Alexander's Feast, or the Power of Music, an Ode in Honour of St. Cecilia, HWV 75

Ode in due parti per soli, coro, orchestra e basso continuo

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
Testo: Newburgh Hamilton, da Ode for St Cecilia's Day di John Dryden
Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, 2 flauti diritti, 2 oboi, 3 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, 3 violini, 2 viole, violoncello, organo, basso continuo
Composizione: 17 gennaio 1736
Prima rappresentazione: Londra, Covent Garden, 19 febbraio 1736
Edizione: J. Walsh, Londra, 1738

Utilizza come interludi i concerti:
  1. Concerto in sol minore per organo e orchestra, op. 4 n. 1 HWV 289
  2. Concerto in si bemolle maggiore per organo e orchestra, op. 4 n. 6 HWV 294

Struttura musicale

PRIMA PARTE
  1. Ouverture - ... / Allegro / Andante (fa maggiore)
    2 oboi, 3 violini, viola e basso continuo
  2. 'T was at the royal feast
    Recitativo per tenore e basso continuo
  3. Happy pair! - Allegro ma non troppo e staccato (la maggiore)
    Aria per tenore, coro, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
  4. Timotheus, plac'd on high
    Recitativo per tenore e basso continuo
  5. The song began from Jove
    Recitativo accompagnato per soprano, 2 violini, viola e basso continuo
  6. The list'ning crowd admire the lofty sound - Andante (re maggiore)
    Coro, 2 oboi, 2 fagotti, 2 violini, viola e basso continuo
  7. With ravish'd ears the monarch hears - Allegro ma non presto (re maggiore)
    Aria per soprano, 2 oboi, 2 violini all'unisono e basso continuo
  8. The praise of Bacchus then the sweet musician sung
    Recitativo per tenore e basso continuo
  9. Bacchus, ever fait and young - Andante (fa maggiore)
    Aria per basso, coro, 2 oboi, fagotto, 2 corni, 2 violini, viola e basso continuo
  10. Sooth'd with the sound
    Recitativo per tenore e basso continuo
  11. He choose a mournful Muse - Adagio e piano
    Recitativo accompagnato per soprano, 2 violini, viola e basso continuo
  12. He sung Darius, great and good - Largo e piano (mi bemolle maggiore)
    Aria per soprano, 2 violini, viola e basso continuo
  13. With downcast looks the joyless victor sate
    Recitativo accompagnato per soprano, 2 violini, viola e basso continuo
  14. Behold Darius great and good - Larghetto (mi bemolle maggiore)
    Coro, 2 oboi, 2 fagotti, 2 violini, viola e basso continuo
  15. The mighty master smil'd to see
    Recitativo per tenore e basso continuo
  16. Softly sweet in Lydian measures - Largo (mi maggiore)
    Arioso per soprano, violoncello solo e basso continuo
  17. War, he sung, is toil and trouble - Andante allegro (la minore)
    Aria per soprano, 2 violini all'unisono e basso continuo
  18. The many rend the skies with loud applause - Andante. Adagio. Allegro (mi maggiore)
    Coro, 2 oboi, 2 fagotti, 2 violini, viola e basso continuo
  19. The Prince, unable to conceal his pain - A tempo giusto (la maggiore)
    Aria per soprano, 2 violini all'unisono e basso continuo
SECONDA PARTE
  1. Now strike the golden Lyre again! - Andante (si minore - re maggiore)
    Recitativo per tenore, coro, 2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, 2 violini, viola e basso continuo
  2. Revenge Timotheus cries - Andante allegro. Largo, legato (re maggiore)
    Aria per basso, 2 oboi, 3 fagotti, tromba, 2 violini, 2 viole, organo e basso continuo
  3. Give the vengeance due to the valiant crew (si bemolle maggiore)
    Recitativo accompagnato per tenore, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
  4. The princes applaud with a furious joy - Allegro (re minore)
    Aria per tenore, 2 oboi, 2 violini all'unisono e basso continuo
  5. Thais led the way - Andante larghetto. Adagio. A tempo (si bemolle maggiore)
    Aria per soprano, coro, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
  6. Thus, long ago, ere heaving Bellows learn'd to blow - largo (re minore)
    Recitativo accompagnato per tenore, coro, 2 flauti, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
  7. Let old Timotheus yield the prize
    Recitativo per tenore, basso e basso continuo
  8. Let old Timotheus yield the prize - Allegro ma non troppo (fa maggiore)
    Coro, 2 oboi, 2 violini, viola e basso continuo
  9. Your voices tune, and raise them high - Andante allegro. Allegro (do maggiore)
    Coro, 2 oboi, 2 corni, 2 violini, viola e basso continuo

