Quartetto per archi in mi minore, op. 121


Musica: Gabriel Fauré (1845 - 1924)
  1. Allegro moderato (mi minore)
  2. Andante (la minore)
  3. Allegro (mi minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1923 - Annecy, 11 settembre 1924
Prima esecuzione: Parigi, Salle de Concert du Conservatoire Nationale de Musique, 12 giugno 1925
Edizione: Durand, Parigi, 1925
Dedica: Camille Bellaigue
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Allorché Fauré entrò a far parte del mondo musicale parigino, nella primavera del 1870, al centro della vita artistica c'era solamente il melodramma, principalmente nella dimensione "grand-opéra" della produzione meyerbeeriana. Per contro, modestissima se non del tutto insignificante era l'attenzione dedicata alla musica da camera, che contava tra i suoi appassionati per lo più persone della media ed alta borghesia, nei saloni della quale non di rado si esibivano strumentisti "en amateur". Ed il repertorio più sovente frequentato era quello del classicismo viennese, di Haydn e di Mozart, ma anche di Boccherini e di Mendelssohn, ai quali vennero ad aggiungersi, nell'ultimo trentennio dell'Ottocento, lavori di Brahms e di Schumann. Un'inversione di tendenza, nel gusto e nella fruizione della musica da camera, cominciò a registrarsi dopo la fondazione, nel 1871, della Société Nationale de Musique, orientata ad inserire nei programmi dei concerti anche lavori di Lalo, Saint-Saèns, Reber, Castillon ecc. Giovò pure il consolidarsi dell'esperienza di nuove formazioni di strumentisti di professione, dal quartetto di Pierre Baillot ai complessi di Charles Lamoureux, Edouard Colonne, Jules Armingaud (in cui Lalo suonava la viola) ecc.. In un colloquio con un giornalista del "Petit parisien" Fauré nel 1922 avrebbe riconosciuto: «In verità, prima del 1870, mai mi sarei sognato di dedicarmi alla composizione d'una sonata o d'un quartetto: non c'era allora alcuna "chance" di successo al riguardo».

Fu sullo stimolo di Saint-Saëns, e dall'incontro col virtuoso belga dell'arco Hubert Leonard, che Fauré iniziò a scrivere la Sonata op. 13 nel 1875: l'avvio d'una prospettiva, quella della musica da camera, che l'avrebbe accompagnato lungo l'intera lunga sua esistenza, prevalentemente accordando al pianoforte un ruolo d'assoluto protagonismo. Sin all'anno precedente la sua scomparsa, cioè sino al 1923, videro la luce il Quartetto n. 1 (1879), la Berceuse (1880), la Elegie e la Romance (1883), il Quartetto n. 2 (1886), la Petite Pièce (1888), Romance (1895), Andante (1897), Papillon, Sicilienne, Fantaisie (1898), Quintetto n. 1 (1905), Sérénade (1908), Sonata n. 2 per violino e piano (1917), Sonata n. 1 per violoncello e piano (1917), Quintetto n. 2 (1921), Sonata n. 2 per violoncello e piano (1922), Trio (1923): lavori tutti con il pianoforte in grande rilievo. L'unica composizione da camera senza lo strumento a tastiera fu il Quartetto in mi minore per archi op. 121, in assoluto l'ultima ad esser portata a termine prima della morte di Fauré il 4 novembre 1924. Sulla genesi di quest'opera lasciò testimonianza lo stesso autore in una lettera alla moglie il 9 settembre 1924: «Dalla metà di luglio scrivo un po' di musica, ho cominciato un quartetto per archi, senza il pianoforte... Saint-Saèns ebbe un'idea analoga e fu molto nervoso nel realizzarla, dopo essersi deciso in tarda età a cimentarsi in quel genere compositivo. Puoi immaginare come egualmente sia nervoso io ad affrontare questo impegno. Non ne ho parlato con nessuno e tacerò fino a che non sia ultimato».

L'Andante fu completato il 12 settembre, il movimento iniziale al principio dell'autunno, dopo esser tornato dalla campagna a Parigi mentre, secondo la testimonianza del figlio Philippe, il primo tempo era stato cominciato il 20 giugno a Divonne, presso Ginevra. L'intenzione di inserire un altro movimento venne abbandonata dopo l'ultimazione, pure il 12 settembre, del Finale. Fauré non avrebbe mai ascoltato quest'opera che venne eseguita postuma il 12 giugno 1925 al Conservatorio di Parigi. Nella tonalità di mi minore, assai cara all'autore che ne aveva fatto impiego nella Seconda Sonata per violino e pianoforte, nei Notturni n. 10 e n. 12, nell'ultimo dei 9 Préludes e alla conclusione de Le jardin clos, prende l'avvio l'Allegro moderato in 2/2. Il primo soggetto motivico, come nell'ultimo tempo del Trio con pianoforte, s'articola in due elementi, una frase interrogativa della viola alla quale replica un delicato arabesco del primo violino fondato su una scala modale di mi. I due violini a turno entrano in gioco e intonano un'effusa idea melodica, alla quale segue immediatamente il secondo tema principale, una lunga frase del primo violino in maggiore (cantando) intessuta d'appassionato lirismo. Secondo una precisazione del figlio Philippe, entrambi questi temi del primo movimento derivano dal materiale d'un Concerto per violino iniziato da Fauré nel 1878 e mai condotto a termine. Pervasa d'intensa carica passionale è l'elaborazione, mentre nella ripresa il ritorno del materiale motivico iniziale appare più serrato, con l'esclusione dell'idea secondaria (batt. 122). La Coda ripropone la frase della viola, però in mi maggiore.

