Sinfonia n. 6 in si minore, op. 74 "Patetica"


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Adagio. Allegro non troppo
  2. Allegro con grazia
  3. Allegro molto vivace
  4. Adagio lamentoso. Andante
Organico: ottavino, 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, percussione, archi
Composizione: 1892 - 1893
Prima esecuzione: San Pietroburgo, 16 Ottobre 1893
Guida all'ascolto 1

Petr Ilic Cajkovskij riassume nella sua opera le aspirazioni ed i conflitti degli intelletuali russi nel periodo che va dall'abolizione della servitù della gleba (Febbraio 1861) alla vigilia del nuovo secolo. Figlio di un alto dirigente dell'industria mineraria viene avviato agli studi di giurisprudenza che lo portano ad un impiego presso il Ministero della Giustizia. Nel 1862 lascia l'impiego statale per approfondire i suoi interessi musicali iscrivendosi al Conservatorio di San Pietroburgo. Completata la sua formazione, ricopre la cattedra di armonia al Conservatorio di Mosca ed avvia la sua attività che lo porta gradualmente al successo internazionale sia come compositore che come direttore d'orchestra.

Tutta la sua vita si snoda sul profondo contrasto tra il successo delle sue composizioni ed il pessimismo interiore dovuto al terrore per il pubblico, ai sensi di colpa per le tendenze omosessuali, alla delusione del matrimonio naufragato dopo poche settimane con Antonina Ivanovna Miliukova che lo porta sull'orlo del suicidio ed all'improvvisa rottura da parte della sua confidente e mecenate Nadezda von Meck nel 1890. Rientrato dalla fortunata trasferta americana che lo ha colmato di onori, nel 1892 presenta al pubblico Iolanta e Lo Schiaccianoci mentre inizia la composizione della sua ultima sinfonia. I fili del passato si riannodano, l'ambiguità tra successo e pessimismo interiore si fa sempre più accesa mentre la sua vita si avvia al termine.

Su questi contrasti nasce la Sinfonia in si minore n. 6 op. 76 "Patetica", la sua ultima straordinaria partitura ed anche la più pessimistica.

Il brano scritto tra il Febbraio e il Marzo 1893 ed orchestrato durante l'estate è dedicato al nipote Vladimir L'vovic Davydov.

Il 16 Ottobre 1893 a San Pietroburgo dirige la sua sinfonia con un successo più che altro di stima che lo amareggia profondamente poiché considera il brano, oltre che il migliore anche la più sincera di tutte le sue opere.

A quanto sembra, il titolo "Patetica", (forse per sottolineare l'elemento della compassione e l'esibizione del dolore) fu suggerito al compositore dal fratello Modest all'indomani della prima esecuzione.

Come è noto, nove giorni dopo Caikovskij muore per un attacco di colera. Fu sin troppo facile cogliere in quel mistero da decifrare che intendeva essere l'ultima sinfonia una sorta di estrema e impietosa confessione autobiografica e il senso di un tragico commiato. Pur nel rispetto delle coordinate stilistiche che avevano sempre disciplinato la sua invenzione, il culto della forma, l'equilibrio delle proporzioni, la maestria, della scrittura e dell'orchestrazione, Caikovskij aveva composto una sinfonia che rivela al di là di ogni dubbio il percorso, sino alla morte, di un'anima tormentata.

La concezione della "Patetica" sconvolge anzitutto la retorica della sinfonia ottocentesca, spostando alla parte finale il movimento lento, tradizionalmente collocato al centro, e comprendendo all'interno due movimenti mossi, uno soltanto dei quali, l'Allegro con grazia, riconducibile a una convenzionale tipologia sinfonica, quella dello Scherzo. L'ambito delle dinamiche che si estende dal fortissimo (ffff) al pianissimo (pppppp), e le indicazioni di tempo che nel primo e nell'ultimo movimento cambiano di continuo sottolineando il teatrale avvicendamento dei quadri, riflettono una nevrosi patologica; le strutture motiviche e tematiche enunciate nell'introduzione del primo movimento che costituiscono la sostanza musicale sulla quale si fonda l'intera sinfonia hanno un preciso connotato semantico, dolente e funereo; così come funebri sono le citazioni, di natura sia melodica che ritmica, tratte dalla liturgia ortodossa dei defunti.