Guida all'ascolto (nota 1)

"Quale passione la musica non può scatenare o placare!"
(John Dryden, A Song for St. Cecilia's Day)

Risorta dall'immane rogo che nel 1666 aveva divorato, assieme all'antica cattedrale di St. Paul, 13.000 abitazioni, 86 chiese, 400 strade, la Londra del Settecento era un frenetico coacervo di vita e di attività verso cui confluivano, soprattutto dall'Italia, un immenso patrimonio di opere d'arte e una folla di pittori, scultori, compositori, cantanti e virtuosi di ogni genere.

In questa città, nell'autunno del 1710, giunge un giovane compositore tedesco reduce da un trionfale "viaggio in Italia" e fresco di nomina come Kapellmeister ad Hannover. Händel aveva ottenuto infatti una dispensa per fare un viaggio a Londra, forse su invito dell'ambasciatore d'Inghilterra conosciuto a Venezia, o forse allettato dalla proposte di un collaboratore del Queen's Theatre di Haymarket, Johann Jakob Heidegger, con il quale era già in contatto dal 1709. Poche settimane dopo ecco infatti arrivare l'incarico ufficiale di scrivere un'opera "italiana" proprio per il prestigioso teatro: il 24 febbraio 1711 va in scena, in un autentico tripudio, Rinaldo.

Al termine della stagione in realtà il "sassone" avrebbe dovuto tornare al suo incarico presso la corte tedesca ma già nell'autunno del 1712 riesce ad ottenere un'altra licenza a condizione di far ritorno "entro un periodo ragionevole": il compositore invece - anche grazie alla protezione e all'ospitalità di alcuni influenti aristocratici quali il conte di Burlington e il duca di Chandos - non lascerà mai più la capitale inglese.

Nei decenni successivi Händel, sostenuto dalla Royal Academy of Music (che vedeva il Re in persona fra i primi sottoscrittori), scrisse per i teatri londinesi oltre trenta opere, tutte su testo italiano: dal Il Pastor Fido a Teseo, da Amadigi al Giulio Cesare, dal Tamerlano all'Arianna in Creta, dall'Alcina al Serse.

Verso la fine degli anni '20 però le produzioni (gestite direttamente dal compositore) cominciarono a soffrire di una serie di problemi economici, organizzativi e soprattutto di rapporti con i cantanti (i litigi fra le prime donne Faustina Bordoni e Francesca Cuzzoni, le discussioni con il celebre ma pretenziosissimo Senesino).

Il risultato fu che nel 1733 una parte degli aristocratici della città (capeggiati dal principe di Galles in antagonismo con il Sovrano, suo padre) decise di costituire un nuovo "sodalizio" concorrente alla Royal Academy, l'Opera della Nobiltà (Caspar von Brocke, ambasciatore a Londra del re di Prussia annota: "Sabato scorso ha avuto luogo l'apertura della nuova Opera-house, intrapresa dalla Nobiltà che non era più soddisfatta della Conduzione del Direttore della vecchia Opera, Händel, e, umiliandolo, ne ha creata una nuova, sottoscritta da più di duecento persone e alla quale ognuno ha contribuito con 20 ghinee"). La direzione artistica fu affidata al rivale Nicola Porpora che aprì la stagione, il 29 dicembre di quell'anno al Lincoln's Inn Fields, con una propria opera, l'Arianna in Nasso: protagonisti i cantanti fuoriusciti della compagnia hàndeliana, da Senesino ad Antonio Montagnana, da Francesca Bertolli a Celeste Gismondi (ai quali si aggiungerà nella stagione successiva il mitico Farinelli che qualche anno prima aveva rifiutato l'ingaggio del maestro tedesco).

