Sinfonietta, VI/18


Musica: Leós Janàček (1854 - 1928)
  1. Fanfara: Allegretto. Allegro maestoso
  2. Il castello: Andante. Allegretto
  3. Il castello della regina: Moderato
  4. La strada del castello: Allegretto
  5. Il municipio: Andante con moto
Organico: 4 flauti (4 anche ottavino), 2 oboi (2 anche corno inglese), 2 clarinetti (2 anche clarinetto piccolo), clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 4 tromboni, basso tuba, (nel primo tempo: 9 trombe, 2 tube tenori, 2 trombe basse), timpani, glockenspiel, piatti, arpa, archi
Composizione: 2 marzo 1926 - 15 maggio 1926
Prima esecuzione: Praga, Smetana-Saal, 26 giugno 1926
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1927
Dedica: signora Rosa Newmarchové
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sinfonietta di Leós Janàček non mostra i segni inconfondibili della forma concertante. Non almeno in modo immediato, diretto, persuasivo. Ed è per questo motivo che all'opera sinfonica (relativamente) più popolare di Janàček, nata nel 1926 per ragioni assolutamente esteriori ed occasionali, tocca un angelo custode "d'ufficio", nominato sul campo per l'imprevista mancanza dell'angelo titolare. Se però il giovane bruno e non musicante che appare tra il suonatore di liuto e il suonatore di violino fosse davvero, come sostengono alcuni studiosi, l'autoritratto di Caravaggio "visto allo specchio", allora a Janàček non toccherebbe un angelo custode supplente, ma addirittura l'Angelo (o il Demonio) in persona. Ambiguità che non sarebbe certo dispiaciuta (basta pensare a Kat'a Kabanova o alla Emilia dell'Affare Makropoulos) al "vecchio" Janàček.

La Sinfonietta, in effetti, almeno dal punto di vista dell'anagrafe, è un'opera matura che il compositore ceco, settantaduenne, scrive per assecondare la richiesta del Festival Musicale dell'Organizzazione Ginnastica "Sokol" di Brno, ma che poi viene dedicata all'Esercito Nazionale Ceco. In realtà dietro l'impalcatura esteriore ed occasionale della Sinfonietta si nasconde un preciso disegno di carattere "politico". Nella memoria del compositore è ancora scritta a caratteri cubitali, nel '26, la data del 28 ottobre 1918, il giorno in cui, grazie alla sconfitta della monarchia, viene realizzato un sogno vecchio di tre secoli: la nascita dello Stato nazionale ceco. Janàček, nazionalista acceso e fervente, coglie allora l'occasione del festival di Brno per compiere una passeggiata musicale nei luoghi della città liberata e per disegnarne una nuova mappa sonora. E difatti ogni movimento reca la precisa indicazione topografica di un luogo vero, autentico, della città.

È proprio questa forte, energica motivazione etica e politica al tempo stesso ad aver cancellato probabilmente dalla Sinfonietta ogni traccia di stanchezza senile: delle settantadue primavere messe in fila, insieme alle altre stagioni, dal vecchio Leós non esiste, in questa partitura, la minima traccia. Anzi la scrittura orchestrale corre via con un passo talmente spedito, ottimistico ed energico da far sospettare il desiderio di Janácek di trovarsi ancora sulle barricate per combattere l'odiata, regressiva, repressiva monarchia ceca. Un impegno così vivo e palpitante che ha impedito all'autore di Jenufa qualsiasi compiaciuto e nostalgico "esercizio di memoria": non c'è infatti alcuna traccia, nell'opera, di prestiti, autoimprestiti, citazioni, calchi, rifacimenti o contrafacta: dal suo sacco generoso il musicista ceco tira fuori solo farina nuova e rigorosamente declinata al tempo presente. E si ha quasi l'impressione che questi venticinque minuti di musica, nonostante le suddivisioni interne, pretendano in realtà di scorrere senza alcuna soluzione di continuità, governati soltanto da uno spirito sotterraneamente concertante che entra in ogni piega della scrittura.