Il primo movimento è in forma sonata ma si caratterizza per la struttura a episodi giustapposti. Nell'introduzione (Adagio) in un'atmosfera sonora di cupa disperazione, dal timbro molto scuro, perlopiù mantenuto tra il pianissimo e il piano, compaiono gli elementi tematici posti alla base dell'intera sinfonia: la cellula generativa di quattro note da cui nasce la melodia del fagotto, la successione ascendente di cinque note che costituisce l'ossatura della stessa melodia, il cromatismo discendente simultaneamente disegnato dai contrabbassi. Dopo che il fagotto ha ripetuto la sua frase, le viole gli rispondono con un motivo discendente, anch'esso riconducibile alla radice tematica dell'intera sinfonia. L'Allegro non troppo costituisce l'esposizione; il primo gruppo tematico, è avviato da viole e violoncelli divisi e si fonda su due elementi: la cellula generativa di quattro note e un motivo con note ribattute. Il costrutto tematico viene subito riproposto in progressione. Da un motivo ritmico e leggero degli archi (saltando) derivato dalla cellula generativa, trae origine una transizione-elaborazione contrappuntistica in tempo via più animato che si estende anche ai legni e ai corni, finché la testa del tema risuona perentoria agli ottoni. Dopo questo primo momento culminante, l'andamento musicale va placandosi e alla fine il mormorio dei violoncelli viene raccolto da una frase espressiva e interrogativa delle viole (Adagio). Con l'indicazione di Andante compare il secondo gruppo tematico. Sulle armonie tenute dei fiati, i violini ed i violoncelli (teneramente, molto cantabile, con espansione), suonano una frase di profilo melodico prevalentemente discendente, e di appassionata, memorabile intensità elegiaca, con alternanza di incalzando e ritenuto. Il secondo gruppo tematico, Moderato mosso, prosegue con un motivo ascendente affidato al dialogo imitativo dei legni su un accompagnamento degli archi derivato dal motivo ritmico e leggero della transizione. Dopo un momento di sospensione ritorna il periodo principale, Andante, ora cantato da violini e viole nel registro acuto e amplificato a piena orchestra. Il Moderato assai segna l'epilogo dell'esposizione. Il periodo principale del secondo gruppo tematico si flette e si smorza poco a poco sino alla dissolvenza mentre in un contesto dinamico che va dal piano a un pianissimo estremo e utopico ai confini del silenzio, riaffiora col clarinetto (in tempo Adagio mosso e poi ritardando molto, dolce possibile) la reminiscenza lontana del secondo tema su un morbido tappeto di archi e timpani. Lo Sviluppo ha inizio in tempo Allegro vivo. Rispetto a quanto precede, lo stacco non potrebbe essere più brutale: con un'esplosione in fortissimo su un accordo di tutta l'orchestra il discorso musicale assume accenti barbarici e violenti nei quali si inizia a riconoscere la testa del primo tema. Dalla testa del primo tema trae spunto un fugato, fortissimo e feroce, che vede protagonisti archi e legni, finché non si staglia, stentoreo sulle concitate figurazioni degli archi, fortissimo e marcatissimo, un motivo discendente degli ottoni. Sul mormorio degli archi gravi, una tromba e i tromboni citano, cantabile, un inciso della liturgia ortodossa dei defunti «Cum Sanctis»: il tocco lugubre prepara l'introduzione alla Ripresa, contraddistinta da un'arcata in diminuendo e quindi dal riaffacciarsi, via via più pressante e in crescendo, degli elementi del primo gruppo tematico. La ripresa del primo gruppo tematico a piena orchestra ed in fortissimo, è di fatto ambiguamente incorporata all'interno dello Sviluppo: da un lato il senso di ricapitolazione è palese, dall'altro la ripresa si inserisce in un dettato sinfonico assai fluido che ne attenua lo stacco rispetto a quanto la precede e la segue immediatamente. Segue una nuova sezione elaborativa basata sugli elementi del primo tema che assolve al contempo la funzione di transizione alla ripresa del secondo gruppo tematico. Si apre con un'arcata in grande crescendo, di ampio e dilatato respiro sinfonico, che ben presto raggiunge un rullante pedale degli archi gravi, dei fagotti e dei timpani ed è percorsa dall'intervento possente degli ottoni che disegnano motivi ascendenti e discendenti. La sezione si conclude a valori larghi, con un'imponente e lacerante perorazione a piena orchestra, in fortissimo in cui gli archi tracciano desolate parabole melodiche discendenti e i tromboni ripetono con insistenza un lugubre motivo in ritmo puntato. Poi la sonorità decresce rapidamente sino al pianissimo e si spegne in una lunga pausa. Ora la ricapitolazione assume un corso regolare, con la ripresa del secondo gruppo tematico e a piena orchestra (Andante come prima), e quindi con l'epilogo, in Tempo I, corrispondente a quello dell'Esposizione; in tempo più lento (Meno) riaffiora la reminiscenza del secondo tema da parte del clarinetto (con tenerezza), ora sostenuto anche da un remoto rullo di timpani. Nella coda Andante mosso, una marcia funebre si definisce in una gestualità strumentale inequivocabile: sulle ostinate scale discendenti in pizzicato degli archi il mesto corale cantabile degli ottoni e poi dei legni segna il progressivo spegnersi, quasi fisiologico, della musica lasciando alla fine risuonare, in pianissimo e morendo, l'accordo dei tromboni punteggiato dai colpi dei timpani.