La situazione avrebbe potuto sconfortare chiunque, ma non Händel, il cui carattere forte e fiero lo spinse ad intraprendere precise contromosse: sul fronte del melodramma scritturò - a sostituzione del Senesino - prima Carestini e poi il più famoso castrato del momento, Gioachino Conti, e nel frattempo si dedicò all'approfondimento di un altro orizzonte professionale che gli si era aperto pochi mesi prima. Nel febbraio 1732 infatti avevano riscosso un grandissimo successo tre esecuzioni private del suo oratorio The history of Hester, su testo di Alexander Pope. L'esito fu talmente incoraggiante che, dopo un'accurata rielaborazione, il compositore decise di riproporlo al King's Theatre: il risultato fu una platea gremita ed entusiasta per tutte le sei repliche. Pur continuando quindi a scrivere melodrammi (anche se in condizioni sempre più difficili), Händel da quel momento dedicò un'attenzione sempre maggiore agli Oratori e alle grandi forme corali che, con il loro vigore drammatico, avevano enorme presa sul pubblico. Questi lavori cominciarono così ad alternarsi alle Opere sul palcoscenico del Covent Garden che, dal luglio 1734 (momento in cui Heidegger aveva concesso il teatro di Haymarket all'Opera della Nobiltà), era diventato la nuova sede stabile delle produzioni händeliane. Ed ecco quindi che dopo Esther, Deborah e Athalia, la scelta cadde su un soggetto legato ad una importante - anche se a quei tempi quasi dimenticata - tradizione: quella dedicata alla festività di Santa Cecilia. Fra il 1683 e il 1703 infatti si era consolidato a Londra l'uso di celebrare la ricorrenza, il 22 novembre, con una serie di manifestazioni musicali organizzate dai "Gentlemen Lovers of Music" e l'evento culminante era l'esecuzione di una Cantata appositamente scritta per l'occasione. Quella del 1697 recava il titolo Alexander's feast, or the power of music: an Ode in honour of St. Cecilia's day, con versi del famoso poeta John Dryden musicati da Jeremiah Clarke. Era stato lo scrittore Newburgh Hamillon ad attirare l'attenzione di Händel su quel testo e il compositore raccolse la sfida.

La composizione fu terminata verso la metà di gennaio 1736 ma, ritenendo l'Ode troppo breve per occupare lo spazio temporale di tutta una serata, il maestro decise di aggiungere anche un'altra Cantata con testo in italiano - Cecilia, volgi uno sguardo HWV 89 - e, ad imitazione di Orfeo che suona, un "concerto per arpa, liuto e lyricord e altri strumenti" (in seguito rielaborato come Concerto per arpa in si bemolle maggiore e pubblicato nell'op. 4, n. 6 HWV 294) posto dopo il recitativo "Timotheus, plac'd on high". Nel finale della seconda parte poi - in diretto riferimento simbolico con Santa Cecilia - venne inserito un Concerto per organo in seguito pubblicato come op. 4 n. 1 (HWV 289). L'esecuzione odierna ripropone l'inserimento dei due Concerti strumentali previsti da Händel.

La prima, il 19 febbraio 1736, fu un trionfo, come testimoniato dalla recensione del London Daily Post: "Ieri sera il Duca di Cumberland e la Principessa Amelia si recarono al Teatro Reale in Covent Garden, dove ascoltarono l'inno di Dryden musicato da Mr. Handel. In nessun altro teatro di Londra si vide mai una accoglienza così calorosa e così tante persone presenti".

Interpreti furono i soprani Anna Maria Strada (l'unica che non aveva "tradito" Händel) e Cecilia Young, il giovanissimo tenore John Beard e un non meglio noto Mr. Erard, basso. Nel giro di un mese e mezzo l'Oratorio ebbe cinque esecuzioni; sarebbe stato ripreso l'anno successivo e ancora nelle stagioni seguenti raggiungendo, nel 1755 (data dell'ultima esecuzione effettuata Händel vivente), il totale per allora notevolissimo di 25 esecuzioni.

Segno inequivocabile di una fortuna che superava di gran lunga gli standard dell'epoca fu infine la pubblicazione della partitura, realizzata nel marzo 1738 dall'editore Walsh. Il sontuoso volume, fra i cui sottoscrittori stavano ben sette membri della famiglia reale, reca all'antiporta una splendida tavola con il ritratto del compositore in atteggiamento di chi serenamente si gode ancora una volta un indiscusso predominio.

