Quintetto in la maggiore per clarinetto, K. 581 "Stadler"


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (la maggiore)
  2. Larghetto (re maggiore)
  3. Minuetto e trio (la maggiore)
  4. Allegretto con variazioni (la maggiore)
Organico: clarinetto, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 29 settembre 1789
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 22 dicembre 1789
Edizione: Andrè, Offenbach 1802
Dedica: Anton Stadler
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quintetto per clarinetto e quartetto d'archi K. 581 fu terminato di comporre il 29 settembre 1789 a Vienna, in un periodo di gravi difficoltà economiche per Mozart, nonostante l'anno precedente avesse scritto le tre grandi sinfonie K. 543, K. 550 e K. 551 (Jupiter) e due anni prima avesse ottenuto un significativo successo a Praga con il dramma giocoso Don Giovanni. Non per nulla proprio nel 1789 e a più riprese il musicista indirizzò diverse lettere con richieste urgenti di denaro al ricco commerciante e suo amico Michele Puchberg, il quale in varie occasioni aiutò l'infelice artista. Sono lettere che denunciano lo stato di estrema miseria in cui versava il musicista e che Puchberg, da buon commerciante, conservò con cura e tramandò ai posteri, annotando in margine, di volta in volta, la somma elargita. Ecco una di queste lettere inviata dal compositore ai primi di luglio del 1789 al suo cortese benefattore e rivelatrice di una condizione psicologica al limite della disperazione. «Sono in condizioni che non augurerei al mio peggior nemico - scrive Mozart - e se voi, ottimo amico e fratello, m'abbandonate, sarò purtroppo, e senza alcuna colpa da parte mia, perduto con la mia povera moglie ammalata e i bambini. L'ultima volta che mi trovai con voi fui sul punto di aprirvi il cuore... ma il cuore mi mancò. E ancora mi mancherebbe se non vi sapessi informato delle mie condizioni e perfettamente convinto dell'assoluta mancanza di colpa da parte mia in questo tristissimo stato di cose. Oh Dio! Invece di ringraziarvi avanzo nuove richieste. Se conoscete a fondo il mio cuore, sentirete tutto il dolore che ciò mi procura. Il destino mi è purtroppo così avverso - ma qui a Vienna soltanto - da non consentirmi di guadagnare nulla, con tutta la migliore volontà. Se almeno non fosse venuta quella malattia (il musicista si riferisce al ricovero in ospedale della moglie Costanza per l'infezione ad un piede), non sarei ora costretto a mostrarmi così sfrontato verso il mio unico amico. Perdonatemi, per l'amor di Dio, perdonatemi soltanto».

Niente di questa tristezza e disperazione si avverte nel Quintetto d'archi con clarinetto K. 581, che Mozart chiamò Stadler-Quintett, perché composto per l'abilissimo clarinettista Antonio Stadler. Usato per la prima volta in tutta la sua estensione, il suono del clarinetto, morbido, sensuale, agile e melodioso, si mescola con la dolcezza degli archi, creando una serena atmosfera primaverile, espressione di una superiore visione dell'arte. Il carattere distensivo e affabile della composizione si rivela sin dal primo tema dell'Allegro iniziale annunciato dagli archi e ripreso e sviluppato dal passaggio delle biscrome del clarinetto. Viene quindi il secondo tema più nostalgico e meditativo che dagli archi rimbalza su un accompagnamento pizzicato del violoncello allo strumento a fiato, che modula con vellutato smalto melodico fino alla conclusione dell'esposizione. E' uno dei momenti di pura poesia del K. 581, arricchita dagli arpeggi ascendenti e discendenti del clarinetto, prima di sfociare nella lieta cadenza conclusiva. Nel Larghetto in re maggiore emerge un canto elegiaco del clarinetto, sostenuto dagli archi in sordina; un nuovo tema viene annunciato dal primo violino e il discorso fra i vari strumenti si articola in un clima di estatica contemplazione. Un accento vagamento popolaresco e rustico ha il successivo Minuetto, interrotto dal trio in la minore riservato ai soli archi, prima della ripresa elegantemente ritmica della danza sospinta nella tonalità di la maggiore dal clarinetto.