Il secondo movimento, Allegro con grazia, ha la forma ternaria tipica dello Scherzo e si contraddistingue per il contrasto tra la parte principale e quella mediana. Nella prima parte domina l'elegante, malinconico tema di valzer in cinque tempi, enunciato dai violoncelli nel registro tenorile e quindi ripreso dai legni (l'intera sezione viene subito ripetuta). Il tema affidato agli archi e poi ai legni che lo proseguono sul pizzicato degli archi, torna successivamente agli archi stessi che ne estendono il respiro. La parte centrale, su un funereo pedale degli archi gravi e dei timpani, è costituita da un Trio tripartito. La melodia cantabile, condotta dagli archi con dolcezza e flebile, ha andamento disperatamente discendente; delle tre sezioni la prima e la seconda sono ripetute, la terza è la ripresa della prima. Nell'organica prosecuzione del Trio che avvia la riconduzione alla ripresa s'inseriscono motivi del tema di valzer ai legni e quindi anche agli archi. Seguono la ripetizione della prima parte e infine la coda. In un'atmosfera rarefatta e sospesa riaffiorano motivi della melodia del Trio (ai legni, ai violoncelli, al corno), e infine anche la testa del tema di valzer (ai violini I).

Manoscritto sinfonia

Il terzo movimento, Allegro molto vivace, è un rondò-sonata. L'Esposizione si apre con la prima idea tematica un leggerissimo e scintillante moto perpetuo di terzine staccate condotto da archi e fiati, dal quale emergono ben presto (agli oboi, ai tromboni e a trombe e corni) accenni al tema di marcia che costituisce la seconda idea tematica del movimento; la sovrapposizione delle due idee che percorre il movimento quasi da cima a fondo ha un che di straniato e inquietante. Si profila quindi un motivo discendente, marcato, che circola tra le famiglie dell'orchestra prima che i motivi di marcia diventino più insistenti agli ottoni, ai legni e ai timpani. Ed ecco la seconda idea: è un tema di marcia, delineato piano e leggiermente dai clarinetti sul moto perpetuo che continua agli archi. Quando il tema viene ripreso dagli archi ha inizio un grande crescendo, dal quale nasce poi la breve sezione intermedia della seconda idea, con robuste strappate degli archi che si alternano a svolazzi dei legni sul pizzicato di viole e violoncelli, in cui il moto perpetuo delle terzine staccate è momentaneamente sospeso. Al termine dell'Esposizione ritorna il tema di marcia, suonato dai clarinetti e poi dagli archi. Una concisa riconduzione porta alla Ripresa variata della prima idea tematica. La sezione col motivo discendente, marcato, è ampliata rispetto a quanto abbiamo sentito nell'Esposizione e condotta in grandioso crescendo: su un rullo di timpani i motivi di marcia si gonfiano in una possente fanfara che culmina in una scarica di rapide scale ondeggianti, sempre fortissimo, distribuite tra gli archi e i legni. Nella ripresa della seconda idea il tema di marcia è suonato a piena orchestra. Anche la breve sezione intermedia della seconda idea, con gli ottoni in evidenza, viene espansa rispetto all'Esposizione: una sequenza melodica ascendente condotta dai violini I incrementa la tensione sino a un'ulteriore poderosa fanfara. L'epilogo del movimento comprende il trionfale ritorno del tema di marcia a piena orchestra, ora scandito anche da piatti e grancassa, e la coda, con apoteosi dei motivi di marcia, sempre fortissimo, in vertiginoso e parossistico crescendo.