"Con dita leggiadre toccò la lira" (Alexander's feast):
Musica che celebra la musica

I versi di Dryden, pensati appositamente per un rivestimento musicale, si rifanno all'immaginario "classico" di attribuzione alla Musica del potere di suscitare ed esprimere gli "affetti" più svariati nell'animo umano.

D'altra parte il riconoscimento del potere "mistico" di un suono o di uno strumento è comune a tutte le civiltà fin da tempi remotissimi: gli studi di antropologia confermano che non esiste convivenza umana senza musica e spesso essa è considerata la voce degli dei che manifestano così la loro volontà.

Nel mondo greco poi tale linguaggio assume simbolismi e valori assolutamente straordinari. Il pensiero corre naturalmente al mito di Orfeo alla cui "musica dolce cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto... Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva... Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto..." (Seneca).

La musica diventa elemento dirompente non solo dal punto di vista emotivo, ma addirittura di fascinazione delle facoltà volitive. Si connota quindi come elemento culturale, sociale e come sistema comunicativo che ha il potere di arrivare là dove le parole non possono arrivare. La musica non è più cioè ornamento ma è essenziale portatrice di senso e ha il potere di influire sullo stato d'animo perché i suoi elementi costitutivi consentono l'espressione dei sentimenti: come il linguaggio ha il suo contenuto concettuale essa possiede in modo parallelamente egualitario il suo contenuto emotivo.

Ed è la Musica stessa che lo afferma: "lo la Musica son, ch'ai dolci accenti / so far tranquillo ogni turbato core, /et or di nobil ira, ed or d'amore posso infiammar le più gelate menti. / Io su cetera d'or, cantando soglio / mortai orecchio lusingar talora / e in guisa tal de l'armonia sonora / de la lira del ciel più l'alme invoglio" (prologo dell'Orfeo di Claudio Monteverdi).

Non è un caso quindi che Dryden scelga una ambientazione arcaica per il proprio omaggio alla Musica. La vicenda-pretesto, tratta da Plutarco, è ambientata nel 331 a.c. a Persepoli. Alessandro il Grande festeggia con un sontuoso banchetto, insieme alle sue truppe e all'amata Thais, splendida fanciulla ateniese, la conquista della Persia. Nel corso della serata il re e la sua compagna restano ammaliati dal musico Timoteo: con il suono della sua lira egli riesce infatti - cantando il mito di Zeus e Olimpia, il trionfo di Bacco, la fine ingloriosa di Dario, la vittoria dell'Amore - a trasportarli da una emozione all'altra, dalla dolcezza alla gioia, dalla malinconia alla furia di vendetta. E proprio sull'onda di quest'ultimo sentimento (sostenuto anche dal risentimento di Thais cui Serse, il re dei Persiani, aveva ridotto in cenere la città natale) il condottiero macedone medita di incendiare Persepoli. Giunge però Cecilia, patrona dell'armonia e del contrappunto, con il compito di riportare la serenita nei cuori.

Tutto il lavoro è in realtà un autotributo metalinguistico: è cioè musica che celebra la Musica.

Un processo che sarebbe stato difficoltoso all'interno delle codificate e stereotipate formule melodrammatiche (più attente chiaramente allo svolgimento della vicenda storica), ma che trova in questa particolarissima Ode-Oratorio una cornice ideale e di incredibile efficacia.

A ulteriore sostegno di questa concezione Händel utilizza i solisti solo in funzione narrativa e il coro in quella prettamente "tragica" a diretto commento della situazione: questo gli permette di far giungere in primo piano, come unico personaggio dell'ode, la Musica stessa e il suo potere ammaliante sul pubblico.

"Ma la musica vinse la causa" (Alexander's feast)

Il libretto di Newburgh Hamilton suddivide il racconto di Dryden in una successione di Arie, Recitativi e Cori, intervenendo però solo marginalmente sul testo originario. Egli scrive infatti nella sua prefazione ad Alexander's Feast: "Non ho voluto prendermi alcuna ingiustificabile libertà nei confronti di questi versi che da così tanto tempo fanno onore alla nazione e che nessuno potrebbe alterare con aggiunte o eliminazioni senza menomarli. Mi sono pertanto limitato a ripartire il testo in Arie, Cori e Recitativi, considerandolo così sacro che non ho cambiato neppure la disposizione originale delle parole d'una sola virgola».

