgia quasi dolorosa che Cajkovskij nutriva verso il passato musicale classico aveva le sue radici nell'amore sconfinato per Mozart. Musicista del suo tempo, viveva nell'"estasi agonizzante" dei romantici coevi, ma l'"estasi estetica", la gioia della pura bellezza la traeva interamente dal salisburghese: "La musica di Don Giovanni è stata la prima ad avere su di me un effetto sconvolgente... a Mozart sono debitore della mia vita dedicata alla musica". Parole definitive che riallacciano anche corrispondenze segrete. Nel Don Giovanni e nell'ultima produzione sinfonica sta anche il Mozart più privato e visionario, ancora un musicista che scrive per se stesso, per privatissime raisons du coeur e senza una specifica commissione.

Per questo delle ultime tre Sinfonie (K. 543, K. 550, K. 551) si parla solitamente come di un testamento spirituale del genere Sinfonia che, pur salvaguardando le specifiche peculiarità di ciascuna, le presenta come un unico grande affresco creativo. Esse nacquero infatti tutte nel giro di pochi mesi estivi del 1788 (in realtà 45 giorni, dal 26 giugno al 10 agosto!), uno dei periodi più tormentati dell'esistenza del compositore, deluso per il debole successo viennese del Don Giovanni, e trasferitosi in una casa alla periferia di Vienna pochi giorni prima in seguilo a ristrettezze economiche alle quali sopperiva il sostegno di un confratello, il commerciante Puchberg. Mozart probabilmente contava di poter fare eseguire le Sinfonie, e forse anche per questo fu così veloce nello scriverle, ma il desiderio non si realizzò mai durante la sua vita, circondando questa estrema produzione di un'aura di mistero sulla esplosione del suo genio creativo. Nello schema analogo dei movimenti delle Sinfonie (Allegro-Andante-Menuetto-Finale) vi fu chi, come Paumgartner (che le avvicinava alle ultime Sonate per pianoforte), ravvisava un disegno quasi programmatico di successione di stati d'animo: una "vigorosa energia nel primo tempo, massima intensità emotiva nel secondo, vittoriosa affermazione di vita nel Finale".

Letta nell'ottica degli ideali massonici si direbbe una sorta di via verso la luce fondata sulla fiducia nel Bene. Un "sottotesto" non impossibile da leggervi dato che, a ben vedere, oltre al numero delle Sinfonie - "tre" per l'appunto - esso si potrebbe ravvisare anche nella scelta delle tonalità di impianto: mi bemolle, sol minore, do maggiore, le tre fondamentali della Zauberflöte, cioè proprio il percorso dalla "verità" dei tre accordi "massonici", all'inganno della Regina della Notte, alla luminosa apparizione di Sarastro nel Primo Atto.

In questa triade alla K. 550 in sol minore spetterebbe dunque la funzione di Sinfonia notturna, o romantica, o sturmisch. La tonalità e l'organico la collegano infatti al passato Mannheimer di Mozart, che di altre Sinfonie in sol minore scrisse solamente la K. 183 nel 1773. In questa opera giovanile, il tono inquieto e il colore "sombre" sono ascrivibili ad una catalogazione affettiva preromantica rispecchiata anche nell'organico - oboi, fagotti e quattro corni.

Quindici anni dopo, Mozart, che pure aveva conosciuto e sperimentato l'uso dei clarinetti, li elimina dall'organico (li aggiungerà nel 1791 forse per un'Accademia) tornando a quel colore dominante, aggiungendo il flauto ed eliminando anche le trombe, presenti nella K. 543.

Tuttavia ciò che nella K. 183 era programmatico e proteso alla ricerca di una più originale veste formale, nella K. 550 si eleva ad un livello universale, tonalità e organico costituendo nient'altro che lo scheletro all'interno del quale si depositano, senza sforzo alcuno, contenuti più profondi, che lasciano in ombra il problema delle compresenze e della fusione degli stili "dotto" e "galante". Mozart qui non si lascia andare all'originalità dell'invenzione, non usa gesti retorici per comunicare contenuti "drammatici"; al contrario, sintetizza e asciuga il suo materiale, offerto in una luce nuova; l'economia dei mezzi appresa da Haydn si fa quasi ascetica, tanto da far dire a Giovanni Carli Ballola che la Sinfonia è "reticente", anche se così profondamente pervasa di una forza esplosiva che sembra trattenuta.

