La revue de cuisine, H. 161a

Suite dal balletto jazz per sei strumenti

Musica: Bohuslav Martinů (1890 - 1959)
  1. Prologo - Allegretto
  2. Tango - Lento
  3. Charleston - Poco a poco Allegro
  4. Finale - Tempo di Marcia
Organico: clarinetto, fagotto, tromba, violino, violoncello, pianoforte
Composizione: Parigi, 1927
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Cortot, 5 gennaio 1930
Edizione: Éditions Alphonse Leduc, Parigi, 1930
Guida all'ascolto (nota 1)

Dopo i primi studi musicali a Praga, dove aveva avuto come maestro anche Josef Suk, Bohuslav Martinů si trasferì a 33 anni a Parigi, grazie a una borsa di studio. Lì studiò con Albert Roussell, conobbe Stravinskij, Honegger, gli altri compositori del Gruppo dei Sei, frequentò i poeti surrealisti, entrò in contatto con le nuove tendenza della letteratura e dell'arte, ma anche con generi musicali diversi, dal cabaret alla chanson, al jazz. Immergersi nella vita culturale parigina degli anni Venti fu un'esperienza fondamentale per l'evoluzione del suo linguaggio musicale, lo spinse a sperimentare, a cimentarsi con diversi generi alla moda, a cogliere lo spirito modernista e cosmopolita di quella città. Fu affascinato dalle opere d'arte ispirate alle macchine e agli sport, da Pacific 231 di Honegger (movimento sinfonico ispirato a una locomotiva), dall'energia motoria della musica di Poulent e Auric, definiti «sportifs de la musique». E ne trasse stimoli per comporre alcuni lavori orchestrali come Half-time del 1924, che descrive una partita di calcio (anticipando Rugby di Honegger, del 1928), e La Bagarre del 1927 che celebra la trasvolata atlantica di Lindbergh e la folla che si accalca al suo atterraggio in Francia. Emblematici di questa fase sperimentale sono anche i cinque balletti composti a Parigi tra il 1925 e il 1927, che testimoniano anche l'attenzione di Martinů per un genere sempre più diffuso e popolare in quegli anni nella capitale della danza: si tratta della Révolte, che racconta una rivolta delle note musicali, sottolineata da elementi jazz e ritmi di danza; della Farfalla che batte i piedi, storia esotica di Rudyard Kipling messa in musica con l'orchestra e un coro femminile che crea un'atmosfera orientaleggiante; della Revue de cuisine (la rivista culinaria) che fa danzare degli utensili da cucina; infine dei due balletti "meccanici" On tourne, per marionette, e Le raid merveiiìeux (Volo meraviglioso) che descrive il tentativo fallito di due aviatori francesi di attraversare l'Atlantico poche settimane prima del volo di Lindbergh.

Composto su una sceneggiatura di Jarmila Krõschlová, coreografa che interpretò la prima del balletto a Praga nel novembre del 1927, La Revue de cuisine (intitolata inizialmente La tentation de Sainte Marmite) narra un fantasioso intrigo amoroso su una coppia in crisi, una pentola e un coperchio che cedono ai corteggiamenti e alle adulazioni di una frusta da cucina e di un canovaccio, con la scopa che svolge un ruolo di arbitro. La bizzarra vicenda si conclude con il ricongiungimento della coppia, grazie anche all intervento di un enorme piede che ricaccia sulla scena il coperchio, pronto a dileguarsi, mentre la frusta e il canovaccio se ne vanno insieme. Da questo balletto, articolato in dieci numeri musicali (Prologue, Introduction, Danse du moulinet autour du caudron, Danse du chaudron et du couvercle, Tango, Duel, Entracte, Marche funebre, Danse radieuse, Fin du drame), Martinů trasse una Suite in quattro movimenti (per clarinetto, fagotto, tromba, violino, violoncello e pianoforte) che ottenne un grande successo quando fu eseguita per la prima volta a Parigi, nel gennaio del 1930. La partitura del balletto fu invece dimenticata e venne riscoperta solo negli anni Novanta negli archivi della Paul Sacher Stiftung di Basilea, per poi essere pubblicata nel 2004. La Revue de Cuisine è uno dei lavori nei quali è più evidente l'influenza del jazz, soprattutto nella scrittura pianistica, in quella armonica, nell'uso della tromba con sordina, nel pizzicato del violoncello che mima quello del contrabbasso. È una musica piena di charme ed energia, appuntita e leggera, che ammicca alla musica antica ma sfoggia anche complesse sequenze metriche e strutture poliritmiche, e un vertiginoso gusto per le modulazioni. Nel Prologue (Allegretto), un vivace stacco della tromba dà avvio a una marcia scandita dagli accordi del pianoforte: una marcia dal ritmo asimmetrico (dato dalla sistematica alternanza di misure di 2/8,3/8 e 4/8) e dall'andamento sbilenco, pieno di rallentamenti e accelerazioni improvvise, sottolineato dai glissati degli archi, dalle acciaccature dei fiati, dalle grottesche progressioni del clarinetto. Il secondo movimento è un Tango (Lento) — nel balletto corrispondeva a una scena d'amore -, avviato da un assolo «dolce e espressivo» del violoncello che poi lascia il passo a un disegno languido della tromba con sordina, e quindi a un Andante, con il fagotto spinto nel registro acuto, prima di richiudersi nuovamente sulla melodia lenta del violoncello, che si spegne nell'estremo grave. Su quella stessa nota (un Do grave) prende forma, poco a poco, il terzo movimento, un energico Charleston - danza di gran moda negli anni Venti (il passo consisteva nel muovere le gambe verso l'esterno tenendo le ginocchia unite) - che Martinů in questa partitura reinterpreta con una costruzione assai raffinata: conserva il ritmo vivace e sincopato, ma con improvvisi rallentamenti, contrazioni ritmiche, spostamenti di accenti e imprevedibili modulazioni cromatiche, che ne fanno un piccolo capolavoro di scienza compositiva. La Suite si conclude con un Finale che riporta alla marcia iniziale, qui però alternata a episodi dal carattere grazioso e leggero (Allegretto), che generano saporite fratture stilistiche e interessanti situazioni poliritmiche.

Gianluigi Mattietti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 9 novembre 2007


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Ultimo aggiornamento 26 giugno 2021