L'Allegretto finale è formato da un tema in tempo di marcia, cui seguono cinque variazioni in un fresco alternarsi di giochi timbrici tra gli archi e il clarinetto: quest'ultimo nella quarta variazione si lancia in vivaci e brillanti passaggi virtuosistici. La quinta variazione è un adagio variegato di teneri arabeschi strumentali, interrotto da una energica e risoluta coda, perfettamente consona allo spirito cordiale e amichevole dell'opera.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Rispetto ai vari Quartetti e Quintetti per strumento a fiato, non v'è dubbio che l'ultimo lavoro lasciato da Mozart in questo campo, il Quintetto per clarinetto in la maggiore K. 581, non solo costituisca un autentico vertice, ma anche una pietra miliare del repertorio clarinettistico, e, più in generale, uno degli autentici capolavori di tutta la letteratura cameristica del compositore.

I primi contatti con il clarinetto il piccolo Mozart li ebbe all'età di otto anni, nel corso della sua lunga permanenza londinese; a quel tempo il clarinetto era uno strumento di costruzione recente, che non si era ancora conquistato un posto stabile in orchestra. Di fatto Mozart dovette attendere oltre un decennio perché l'orchestra di Mannheim gli mostrasse il perfetto impiego sinfonico dello strumento rispetto agli altri fiati.

Tuttavia solo negli ultimi due anni di vita il compositore potè scrivere dei brani che vedessero il clarinetto in un ruolo solistico. L'occasione gli fu fornita dalla conoscenza dello strumentista Anton Stadler, un virtuoso di straordinaria abilità che del clarinetto svelò a Mozart le inesplorate potenzialità espressive; senza dimenticare che lo strumentista suonava su uno strumento detto "clarinetto di bassetto" che si differenziava dal modello moderno per una maggiore estensione nel registro grave. Per le capacità tecniche e interpretative di Stadler (oltretutto suo fratello massone, nonché compagno di affari, sembra, non sempre limpidissimi) Mozart confezionò su misura il Quintetto K. 581, il cosiddetto "Trio dei birilli" e il crepuscolare Concerto K. 622, oltre ai mirabili interventi concertanti di due arie della Clemenza di Tito ("Parto ma tu ben mio" cantata da Sesto, e "Non più di fiori", da Vitellia; quest'ultima in verità concepita per corno di bassetto, che del clarinetto è stretto parente).

Fra queste opere lo "Stadler-Quintett", come lo stesso Mozart ebbe a definirlo, è forse quella che meglio mette in luce il timbro dolcemente sensuale dello strumento, la sua straordinaria estensione, le doti cantabili e quelle virtuosistiche; e questo grazie anche al felicissimo sposalizio con la classica formazione del quartetto d'archi, che accoglie il clarinetto come un "primus inter pares", esaltandone il ruolo solistico senza per questo mortificarsi in una funzione di accompagnamento.

Certo, sarebbe inopportuno rimproverare al Quintetto K. 581 la mancanza di quella scrittura complessa e di quella elaborazione tematica che contraddistinguono i coetanei Quintetti per archi, e che erano in partenza precluse dalla presenza dello strumento a fiato. E tuttavia è difficile pensare a una scrittura più raffinata di quella del Quintetto per clarinetto, perché la sofisticatezza delle figurazioni di accompagnamento e il gioco di scambio delle funzioni fra i vari strumenti mostra veramente una maestria suprema. In sostanza alla piena accessibilità della funzione di accompagnamento si coniuga nel Quintetto K. 581 una raffinatezza di impostazione che in qualche modo sembra rinnegare quella accessibilità; e proprio per questa ambiguità la partitura appartiene al novero dei capolavori.

L'Allegro iniziale, in forma sonata, si basa su temi ampi e cantabili, di immediata piacevolezza, non disgiunta per la seconda idea da una certa malinconia, evidenziata dalla ripresa in minore del clarinetto; lo sviluppo poi evita i contrasti dialettici e si fonda piuttosto sulla figurazione arpeggiata che introduce il clarinetto, elaborata in suadenti giri armonici; è questo il movimento che offre ai cinque strumenti le maggiori possibilità di intreccio e di scambio di ruoli - ad esempio se nella esposizione si susseguono violino e clarinetto, nella ripresa i ruoli vengono invertiti - sempre condizionate dalla ricerca di soluzioni sonore dolcemente eufoniche.

