Suite bergamasque per pianoforte


Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
  1. Prélude: Moderato [tempo rubato] (fa maggiore)
  2. Menuet: Andantino (la minore)
  3. Clair de lune: Andante très expressif (re bemolle maggiore)
  4. Passepied: Allegro ma non troppo (fa diesis minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 21 aprile 1890
Edizione: Fromont, Parigi, 1905

Revisionata nel 1905
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Suite bergamasque appartiene al primo periodo "pianistico" di Debussy, quello che va dal 1888 al 1890; pubblicata da Choudens nel 1891, venne ripresa dal suo autore quattordici anni più tardi e ripubblicata da Fromont nel 1905.

Il Prelude è un geniale omaggio ai clavicembalisti del Settecento; il suo incipit, quasi solenne nell'accordo sforzato seguito da una volatina discendente di semicrome, ricorda le toccate barocche, così come i piccoli dialoghi imitativi a due voci che emergono timidamente dalla scrittura pianistica. La seconda parte, in tonalità minore, presenta un carattere più bizzarro e improvvisativo (rapide scalette di biscrome); prima della ripresa della sezione iniziale, incontriamo un nuovo motivo in terze ascendenti (mano destra) seguito da un episodio dolcissimo e armonicamente suggestivo. Un piccolo gioiello di equilibrio formale, reso ancor più interessante dalle sonorità rarefatte e dagli incanti timbrico-armonici della scrittura debussyana.

Nel Menuet riviviamo le suggestioni della danza non attraverso l'equilibrio formale, ma grazie all'abile fusione di elementi ritmici e melodici. Il tema principale, dal vago sapore arcaico, è ben ritmato e viene presto seguito da un nuovo motivo fatto di saltellanti accordi staccati e da una dolcissima melodia discendente. Il carattere quasi clavicembalistico della pagina riemerge prepotentemente in un passaggio fatto di velocissime scalette, alle quali Debussy fa però seguire il ritorno, appassionato e struggente, della melodia discendente udita in precedenza. Il finale è costituito da un breve accenno ai saltellanti accordi iniziali.

Clair de lune, liberamente ispirato all'omonima poesia di Paul Verlain, è sicuramente una delle pagine più note dell'intera produzione musicale di Debussy. Si tratta di fama meritata: qui il clima settecentesco delle due pagine precedenti si dilegua e lascia il passo a sonorità magiche e incantate, che avvolgono l'ascoltatore in una specie di dimensione onirica. Il motivo iniziale, dalla forte suggestione timbrica, lascia il passo a un secondo tema in Tempo rubato, fatto di accordi a due mani, cui segue un episodio più mosso e ondeggiante (arpeggi di semicrome nella mano sinistra). La musica si anima poco a poco ma senza mai dare vita a tensioni armoniche: è tutto meravigliosamente sfuocato e sospeso. Il ritorno del tema principale, arricchito ora dai morbidi arpeggi in ppp della mano sinistra, porta alla conclusione del brano, nella quale Debussy alla tradizionale cadenza dominante-tonica preferisce la morbidezza dell'alternanza mediante-tonica.

Col Passepied ritorniamo in clima settecentesco, anche se la melodia principale è una riproposizione del gamelan di Giava, che Debussy aveva ammirato nel 1889 all'Esposizione Universale di Parigi. Il carattere di danza non manca nel tema secondario, scandito dai netti accordi in staccato della mano destra; la pagina gioca sull'alternarsi di questi due momenti, riproposti in sempre diverse combinazioni timbrico-articolatorie.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Suite bergamasque fu composta da Claude Debussy nel 1890 e successivamente rielaborata dal musicista francese nel 1905, assumendo così la forma in cui noi oggi la conosciamo. Dal titolo possiamo ricavare alcune utili indicazioni riguardo alle peculiarità della composizione, in quanto il termine suite sta ad indicarci una forma strutturata come una serie di brani ispirati alle movenze di balli popolari o cortigiani, mentre con bergamasque ci si riferisce alla città di Bergamo ed al gusto locale delle maschere della commedia dell'arte.

La suite creata da Debussy è di gusto settecentesco in quanto fonde brani come Menuet e Passepied che mantengono lo stile di danza così come vorrebbe di norma la forma originaria della suite codificata nel XVII secolo, con brani che invece appartengono alla sfera della musica pura o d'ispirazione lirica, quali Prélude e Clair de lune. Si è pertanto al cospetto di un compendio di stili ed influenze, in cui il gusto settecentesco del primo e dell'ultimo movimento, fatti di cadenze regolari, pizzicati clavicembalistici in cui la lezione di Rameau e Couperin s'intravede tra le pieghe di una scrittura ricamata, s'intreccia con il pianismo alla maniera di Fauré proprio del Prélude iniziale, ed il nascente debussysmo del Claire de lune ispirato alla poesia di Paul Verlaine. Si tratta dunque di una composizione in cui Debussy veste quasi i panni del parnassiano per inerpicarsi su per la strada dei classici francesi della tastiera, sino a giungere alla sua "maniera", nel gioco ingannatore della maschera che nasconde e disvela realtà e inganno nella recita del teatro armonico.