Il Finale Adagio lamentoso - Andante ha la forma di un movimento di sonata senza Sviluppo, dove l'assenza di qualsiasi sviluppo possibile per i temi è emblematica di una condizione spirituale senza più prospettive. La contrapposizione con l'impeto trionfale del movimento precedente è crudele, persino imbarazzante. Apre l'Esposizione il primo tema (Adagio lamentoso), di straordinaria intensità emotiva. Il tono funebre è inequivocabile nel profilo discendente della melodia (inizialmente mascherata dagli incroci delle parti). Questo primo tema è ispirato alla liturgia ortodossa dei defunti («Requiem aeternam») e ha andamento molto flessibile e palpitante (in successione ravvicinata: largamente, affrettando, rallentando, Andante, Adagio poco meno che prima). Il tema condotto dagli archi, viene ripetuto e concluso in diminuendo dal fagotto. In tempo Andante risuona il secondo tema. Su un delicato accompagnamento dei corni, il tema di inconsolabile mestizia è cantato pianissimo con lentezza e devozione dagli archi. Anche il secondo tema pare ispirato alla liturgia ortodossa dei defunti («Lux perpetua») e ha andamento molto flessibile (secondo la successione ripetuta poco animando, ritenuto, Tempo I). Il tema, che passa ben presto all'ottava superiore e al registro acuto dei violini, viene condotto in grande crescendo e si espande attraverso aggettanti frasi ascendenti, coinvolgendo poco a poco tutta l'orchestra, a cominciare dai tromboni, sino al fortissimo. Il crescendo è accompagnato nell'ultimo tratto da un'accelerazione, il tempo si fa Più mosso e quindi Vivace quando imperiose scale discendenti percorrono la tessitura orchestrale, culminando in una strappata. Dopo una pausa generale, l'epilogo dell'esposizione che conduce alla ripresa (Andante) ripropone l'inciso iniziale del secondo tema, sottolineandone l'affinità con il primo. Lungo la scala discendente dei violini la sonorità decresce gradualmente dal fortissimo al piano. Con l'indicazione di Adagio non tanto inizia la ripresa variata. Ritorna il primo tema poi esteso e amplificato a piena orchestra e condotto in grande crescendo sino a raggiungere, in tempo Moderato assai, il fortissimosul quale risuona l'inciso iniziale del tema (incalzando poi ritenuto). Segue, di nuovo Andante, la perorazione della frase iniziale del primo tema, ancora in fortissimo; poi, sul fatale colpo di tam-tam, tromboni e tuba intonano una sorta di lugubre corale dalle allusioni metafisiche, connotato dal cromatismo discendente, che va spegnendosi nella sonorità dal piano al pianissimo e nell'andamento poco rallentando, sino al quasi adagio. L'ultima sezione del movimento (Andante giusto) assolve alla duplice funzione di ripresa del secondo tema e di coda. Sulle note dei contrabbassi e sullo sfondo degli accordi tenuti dei legni, gli archi disegnano la linea discendente del secondo tema, ormai privo di qualsiasi slancio o sussulto ascendente. Alle frasi dei violini, rispondono viole e violoncelli finché il tema sprofonda definitivamente sino al registro più grave dei violoncelli divisi, inabissandosi, con una sonorità che raggiunge un pianissimo e si dissolve nel silenzio, in profondità misteriose e senza scampo nelle quali viene poco a poco meno la pulsazione stessa della musica.