Gli episodi-chiave dell'opera sono infatti costruiti con grande lucidità architettonica sul principio del contrasto: di uno strumento solista con il tutti dell'orchestra, di una famiglia orchestrale con un'altra, di un concertino con un ripieno. Nel primo movimento, ad esempio, intitolato Fanfara, il gioco concertante è condotto da un gruppo di tredici ottoni che espongono a più riprese una sorta di tema ciclico dalle sonorità squillanti e militaresche. Ma anche il secondo movimento (Il castello) è costruito secondo una precisa logica "oppositiva": tra l'ostinato iniziale del clarinetto e la melodia popolaresca dell'oboe, nelle prime misure, ma anche, poco dopo, nel crescendo che conduce alla riapparizione del tema militaresco di apertura, tra le sonorità contrapposte di oboi, corni, archi acuti e archi gravi. Ma il contrasto più spiccatamente "teatrale" avviene nel cuore della Sinfonietta, il movimento centrale intitolato Il Monastero della regina: all'aura lirica e ostentatamente rêveuse disegnata nella prima parte dagli archi con sordina, dal corno inglese e dall'oboe si oppone in modo sfacciato e stridente il suono "barbaro" e selvaggio degli ottoni, del flauto e dell'ottavino spinti fino ai limiti estremi del registro acuto e "obbligati" a violentissimi glissando. Dopo l'innocente Scherzo monotematico del quarto movimento (La strada), lo spirito del Concerto torna a materializzarsi nel movimento conclusivo (Il Municipio), anche se nella forma, che del resto unisce Vivaldi a Béla Bartók, del "Concerto orchestrale": di volta in volta sono i flauti, gli archi, i legni, i clarinetti, a guidare il gioco concertante, fino al nuovo ingresso, perfettamente circolare, delle fanfare iniziali, che siglano con uno scoppio di ottimismo militaresco l'inno che Janàček ha dedicato alla "libera città di Brno".

Guido Barbieri

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Iniziata nel 1925 ed eseguita per la prima volta a Praga il 26 giugno 1926, la Sinfonietta è l'ultima composizione orchestrale di Janàček, ma anche la più originale e imprevedibile. L'originalità sta nell'unione di una forma classica come quella della sinfonia con un organico insolito, dominato da un forte schieramento di ottoni: oltre a 4 corni, 4 tromboni e 2 tube tenori vi figurano complessivamente ben 14 trombe (l'idea iniziale sembra fosse dovuta all'ascolto di una banda militare in un parco di Pisek). L'imprevedibilità è invece data dai rapporti che si vengono a creare tra l'impianto formale e l'organizzazione del materiale al suo interno. In realtà, del classico principio sinfonico rimane soltanto l'elemento dell'elaborazione tematica (che però Janàček sottomette alle proprie leggi di sviluppo a blocchi contrapposti) e una certa simmetria di corrispondenze e relazioni fra i singoli movimenti. Che sono cinque, contraddistinti da una continua flessibilità agogica e da una diversa distribuzione dell'organico orchestrale, suddiviso in sezioni: solo alla fine l'intera orchestra si riunisce in una sorta di festosa, generale celebrazione di tono giubilante.

La fanfara introduttiva dell'Allegretto iniziale (trombe, tube tenori e timpani) ritorna, intensificata, anche alla conclusione dell'ultimo tempo, in una ripetizione ampliata però con la presenza degli archi e dei legni: ciò stabilisce una forma ad arco di assoluta novità, nella quale si dispongono i vari movimenti, ognuno con differente intonazione e carattere. Il secondo e il quarto elaborano motivi di danza della tradizione morava e ceca, con effetti graffianti e accenti intensamente drammatici. Il denso Moderato centrale è il cuore della composizione, e ne riassume in veemente crescendo dinamico ed espressivo tutta la stupefacente sostanza melodica e ritmica, con soluzioni armoniche e timbriche affatto inedite.

Sergio Sablich


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 12 aprile 2003
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Ente autonomo del Teatro Comunale di Bologna,
Bologna, Teatro Comunale, 1 febbraio 1990


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Ultimo aggiornamento 28 marzo 2016