L'adesione alla versificazione spinge Händel ad allontanarsi dalla consueta struttura tripartita dell'Aria col da capo (limitata solo ad un paio di momenti) e dallo schema tradizionale della sua alternanza con il Recitativo secco che viene rotto con l'impiego di numerosi "accompagnati", veri ponti di connessione fra le Arie e i Cori.

E l'esaltazione della supremazia musicale non poteva certo rinunciare ad una ricca orchestrazione: archi, flauti, oboi, corni, fagotti, trombe, timpani, organo e clavicembalo - tutti utilizzati in modo concertante - che rivestono ruoli da protagonista nell'interpretazione del testo.

Dopo una solenne Ouverture bipartita la scena si apre sulla figura di Alessandro il Macedone seduto sul trono accanto a Thais; un Andante introduce il recitativo del tenore al quale è affidato il compito di descrivere l'azione e il coro rende omaggio alla coppia regale con l'ampio e sontuoso Happy happy pair!

Segue l'entrata del musico Timoteo che inizia a suonare la lira e le sue "note vibranti ascesero al cielo, inspirando gioia paradisiaca". Il suo primo canto è dedicato al mito che accompagnava la nascita stessa di Alessandro: la leggenda voleva infatti che egli fosse stato il frutto dell'amore di Giove per la madre Olimpia.

Il ricordo dell'antica passione è reso dalla dolcezza della voce sopranile, e all'ampio e articolato intervento del coro è ancora affidata la sottolineatura della grandezza della divinità.

Il sentimento di piacere e di compiacimento evocato dalla musica traspare dal viso del monarca e dalla sua voce "narrante" nella brillante e virtuosistica Aria With ravish'd ears.

Timoteo intona quindi la seconda canzone, questa volta dedicata al trionfo di Bacco e, sulla frase "date fiato agli oboi", ecco partire la spumeggiante Bacchus, ever fair and young con l'incisivo colore dei corni concertanti. Al ritmo della frenetica e pomposa Marcia, Alessandro rivive - in una eccitazione quasi folle - tutte le sue esaltanti vittorie militari.

Ma ecco che il citaredo, conscio dei turbamenti che sta provocando, decide di cambiare drasticamente atmosfera: una musa dolorosa (due semplici frasi di Recitativo accompagnato di una intensità assolutamente toccante) lo aiuterà a ricordare il destino del grande Dario morto per mano di un vile traditore.

Un pizzicato degli archi sostiene una delle pagine più affascinanti di tutta l'opera, la mestissima Aria He sung Darius great and good a cui segue, sempre per la voce del soprano, un altro accompagnato nel quale è lo stesso Alessandro, il vincitore, a meditare sulla mutevolezza del fato: proprio a lui era toccato infatti seppellire onoratamente quel re, nemico battuto sui campi di battaglia ma degno di rispetto e di onore, ucciso dai suoi stessi sudditi e aveva giurato di vendicarne la morte. E l'ultima compassionevole frase, With not a friend, giocata in una tensione drammatica/evocativa con l'eco del violino obbligato, è ribadita più avanti dagli introversi intrecci polifonici del coro.

Timoteo riprende in mano la situazione e "sotto l'effetto della morbida dolcezza della tonalità lidia" mirabilmente resa dall' utilizzo del violoncello concertante, riporta il sovrano sulle vie dell'amore.

Il dilemma fra Amore e Guerra è posto dalla frenetica Aria War, he sung, is toil and trouble. L'apparente successo del primo maschera in realtà la vera vincitrice di tutta la scena che viene svelata dall'imponente e trascinante coro finale But music won the cause: è la Musica stessa resasi capace di condizionare anche i sentimenti più intimi.

"At Last Divine Cecilia Came": Suoni dal cielo

La seconda parte dell'Alexander's Feast riprende proprio da quel successo: è alla Musica infatti che viene affidato il risveglio del Re dalle braccia di Morfeo. Ed Händel interpreta genialmente questo momento con un tema ripetuto per ben sei volte in cui ad ogni ripresa aggiunge progressivamente della nuova strumentazione: violini primi, poi violini secondi e viole, in seguito oboi, fagotti e trombe in un crescendo strumentale e vocale che culmina, con la ritmica potenza dei timpani, in un'autentica esplosione sonora dall'effetto straordinario. È la Musica che celebra grandiosamente se stessa e la propria "grandezza".