Il secondo tempo, un tenero Larghetto in una regolarissima forma di Lied, vede il clarinetto impegnato nell'esibizione delle proprie capacità melodiche e del rapido passaggio dai gravi agli acuti; nella sezione centrale esso instaura un dialogo con il primo violino, sul morbido sfondo creato dagli altri archi. La presenza inconsueta di due Trii avvicina lo spirito del Minuetto a quello dei Divertimenti salisburghesi; alla garbata melodia della danza si contrappongono prima una sezione in minore per soli archi, e poi un motivo dal carattere di Ländler popolaresco. E popolaresco è anche il Tema con variazioni (finale al posto del più usuale Rondò) il cui carattere disimpegnato è una precisa scelta dell'autore, che aveva già abbozzato un movimento più complesso; le variazioni, improntate alla massima godibilità d'ascolto, si susseguono secondo una studiata logica di contrasti alternati, con una variegata scrittura strumentale che riassume le caratteristiche più salienti dell'intera composizione.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Vienna, fine settembre 1789: Wolfgang Amadeus Mozart, il cigno di Salisburgo, il "genio" per antonomasia, conclude il suo nuovo gioiello strumentale, il Quintetto per clarinetto e quartetto d'archi in la maggiore K 581. Un Quintetto pensato "su misura" per la personalità e le risorse dell'amico Anton Stadler, clarinettista e costruttore di clarinetti. Amicizia antica, quella con il virtuoso al servizio del principe Galitsin, ambasciatore russo alla corte di Vienna. Già nel 1784 era iniziata una stretta collaborazione: tanto che con Mozart Stadler suonò lo stesso anno la parte del clarinetto nel Quintetto con pianoforte K 452. La comune aderenza alla massoneria rafforzò ulteriormente l'amicizia: Wolfgang per lui compose gran parte delle musiche per clarinetto o corno di bassetto, tra cui, oltre al Quintetto K 581 (intitolato poi Stadler Quintett, secondo il volere dell'autore], anche: il Trio K 498, il Concerto K 622, i Notturni K 346, K 549 e K 436-439a per due soprani, basso e corno di bassetto, i cinque Divertimenti K 439b da essi derivati e infine i frammenti K 516c e K 581a. Stadler, che risentiva talvolta anche di ristrettezze economiche, fu sempre aiutato da Mozart; fu anche il solista prescelto per le due arie con clarinetto obbligato n. 9 e 23 della Clemenza di Tito rappresentata a Praga. Per il clarinetto Stadler aggiunse delle chiavi per ottenere delle note aggiunte basse; proprio per tale "clarinetto di bassetto", che Stadler aveva ideato nel 1788, modificando verso il registro grave la tradizionale estensione dello strumento, Mozart aveva espressamente pensato il Quintetto K 581 e il Concerto K 622. D'altronde si sa: Mozart, curioso per natura e sempre assai attento alle invenzioni e alle modifiche organologiche degli strumenti, compose questi brani cercando di sfruttare al massimo le novità tecniche che gli venivano di volta in volta offerte. L'amore di Mozart per il clarinetto, oltre che dall'amicizia con Stadler, veniva dai tempi di Mannheim, in cui aveva imparato ad apprezzare lo strumento scoprendo le sue notevoli caratteristiche, anche timbriche: «se anche noi avessimo due clarinetti...», scriveva Wolfgang al padre in una lettera in cui descrive con entusiasmo il livello eccellente dell'orchestra della città tedesca.

Ma andiamo alla sostanza musicale del Quintetto Stadler. Come ricorda lo storico Alfred Einstein, anzitutto, non vi è dualismo tra "solo" del clarinetto e accompagnamento, ma «rivalità fraterna»; clarinetto e archi intrecciano amabilmente il loro discorso in uno stile dialogante e delicato, e questo dialogo e confronto "fraterno" in stile concertante si traduce semmai in alcune scelte precise di Mozart legate alla materia musicale: ad esempio vediamo che è il gruppo degli archi a scendere sul piano del clarinetto, andandogli in un certo senso incontro, ovvero "accordandosi" sia nella scrittura che nella disposizione timbrica; così gli archi prediligono colori dalle tinte un po' più scure, gli spessori sono un po' più accentuati e le armonie sfumano verso il sentimentale. D'altronde, ricorda Einstein, «L'aggettivo fraterno è assai appropriato poiché i clarinetti e i corni di bassetto avevano per Mozart un carattere massonico dato che, nelle riunioni della sua Loggia, pare non si usassero altro che strumenti a fiato». Ma come riesce Mozart a inserire, dentro l'amalgama così ben consolidato del quartetto d'archi, uno strumento dalla così forte personalità e frontalità? Come riesce a integrare in un tutto unico una così vasta tavolozza timbrica? E come va a elaborare e a sviluppare spunti e idee? Anzitutto la scrittura, ardita per l'epoca, parte da alcune idee e spunti tematici che letteralmente si raccordano in una sequenza densa e continua all'interno del brano, creando così un tessuto intrecciato e molto ben amalgamato. Come ricorda Hermann Abert, «al clarinetto è affidato il compito di guidare il complesso, ma le altre voci, pur riconoscendone la preminenza, non coprono un ruolo di semplice accompagnamento». Inoltre Mozart si orienta sempre più al «gusto per il bel suono», e «siccome poi il clarinetto tende a una sfera di dolce e matura sensualità, il tutto diviene un vero e proprio trionfo della cantabilità, culmine luminoso di una serie di lavori tutti orientati alla pura bellezza».