Esempio massimo di questa winkelmanniana "inquieta serenità" - se ci si passa l'ossimoro - è proprio il tema iniziale dell'Allegro molto, poche note carezzevoli sostenute dai soli archi in piano che immette in medias res, grazie all'anacrusi che sposta l'accento sul tempo debole, dando l'impressione di un rassegnato inesorabile cammino già da tempo intrapreso. La dialettica del conflitto si innesca però subito dopo la ripetizione del tema, in una figura formale di "ponte" assai affermativa e in forte che, dopo una pausa di straordinario effetto sospensivo, introduce il secondo tema, una figura discendente in sequenza cromatica, dal carattere sospiroso e vinto. Con questi pochi elementi Mozart costruisce l'edificio della sua forma-sonata, mirando alla trasparenza delle sezioni strumentali e alla dialettica tra archi e fiati. Il primo tema assurge a Leitmotiv ostinato di tutto il movimento, specie nello sviluppo, quando frammenti dello stesso vengono passati nelle diverse sezioni e gli archi acquistano forte impulso ritmico e dinamico.

Anche l'Andante in mi bemolle maggiore è scritto in forma-sonata. L'attacco presenta un classico "sipario" che passa il tema di note ribattute ad imitazione dalle viole ai violini, mentre gli archi gravi hanno un andamento cromatico. I fiati si inseriscono rispondendo ad una figura sospirosa di biscrome che fungerà in seguito da elemento di dialogo tra le sezioni. Anche nello sviluppo di questo movimento si intensifica il contrappunto, ma in direzione della rarefazione, sia dei temi frammentati che delle dinamiche che si stabilizzano, nella ripresa, nel piano.

Il Menuetto in sol maggiore presenta un tema dall'accento spostato sulla sincope del tempo debole che gli conferisce un andamento assertivo e pesante di Ländler viennese. Anche qui Mozart gioca sulle asimmetrie e sul fitto gioco dei contrappunti e del cromalismo. Solo il Trio scioglie il tono severo della danza in una nostalgia che emerge dalla trasparenza del gusto concertante tra le sezioni archi-fiati.

E la conclusione in piano prepara ancora l'attesa per l'attacco del Finale Allegro assai, in tempo tagliato. Il tema - una figura ascendente, in minime dal carattere vilain - è in stretta relazione con quello del Menuetto e dà l'avvio all'alternarsi di domande e risposte tra forte e piano - un'eco dello stile "a terrazze" di ascendenza barocca. Solo nella seconda parte si scioglie in una corsa disperata di tutti gli archi, mentre i fiati martellano omoritmicamente in forte. Il secondo tema, in si bemolle concede una brevissima pausa poiché, proprio come nel primo movimento, è ancora il primo tema ad affermarsi con prepotenza. È così anche nello sviluppo, la cui linea melodica Abert vede, non a torto,"corrosa fino all'osso nel fuoco della passione". Tutto si scarnifica infatti nel passaggio dei frammenti tematici ai singoli strumenti: anche il secondo tema, variato nella ripresa e "sporcato" con salti nella linea melodica e cromatismi, è appena un ritorno prima delle pesanti e disperate arcate ascendenti che concludono con violenza il movimento.

È in questa urgenza espressiva che trova spazio l'emozione dell'ascolto sempre rinnovato di quest'opera celeberrima. La straordinaria coerenza strutturale, l'unità tematica e la sapienza compositiva - come accade solo nei vertici dell'arte -, non si avvertono più; si fondono nel puro suono che si tramuta in noi nel segno di una bellezza commovente e imprescindibile.

Marco Spada

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le ultime tre sinfonie di Mozart recano le date rispettivamente del 26 giugno, del 25 luglio e del 10 agosto 1788: dunque questi tre capisaldi della storia della sinfonia furono composti con una rapidità e una facilità stupefacenti, perfino inquietanti! Ma questa era la prassi, prima dei tormenti creativi del romanticismo. Piuttosto - poiché queste sinfonie non furono mai eseguite durante i tre anni di vita che restavano a Mozart - dovrebbe stupire che il compositore abbia dedicato tanto (!) tempo a lavori che non avevano una precisa destinazione, contravvenendo alla regola universale di lavorare solo su commissione o comunque in vista d'una esecuzione garantita e immediata. Si può avanzare l'ipotesi che Mozart le abbia scritte con la speranza d'inserirle nei concerti a sottoscrizione da lui organizzati periodicamente a Vienna e che poi il progetto non sia andato in porto, a causa della sua declinante fortuna presso il pubblico e del conseguente diradamento delle sue esibizioni. In tal caso sarebbe stata soltanto una previsione sbagliata ad assicurare alla posterità questo splendido dono!

