Quartetto per archi in re maggiore


Musica: César Franck (1822 - 1890)
  1. Poco lento (re maggiore). Allegro (re minore)
  2. Scherzo. Vivace (fa diesis minore)
  3. Larghetto (si maggiore)
  4. Finale: Allegro molto (re maggiore). Larghetto
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Parigi, 15 gennaio 1890
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 19 aprile 1890
Edizione: Hamelle, Parigi 1890 circa
Dedica: Leon Reynier
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto in re maggiore è l'unico scritto dal compositore belga César Franck e fu compiuto nel 1889, un anno prima della morte. Si racconta che alla prima esecuzione, l'autore, quasi sorpreso dell'accoglienza insolitamente calorosa dell'uditorio, dicesse: «Ecco che il pubblico incomincia a capirmi... ».

Insieme al Quintetto per pianoforte e archi, alla Sinfonia in re minore, alla Sonata in la per violino, il Quartetto realizza al più alto grado quel particolare principio compositivo detto della forma ciclica, di cui Franck è considerato il massimo esponente.

Nel primo movimento campeggiano tre idee tematiche, compenetrate, dice il d'Indy, «in virtù di un perfetto coordinamento dei vari elementi». La prima idea è immediatamente riconoscibile, essendo proposta subito all'inizio dal primo violino sull'accompagnamento di ampi accordi tenuti dagli altri tre strumenti. Da questo Poco lento, in re maggiore, si passa all'Allegro ove il modo cambia in minore e ancora il primo violino introduce un secondo nucleo tematico e successivamente un terzo; quello e questo funzioneranno da perni lungo lo svolgimento in «forma-sonata» dell'Allegro stesso.

Dopo un vivacissimo ed elaborato Scherzo, scritto in solo dieci giorni, ma forse la pagina più spiccante dell'opera, interviene un Larghetto, in forma di Lied, nella cui parte centrale (un do maggiore intermesso alla tonalità principale di si maggiore) s'effonde quanto mai vivida e appassionata la melodia franckiana.

Nell'Allegro finale si riprendono le file di tutta l'opera: i motivi uditi fin qui tornano alla ribalta e mediante varie «invenzioni» generano nuovi elementi. Anche in questo Finale è il primo violino che funge da suggeritore e da regista nel proteiforme mondo di personaggi tematici vecchi e nuovi che si muovono, divergono e si ricongiungono nell'ideale scenario di un perfetto Allegro di sonata.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra il 1878 e il 1879, nel pieno della sua attività creatrice, Franck compose il Quintetto in fa minore per pianoforte e archi, considerato insieme alla Sonata in la maggiore per violino e pianoforte (1886) e al Quartetto in re maggiore per archi (1889) una delle opere più significative della produzione cameristica del maestro belga-francese. Tutti e tre questi lavori presentano caratteri comuni, tipici dello stile musicale dell'autore: l'introduzione, vero e proprio preludio, che sfocia nell'Allegro iniziale; la struttura ciclica di ogni partitura, costituita da materiale tematico elaborato nei primi tre movimenti e citato nell'ultimo; l'utilizzazione, oltre ai temi, di una specifica cellula originale di carattere melodico, che investe l'atmosfera lirica dei vari movimenti e determina la loro salda unità. In tal modo Franck contribuì, secondo una sua esperienza personale, a dare una nuova fisionomia alla vecchia forma-sonata, partecipando, specie in campo strumentale, a quel processo di rinnovamento della musica francese, con l'uso della variazione e del tematismo ciclico, assorbiti studiando i grandi modelli tedeschi, da Beethoven a Mendelssohn, da Schumann a Liszt a Wagner, ma questo non significa che Franck ripercorre strade già battute da altri, perché, come scrive Norbert Dufourcq, il suo processo creativo ha una precisa individualità compositiva, in quanto egli «sceglie una cellula originale, che non gli basta per trasmettere nella sua semplicità il proprio pensiero: allora la distende, l'arricchisce di ornamenti, la ingrandisce. Annega i suoi temi in un mare di dense armonie, il cui andamento è ritardato dall'uso costante del cromatismo. Si compiace di introduzioni lente, di dense costruzioni cicliche, che gli permettono quei rimorsi; quei ritorni, quelle resurrezioni inattese nelle quali crede di vedere un elemento unitario e umano... Ed è appunto attraverso le vie più sinuose che egli costruisce la sua testimonianza. La sua certezza, la sua fede».

Tali caratteristiche si avvertono nel Quartetto per archi in re maggiore, la cui prima esecuzione ebbe luogo il 19 aprile 1890 alla Societé Nationale di Parigi, con vivo successo di pubblico e tale da commuovere lo stesso compositore, sempre timido e schivo nel suo rapporto con gli ascoltatori. Il primo tempo (Poco lento. Più allegro) si apre con un Andante in re maggiore, indicato dal primo violino in tono calmo e maestoso e poi ripreso dal violoncello secondo una linea espressiva più calda e passionale. Viene poi l'Allegro, annunciato da un ritmo nervoso, cui segue un secondo tema marcato e vibrato sulle corde gravi del violoncello. L'intero movimento gioca sugli accordi maggiore e minore, ma non manca lo sviluppo in forma di fuga a quattro voci in fa minore e in si bemolle maggiore, prima di una serie di modulazioni fluttuanti e rispondenti a slanci e ripiegamenti psicologici. Il secondo tempo è uno Scherzo rigorosamente classico, al quale si unisce un trio conforme alla tradizione. Interessante l'attacco iniziale con la frase del primo violino ripetuta due volte e spezzata da due silenzi, prima dell'esplosione in fortissimo, che non prelude a nuovi sviluppi, ma ci riporta al clima di partenza. Nel rispetto della sua sigla stilistica, Franck ricorre ad una vivace e capricciosa instabilità tonale, nel passaggio dal fa diesis al re maggiore, dal mi all'accordo di si bemolle maggiore, quasi a rendere più sfumata e misteriosa la trama strumentale. Nel Larghetto del terzo tempo il compositore tiene presentì certi procedimenti dell'andante beethoveniano degli ultimi Quartetti. La frase d'inizio, molto calma e pensierosa, si articola per trentaquattro misure, e ad essa subentra un secondo tema più intimamente meditativo, che passa dal do maggiore al la bemolle maggiore su un disegno espresso dalla viola e dal secondo violino. Man mano il discorso armonico si dissolve in un'atmosfera dai contorni sfumati. Il Finale dell'ultimo tempo rispetta la struttura della forma-sonata e si impone per vivacità ed energia ritmica, passando dal re minore al re maggiore, in una continua mutazione di stati d'animo, coinvolgenti i quattro strumenti, i quali ripropongono e ricapitolano i temi principali già ascoltati, in una felice sintesi di emozioni piacevoli: sono le ultime di un artista fedele alla concezione purificatrice della musica.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 5 febbraio 1962
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 25 novembre 1988


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Ultimo aggiornamento 7 giugno 2013