Lo sentiamo sin dall'inizio, da quell'inconfondibile tema di apertura dell'Allegro, uno spunto radioso che si riconduce alla serena gaiezza del migliore Haydn, il suo illustre amico e maestro soprattutto nel campo da camera e quartettistico; quel tema dal sapore di primavera, di mattutina aurora, vede presto inserirsi il canto del clarinetto, che è come avvolto in un caldo abbraccio dall'introduzione degli archi: un invito subito accolto dal "solo" che si lancia per due volte in una felice, rotonda movenza arpeggiata. Poche battute e il dialogo prende il volo, mentre anche negli altri snodi della forma sonata in cui è scritto il movimento, come il ponte e poi il secondo tema, lo sviluppo, tendono tutti verso la medesima direzione che privilegia toni amabili di gioioso canto. Tutto scorre con apparente naturalezza, mentre il dialogo strumentale si infittisce, diviene ricco di colori e sentimenti, si attenua. In un certo senso osserviamo che non vi è molta elaborazione tematica, intesa come criterio di complessità nell'organizzazione della forma; semmai vi è profluvio di idee, florilegio di spunti e di motivi, cristallino sgorgare dei dialoghi, come in una sorta di magico canto della natura. L'orecchio è attento a cogliere ogni particolare perché ogni elemento rappresenta un'occasione d'ascolto. Nel Larghetto si rimane come rapiti dalla bellezza del tema del clarinetto, che inanella come una collana madreperlacea di suoni palpitanti sfruttando anche il suo vellutato registro più grave; è un vero e proprio gioiello sonoro, questo canto dalle linee lunghe e distese, con passi di intensità traboccante e commovente, la cui cantabilità sentimentale viene come cullata nel morbido abbraccio degli archi. Questo momento di intenso lirismo, che pare quasi un'aria operistica d'amore, lascia il posto, senza scossoni, all'elegante Menuetto, in cui ritroviamo il quintetto riunito in un dialogo unitario. Ancora una volta, nei punti di passaggio strutturali, come i due trii interni, vi è una sostanziale continuità stilistica, volutamente espressa. Il primo trio è lasciato a una palpitante espansione degli archi, con un episodio in cui è esposto il tema a canone tra violino primo e viola, mentre, dopo il ritorno del minuetto, il secondo trio ci presenta il rientro in grande stile del clarinetto, questa volta presentato in una incantevole veste popolare e rustica, come strumento del Ländler contadino tipico della Bassa Baviera e delle province alpine: davvero uno sgargiante quadro di danza tirolese stilizzata. Il Finale è un tema (Allegretto con variazioni) appositamente pensato per dimostrare tutte le possibilità dello strumento. Dal punto di vista dello schema Mozart scrive una pagina tradizionale, che comprende l'intera gamma di repertorio: ovvero variazioni con passi di agilità per il solista, altre in cui la dolcezza del timbro del clarinetto trova la sua piena espressione altre ancora in cui il quartetto d'archi, compresa la viola, può esprimere il meglio delle proprie risorse strumentali. Vi sono una variazione in minore (la viola protagonista), un adagio e una coda che è più uno sviluppo del tema che una variazione vera e propria; il tema delle variazioni, seguendo l'abitudine di Haydn, è un semplice motivetto infantile: ma che prodigio di varianti ne scaturisce!

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, sala Accademica di via dei Greci, 16 marzo 1979
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 1 marzo 2001
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. AMX 006 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 25 gennaio 2017