Se non si conosce con certezza l'occasione esteriore della nascita di queste sinfonie, si può almeno cercare di capire quali furono le ragioni profonde che indussero Mozart a comporle. Dobbiamo risalire indietro di qualche anno. Nel 1782 Haydn aveva pubblicato i Quartetti op. 33, "scritti in una maniera nuova e particolare", che reinventavano radicalmente il genere del quartetto: l'attento studio di quei sei straordinari capolavori e il desiderio di inoltrarsi lungo la strada da essi indicata sono evidenti nei sei quartetti che Mozart iniziò a comporre subito dopo e che dedicò a Haydn. Nel 1787 questi pubblicò le sei Sinfonie n. 82-87 note come "Parigine", che impressero nuovi grandi sviluppi al genere sinfonico: pochi mesi dopo Mozart scrisse le tre sinfonie, ancora una volta seguendo l'esempio del più anziano amico e maestro, e forse anche superandolo. Sarebbe stato questo il suo testamento nel campo della sinfonia, ma lui, a soli trentadue anni, non poteva saperlo.

Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n. 35 "Haffner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.

La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile, che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature orchestrali. Mozart afferrò pienamente queste nuove possibilità e, come se avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.

L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni sinfonia esibisce un proprio carattere, difficilmente definibile ma inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.

Due sole volte Mozart scrisse sinfonie in tonalità minore e in entrambi i casi si tratta del sol minore, che evocava in lui colori cupi e ad atmosfere patetiche e violentemente agitate. Quindi le due sinfonie in questione rivelano un particolare impegno espressivo, che viene a incrinare l'olimpica serenità della maggior parte delle sinfonie mozartiane. La prima (K. 183, del 1773) è infatti vicina allo spirito corrusco e tempestoso dello Sturm und Drang, il movimento letterario considerato un preannuncio del romanticismo. L'altra è la Sinfonia n. 40 K. 550, non per caso la prediletta nell'età romantica e ancora oggi la più popolare tra tutte le sinfonie di Mozart. Questa sinfonia è ammantata di colori quasi lividi, percorsa da un'agitazione oscura, angosciata da una tensione senza sbocco, come una tragedia interiore che si svolga sotto la minaccia d'una forza trascendente e fatale. La concezione illuministica del mondo, rischiarata dalla solare luce della ragione, si è incrinata e vediamo qui il volto problematico e ambiguo di Mozart, che lascia intuire mondi misteriosi, inaccessibili e incomprensibili con i mezzi della sola razionalità.

Subito, nel Molto allegro, il primo tema dei violini, che sorge sul brusio delle viole, introduce un'atmosfera inquieta e febbrile, che non svanisce completamente nemmeno con la brusca modulazione a si bemolle maggiore e col secondo tema, esposto dagli archi, cui rispondono oboi e clarinetti (è da notare che quest'ultimi, inizialmente non previsti nell'organico della sinfonia, furono aggiunti in una seconda versione). Nel successivo sviluppo l'affannoso primo tema viene portato a un punto di massima incandescenza attraverso tormentate modulazioni a tonalità distanti e alterazioni melodiche, con uno spirito agitato e ribelle che va ben oltre un semplice sviluppo tematico. Un passaggio scoperto degli strumenti a fiato porta alla ripresa, che riserva delle sorprese: la seconda parte del primo tema infatti diventa il teatro d'un nuovo scontro tra violini e bassi e il secondo tema è ora molto più sviluppato. Ormai ossessionante, il tema iniziale ritoma anche nella coda.

L'Andante - l'unico movimento della sinfonia in una tonalità maggiore, mi bemolle - ha un andamento cullante alla "siciliana" ed è arricchito da ornamentazioni violinistiche di gusto "galante", ma sotto quest'atmosfera luminosa s'insinuano inflessioni che sembrano una dolente confessione intima. Anche qui sono le viole a introdurre, mormorando, il lancinante primo tema, su cui, quando viene ripetuto, si stende una delicata melodia cantabile dei violini; lo riprendono i bassi, che v'innestano un motivo d'impalpabile leggerezza. Una frase dolcemente malinconica dei legni conclude la prima parte. Improvviso e forte entra il secondo tema, che prosegue con un delicato motivo di flauto e oboi. Inizia così un episodio sereno ma transitorio, perché l'atmosfera s'incupisce e il primo tema ricompare tormentato da cromatismi, in un tragico do minore. La ripresa riporta al mi bemolle maggiore, senza che però il clima si rischiari veramente.

Il Menuetto ha ben poco del carattere proprio di questa danza settecentesca: non solo è rude e quasi aggressivo, ma fa anche ampio uso d'un severo stile contrappuntistico. Al centro si apre un Trio dal carattere contrastante, lieve, idilliaco e un po' rococò.

