Sonata per pianoforte in sol minore (Didone abbandonata), op. 50 n. 3


Musica: Muzio Clementi (1752 - 1832)
  1. Largo sostenuto e patetico. Allegro ma con espressione
  2. Adagio dolente
  3. Allegro agitato e con disperazione
Organico: pianoforte
Composizione: 1821
Edizione: Clementi & Co., Londra, 1821; André, Offenbach, s.a. (come op. 51)
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Se il merito dell'invenzione del pianoforte spetta al patavino Bartolomeo Cristofori, presagendone in anticipo l'importanza e lo sviluppo che avrebbe avuto nell'età classica e in quella romantica, fu il romano Muzio Clementi ad intuire per primo le risorse e le possibilità espressive del nuovo strumento, diffondendolo ed esaltandolo come concertista, come insegnante, come compositore e perfino, nel primo periodo londinese, come editore musicale e costruttore di pianoforti. Infatti l'opera pianistica di Clementi è molto estesa e architettonicamente severa; comprende innumerevoli preludi ed esercizi scritti a scopo didattico, stampati a Londra nel 1790 e seguiti nel 1801 a Parigi dalla «Méthode pour le Piano-Forte», accompagnata da esempi ricavati da compositori celebri, quali Haydn, Mozart, Haendel, Corelli, Rameau e altri. Ad essi vanno aggiunte le centotredici Sonate, che restano il corpus più interessante e monumentale della produzione clementiana, di cui una trentina con violino ad libitum e circa venti con violino o flauto, per non parlare del famoso «Gradus ad Parnassum, o l'arte di sonare il pianoforte esemplificata in una serie di esercizi negli stili severo e libero» (Gradus ad Parnassum, or the art of playing on the Piano-Forte, exemplified in a series of exercices in the strict and in the free stiles), lavoro compiuto e pubblicato a Londra in tre volumi tra il 1817 e il 1826, comprendente un centinaio di pezzi, considerati una specie di codice di stile pianistico, in quanto riguardano le più svariate forme: dai canoni alle fughe, dai temi brillanti a quelli virtuosistici e polifonici.

La maggiore preoccupazione di Clementi fu di ampliare le possibilità espressive del pianoforte e di sottoporre ogni elemento tecnico all'idea musicale, secondo un criterio innovatore cui attinse lo stesso Beethoven, il quale si professò ammiratore del compositore romano, assurto ai suoi tempi a celebrità anche per una gara pianistica con Mozart sostenuta a Vienna davanti all'imperatore Giuseppe II. Tra le caratteristiche del pianismo di Clementi si possono annoverare alcuni aspetti essenziali: la sonorità piena e vigorosa di ogni nota, i contrasti tra «legato» e «staccato», la varietà dei colori e la capacità di elaborare, senza schemi precostituiti, il materiale tematico, tanto da far dire a qualche musicologo che egli sia stato un artista preromantico. In realtà Clementi, pur cercando di approfondire il linguaggio pianistico, resta un compositore di linea classica, ma illuministicamente aperto ad una penetrazione del discorso musicale, come dimostra la Sonata in sol minore op. 50 n. 3, scritta nel 1821 e ispirata alla storia amorosa di Didone del quarto libro dell'Eneide virgiliana. Dopo una introduzione meditativa la Sonata acquista intensità di sentimento, espressa con nobiltà di accenti di intima inquietudine. Nell'Adagio si coglie una cantabilità particolarmente adatta al timbro pianistico, su un piano melodico ben legato e coerente, mentre nell'Allegro finale il musicista esplora una drammaticità concitata e accesa, quasi di taglio operistico e tale da far ricordare una certa «maniera» compositiva alla Cherubini.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le tre sonate op. 50 furono composte nel 1821. Clementi aveva 69 anni ed era passato attraverso le principali fasi stilistiche della nuova musica strumentale: lo stile galante di J. Ch. Bach, da lui frequentato in gioventù a Londra, il primo sinfonismo viennese di Haydn e di Mozart, incontrati rispettivamente a Londra e a Vienna, il titanismo beethoveniano (e di Beethoven Clementi aveva fatto personale conoscenza nel 1807, ed era diventato uno dei suoi principali apostoli).

La sonata «Didone abbandonata» traspone il nuovo linguaggio romantico nella musica e programma. Il largo introduttivo e l'adagio non mancano di enfasi neoclassica, in cui rivive sulla tastiera la declamazione spontiniana. Gli allegri riflettono invece il pathos del nuovo secolo. Il primo dal tema sinuoso, esitante, ad immagine dell'affanno dell'eroina; il secondo connesso al suicidio, volitivo e disperato, con movenze di una irruenza schumanniana.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 25 novembre 1977
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 novembre 1973


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Ultimo aggiornamento 9 luglio 2015