Al suo risveglio Alessandro deve fare i conti con la richiesta di vendicare gli eserciti annientati dai Persiani ed è il suono della tromba a marcare la fiammeggiante Aria di furore Revenge, Timotheus cries. Ma subito dopo l'impeto si placa nella lenta e lugubre marcia Behold, a ghastly band, segnata da tre fagotti che descrivono le sinistre armonie di uno stuolo di fantasmi greci che si levano a chiedere giustizia, accompagnati dai toni cupi intonati dalle viole e violoncelli in due parti, contrabbasso e organo.

L'ambiente a questo punto è saturo di risentimento e dopo la rabbiosa The princes applaud anche Thais incita il re a procedere finalmente alla distruzione definitiva di Persepoli. Ma ecco che Dryden fa comparire "miracolosamente" la Santa: contrapposta al quadro pastorale nel quale si muove la semplicità sonora di Timoteo rappresentata da due flauti dritti, Cecilia fa la sua entrata con un grande fugato del coro sostenuto dall'insieme orchestrale.

At last divine Cecilia came segna il passaggio dall'era pagana all'era cristiana, dalla monodia alla polifonia, dagli "effetti" del suono agli "affetti" barocchi del più sofisticato linguaggio musicale. Il "duello" fra chi "ha innalzato un mortale ai cieli" e chi "ha portato giù un angelo" si risolve in una autentica apoteosi di tecnica contrappuntistica dove le architetture polifoniche poggiano sullo strumento simbolo della Santa: l'organo.

Laura Pietrantoni


JOHN DRYDEN, IL POETA LAUREATO

Il grande scrittore T.S. Eliot scriveva a proposito di John Dryden: "fu l'antenato di quasi tutto ciò che c'è di migliore nella poesia del diciottesimo secolo e non possiamo apprezzare e valutare cento anni di poesia inglese se non apprezziamo Dryden nella sua completezza".

Il "poeta laureato" - come veniva chiamato - scrisse, all'interno delle ricorrenze londinesi, due odi dedicate a Santa Cecilia: la prima, nel 1687, dal tìtolo A song for St. Cecilia's day e l'altra, esattamente dieci anni dopo, denominata appunto Alexander's Feast or The Power of Music: An Ode in Honour of St. Cecilia's Day.

I testi, nella loro prima esecuzione, furono musicati rispettivamente da Giovanni Battista Draghi (Stationer's Hall, 22 novembre 1687) e da Jeremiah Clarke (Hickford's Dancing School, 22 novembre 1697).

L'Alexander's Feast fu ripreso qualche anno dopo dal compositore Thomas Clayton (The feast of Alexander, Londra, The York Buildings Concert, 1711) e nel 1727 ne venne fatta anche una traduzione italiana, a cura del librettista Antonio Conti, per la cantata Timoteo o Gli effetti della musica sulla poesia di Benedetto Marcello (per Alto, Basso e b.c.).

Lo stesso Händel, dopo il successo del '36, musicò anche l'altro testo di Dryden nell'Ode for St. Cecilia's Day HWV 76 che venne eseguita il 22 novembre 1739 al Lincoln's Inn Fields Theatre (insieme all'Alexander's Feast). L'aiuto fornito dallo scrittore Newburgh Hamilton nella versificazione di entrambi i lavori risultò senza dubbio gradito al compositore che nel proprio testamento, datato 6 agosto 1756, scrive: "Lascio al Signor Newburgh Hamilton, di Old Bond-Street, che mi ha assistito nella messa a punto dei testi per alcune delle mie composizioni, cento pounds".

Una rielaborazione diretta del lavoro handeliano è quella compiuta da Mozart nel Das Alexander-Fest oder Die Gewalt der Musik K. 591 (1790); il salisburghese affidò la nuova metrica a Carl Wilhelm Ramler e revisionò la partitura con l'aggiunta di alcune parti (quelle per 2 flauti e 2 clarinetti) e la riscrittura di altre (le due parti per tromba).


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 19 Aprile 2008


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Ultimo aggiornamento 12 settembre 2014