L'Allegro assai finale si riallaccia per spirito, struttura e dimensioni al movimento iniziale. A stabilirne il tono espressivo è la focosa irruenza del primo tema, che, dopo la parentesi d'un secondo tema più lirico e malinconico, domina interamente lo sviluppo, passando attraverso contrasti tonali e dissonanze, con una tensione straordinaria, che tocca punti di violenza quasi insostenibile. Lo sviluppo culmina in un fugato potente e affannoso: anche questa tecnica dotta e severa assume qui tratti di parossistica veemenza. Questo fugato si blocca su un accordo di settima diminuita, carico di tensione e d'attesa: ricompare allora il primo tema, che dà inizio alla ripresa, interamente in sol minore, in cui non è luce di speranza ma solo una tragica angoscia, senza rassegnazione. Mai prima di allora una sinfonia aveva dato prova di tale energia e violenza.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Fra le più alte composizioni di Mozart, la Sinfonia in sol minore ha costituito fin dai primi dell'Ottocento un simbolo e un enigma: composta nell'estate del 1788 (porta la data 25 luglio), seconda di un ciclo costituito dalla Sinfonia in mi bemolle maggiore e dalla Jupiter, non si sa se abbia avuto un committente o se sia nata, come le altre - le ultime da lui composte prima della morte - come una sorta di confessione, in un momento di terribili avversità nella vita quotidiana. Quel che è quasi certo è che Mozart non potè mai ascoltarla, anche se una correzione nella parte originaria dell'oboe, passata parzialmente al clarinetto (dapprima escluso nell'organico strumentale di questa sinfonia), potrebbe far pensare ad un adattamento dell'opera in vista di una sua imminente esecuzione. È probabile, comunque, che i primi ascoltatori siano rimasti sconcertati dal singolare clima espressivo di questa sinfonia, dal suo cromatismo e dalle sue arditezze, pur in quel suo sfondo di «classica e inalterata bellezza» (Mila) che costituì un modello per tutti i sinfonisti del primo Ottocento, a partire da Beethoven. Ma mentre i musicisti del romanticismo guardarono alla Sinfonia in sol minore quasi come ad un irraggiungibile ideale di purezza (basta pensare ai giudizi di Berlioz in proposito), in tempi a noi più vicini la critica ha sottolineato piuttosto, di quest'opera, l'immediatezza espressiva, il languore, il sottile e sotterraneo turbamento che la pervadono, quasi appunto si tratti di un profetico e drammatico annuncio di tempi nuovi, affrontati in prima persona e senza reticenze, con tutto il peso ossessivo di tristissime esperienze quotidiane.

In realtà, i mesi dell'estate 1788 furono per Mozart particolarmente umilianti: è del 27 giugno la lettera al commerciante Puchberg - protettore, amico e «fratello» nell'osservanza massonica - nella quale Mozart accenna fuggevolmente ai suoi presentimenti di morte: «Venga a trovarmi; sono sempre in casa; nei dieci giorni che sono qui ho lavorato più che in due mesi nell'altro alloggio, e se non mi venissero così spesso pensieri neri (che devo scacciare con violenza) starei molto meglio». I «pensieri neri» sono proprio un inconfessato desiderio di morte, una volontà di arrendersi alle avversità della vita, forse un persistente ed inspiegabile languore di fronte alle avversità di tutti i giorni, quando il musicista doveva ricorrere a prestiti per sopperire alle più elementari esigenze della vita e andar di qua e di là in cerca di autorevoli aiuti, con la speranza che potessero esser davvero definitivi e degni del proprio prestigio.

È in questo clima che nacque la Sinfonia in sol minore, alla quale fu dato ben presto il titolo di Schwanengesang (canto del cigno), a sottolineare l'emozionante senso di turbamento che la pervade, la sua impalpabile e «ultima» malinconia, la disperata passione che si racchiude nel suo discorso musicale, per quanto dissimulate da innumerevoli e commoventi discrezioni. Di fatto, in queste pagine sublimi, Mozart affronta un discorso musicale che ha aspetti del tutto nuovi rispetto alle sue opere precedenti: il distacco dal clima olimpico di Haydn è ormai definitivo, il discorso musicale è reso più morbido e ombroso dalla mancanza di trombe e di timpani; le sortite dei due corni hanno una emergenza solistica, più che servire da appoggio armonico in un fraseggio diventato sottilmente cromatico e inquieto nei più minuziosi particolari. E tutti gli svolgimenti tematici «sono come tuffi negli abissi dell'anima, simbolizzati in modulazioni tanto audaci che i contemporanei di Mozart non devono essere stati in grado di seguirli e tanto sublimi che soltanto Mozart stesso potè riportarli su di un livello terreno» (Einstein).

Insomma, un «canto amaro e sublime» (G. Manzoni), aperto ancora alle più diverse sottolineature interpretative, a seconda che s'intenda mettere in primo piano la sua perfezione formale, la sua divina levigatezza di tratti, o l'intimo fervore - come di confessione - dei suoi dolorosi abbandoni.

Leonardo Pinzauti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 febbraio 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 maggio 2006
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 29 ottobre 1980


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Ultimo aggiornamento 1 novembre 2017