L'Andante in 4/4 in la minore costituisce il vertice emozionale dell'opera, ed anche il culmine espressivo per la ricchezza dell'ispirazione melodica, la densità della trama polifonica e la trasparenza della scrittura. È il primo violino a proporre il soggetto iniziale, idilliaco e sognante, mentre la seconda idea è una di quelle frasi intensamente espressive che Fauré sovente assegna al timbro velato della viola. Appare poi (batt. 24) un motivo secondario al primo violino mentre una terza idea è affidata alla viola (batt. 48), una sorta di lamento ingenuo e tenero. Allo sviluppo, piuttosto convenzionale, segue la ripresa che interessa primieramente il secondo e il terzo tema, nella tonalità di fa minore. La Coda ripropone il primo soggetto con il motivo secondario.

Il terzo ed ultimo movimento, Allegro in mi minore in 4/4, è costruito su due temi che si alternano ad un ritornello nello schema d'un rondò, «quasi a modo di scherzo brioso e leggero», secondo le parole dello stesso compositore. Vi si rinviene una scoperta affinità discorsiva con quella dello Scherzo del Secondo Quintetto, ma anche dei Quartetti con pianoforte e della Prima Sonata per violino. Il ritornello è affidato la prima volta al violoncello ed ha il carattere d'una sorta di danza popolare. All'idea in mezzoforte e in pizzicato si contrappone la seconda idea (batt. 21) affidata al violoncello nel registro acuto su un curioso accompagnamento della viola. Lo sviluppo è conforme al tardo stile di Fauré, con la ripresa (batt. 163) abbreviata. Infine la Coda attinge un culmine d'abilità di scrittura polifonica sino alla conclusione, in fortissimo, del lavoro che appone, quindi, un imperioso sigillo alla creatività dell'estrema stagione del compositore francese.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Considerato uno dei maggiori musicisti francesi e il più importante della Francia post-romantica e pre-impressionista, Gabriel Fauré rifugge dalle concessioni plateali e d'effetto.

Cercare l'essenziale, prediligere ciò che è necessario, rifiutare con il superfluo le seduzioni esteriori e le accattivanti melodie, obbedire ad un credo artistico intessuto di intelligenza e sensibilità, di estrema eleganza e severe proporzioni, il tutto con chiarezza di linguaggio, purezza della forma, delicatezza dei sentimenti, fantasia elegiaca e intimità d'emozione: tali sono i principi informatori della musica di questo compositore austero e schivo.

Nella sua produzione il Quartetto in mi minore è l'unico quartetto per archi. Iniziata nel luglio 1923 e terminata l'11 settembre 1924, a poco meno di due mesi dalla morte, l'op. 121 è una pagina di sublime poesia, testamento artistico vergato dal musicista «...dans la sérénité d'un indulgent sourire pour ce monde qui ne l'a ni trop bien, ni trop mal traité», come acutamente osservò il figlio.

Il primo movimento, in forma-sonata, riprende i due temi dell'«Allegro» dell'incompiuto Concerto per violino e orchestra op. 14 del 1878. E' come un dolente interrogativo che stende su tutto il tempo un'atmosfera austera e sostenuta; i due temi si richiamano e si rispondono ansiosamente con un continuo intrecciarsi, per finire con la Coda in uno stato di apparente calma e distensione.

L'«Andante», il punto più alto della composizione, una delle più belle pagine della letteratura quartettistica e gemma della musica da camera francese, è una dolce parentesi di pacato intimismo, sospeso su sottili variazioni di luce, intense e pure, di eccezionale forza espressiva. Vi è tormento interiore, mitigato da stanchezza e infinita tristezza, senza un grido e senza ribellione, sussurrato e sommesso.

L'«Allegro», in forma di Scherzo-Rondò, si basa su due temi contrastanti, costantemente ripresi e variati ma sempre riconoscibili. E' un brano brillante, leggermente sorridente («léger et plaisant», scrisse l'Autore), nel quale sono dimenticati (e superati?) gli ansiosi interrogativi dei primi due movimenti e la cui parte finale culmina in un crescendo forte e vigoroso.

Salvatore Caprì


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 17 gennaio 1997
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 26 gennaio 1983


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Ultimo aggiornamento 27 febbraio 2016