Il gioco delle maschere aveva già incuriosito Debussy nel 1882, quando aveva composto Pantomime per voce e pianoforte su testo di Verlaine, ed ancora lo attirò nel 1904, alla vigilia della revisione della Suite bergamasque, quando scrisse Musques per pianoforte; tema, questo delle maschere, che, per esempio, nel 1919 suggerì a Gabriel Fauré una comédie musicale, l'op. 112, intitolata proprio Masques et bergamusques. Un soggetto quindi particolare sì, ma ricorrente, specie se pensiamo al suo apparire nell'età del neoclassicismo, dal Pulcinella stravinskiano del 1920 in poi.

L'ampio Prélude, il grazioso Menuet ed il nervoso Passepied sono giochi di palcoscenico creati per portare sul volto degli spettatori ora un sorriso, ora una lacrima, tra un batter di ciglia ed una capriola, in un continuo mutare di registri espressivi; eloquenza e malinconica ironia vestono la sarcastica comicità delle maschere debussyane, elegantemente dipinte su un fondale policromo fatto di arpeggi, veloci scale, note ribattute, accordi e cadenze del sapore antico. Particolare è poi l'inserimento nella Suite bergamasque di un brano come Clair de lune che, con la sua intimistica e sognante liricità, sembrerebbe al di fuori della logica discorsiva intessuta da Debussy. Nell'altra suite per pianoforte del musicista francese, Pour le piano, scritta nel 1894, abbiamo infatti tre movimenti (Prélude - Sarabande - Toccata) omogeneamente articolati fra loro senza fratture. L'inserimento di Clair de lune ci appare invece come l'intromissione di un corpo estraneo, di un brano al di fuori del contesto, di un corpo a sé stante, creato a parte e che vive di vita autonoma.

Debussy si era già cimentato con la poesia Clair de lune di Paul Verlaine, scrivendo nel 1882 un'omonima lirica (così come farà sei anni dopo Gabriel Fauré con l'op. 46 nel 1888) per poi ritornarvi ancora una volta nella prima serie di Fêtes galantes del 1903; questo ci dimostra senza dubbio come il testo di Verlaine avesse per lui una particolare forza suggestiva. Il ritrovarne indicazione all'interno della Suite bergamasque, ma qui senza il supporto delle parole, ci fa ritenere che Debussy volesse ritrovare tali suggestioni in veste differente. Aprire uno spazio lirico dai tratti sognanti, affacciandosi in quel mondo melanconico delle maschere che solitamente, nelle antiche recite, si svelava quando il personaggio confidava dolente il proprio amore impossibile alla pallida regina della notte.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Se nelle primissime opere per pianoforte (fra cui la Ballata e le due Ambesques), Debussy, nonostante l'ingegnosità dei ritmi e delle sonorità, non si discosta poi tanto dai suoi contemporanei, con una grazia un po' incolore, dopo pochi anni le cose cambiano, la tecnica pianistica diviene più luminosa fino a far pensare a Degas o a certe stampe cinesi (Cortot), soprattutto con la Suite Bergamasque, per certe sottili parentele che provengono da Verlaine e una vicinanza musicale di atmosfere che risente di Fauré. Ma anche con un richiamo più indietro, ai claviccmbalisti, nei quali il compositore ritrova modelli di finezza ed eleganza ineguagliabili. Dobbiamo ricordare che la Suite Bergamasque, composta nel 1890, fu pubblicata, riveduta dallo stesso autore, nel 1905 e che quindi stilisticamente si deve tener conto di questo spazio di tempo non lieve fra le due versioni, anche se i ritocchi apportati furono senza dubbio non determinanti. Resta così un lavoro estremamente gradevole, il più popolare in assoluto di tutta l'opera di Debussy, particolarmente per quel Clair de lune, terzo dei quattro pezzi che compongono la Suite, carico di un atteggiamento sentimentale di immediata presa, senza peraltro venir meno ad un suo equilibrio interiore e ad un colore che è tipico del suo autore.

Altra osservazione da fare è che in questo lavoro non c'è segno di quel wagnerismo che in qualche modo si era infiltrato in opere dello stesso periodo creativo come i Cinq Poèmes de Baudelaire. Quello che negli anni successivi Debussy scriverà per il pianiforte finisce tuttavia per ridimensionare il ruolo di questo gradevolissimo lavoro di passaggio, pulito ed elegante, che forse l'autore giudicava troppo severamente, se possiamo considerare sincera la dichiarazione che egli fece nel 1905 con ironia all'editore Fromont, al momento di inviargli la musica per la pubblicazione "Vous la donner telle quelle serait fou et inutile".

La Suite inizia con un Prelude in tempo moderato rubato, una pagina fluida e scorrevole. Segue il Menuet, squisito esempio di falso-antico non privo di concessioni salottiere. Pezzo forte di tutta la Suite, Clair de lune mantiene tutt'oggi intatto il suo fascino e nonostante l'usura derivata da un prolungato ascolto, non ci sembra, come da qualche parte è stato detto, che si rasenti la banalità. Il Passepied finale, in tempo di Allegretto ma non troppo, conclude la Suite sul movimento continuo di semiminime della mano sinistra, fingendo un ritorno all'antica danza bretone del Cinquecento, ricorrente, nella musica strumentale del Settecento, da Couperin a Bach.

Renato Chiesa


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 266 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 3 marzo 1995
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 febbraio 1990


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Ultimo aggiornamento 28 marzo 2013