Terenzio Sacchi Lodispoto

Guida all'ascolto 2 (nota 1)

Se ci si pensa, ogni ascoltatore, in ogni sala da concerto del pianeta, oscilla tra due atteggiamenti: da un lato c'è il piacere di provare emozioni astratte, sensazioni che soltanto la musica può suggerire; dall'altro c'è invece il sogno di capire che cosa la musica ci vuole dire, di comprendere i segreti, i messaggi cifrati che il compositore potrebbe aver voluto celare nella partitura. Per seguire questo secondo, talvolta sfrenato desiderio, accade che ci si rivolga a dettagli della biografìa dell'autore, con lo scopo di cercare lì dentro la chiave necessaria ad aprire l'agognata cassaforte. E può capitare che, nel farlo, si inciampi disastrosamente.

Trent'anni fa, ad esempio, per un po' abbiamo creduto tutti che Cajkovskij si fosse suicidato. Nel 1979, infatti, la musicologa russa Alexandra Orlova aveva pubblicato un articolo sulla rivista inglese Music and Letters sostenendo che il Maestro si fosse ucciso avvelenandosi, seguendo gli ordini di un giurì d'onore composto da alcuni suoi vecchi compagni della Facoltà di Giurisprudenza, al fine di coprire l'incombente scandalo che avrebbe rivelato la sua relazione con il giovane nipote del duca Stenbock-Thurmor. Ci cascammo tutti, persine David Brown, il biografo di Cajkovskij, che accettò questa teoria scrivendone sul serissimo New Grove Dictionary of Music, fino a che, in anni più recenti, ci si è resi conto che non esiste nessuna evidenza a supporto di questa ipotesi, tanto che, nelle nuove biografie del Maestro, studiosi come Alexander Poznansky hanno definitivamente respinto le ipotesi della Orlova. E così ora Cajkovskij è tornato ad esser morto per aver bevuto senza pensarci un bicchiere d'acqua non bollita, gesto pericoloso nella San Pietroburgo del 1893 in cui si erano già contati diversi casi di colera.

Al di là della verità biografica, tuttavia, ciò che sembra interessante è che difficilmente la teoria della Orlova avrebbe attecchito se l'ultima pagina composta non fosse stata proprio la Sesta Sinfonia, se il Maestro non fosse morto pochi giorni dopo la prima esecuzione, se il fratello Modest non gli avesse suggerito la necessità di un titolo per questo lavoro e se Pëtr ll'ic non avesse pensato che sì, tutto sommato quel "Patetica" che Modest gli aveva buttato lì non suonava male. L'ipotesi Orlova sarebbe stata perfetta: la musica che illumina la vita, la vita che spiega la musica, tutto che combacia. Peccato.

Ciò che invece le fonti raccontano a proposito di questa straordinaria Sinfonia ha a che fare con un momento di crisi creativa. Nel dicembre 1892 Cajkovskij decise improvvisamente di smettere di lavorare ad una Sinfonia in mi bemolle maggiore alla quale si era dedicato per un po' di tempo: "una decisione irreversibile - scrisse - ed è bellissimo che io l'abbia presa". Ma il fallimento di questa nuova Sinfonia lasciò Cajkovskij afflitto, disorientato, tanto da cominciare a temere di essere ormai "fuori gioco, prosciugato", "lo penso e penso, e so che cosa non devo fare", scrisse a suo nipote Vladimir (da tutti conosciuto come Bob) Davydov, al cui sostegno ricorreva in occasione di crisi come questa. Tuttavia, benché temesse di essere spazzato via dal nuovo corso dell'estetica continuando a comporre "pura musica, cioè musica sinfonica o da camera", in capo a un paio di mesi il Maestro si riprese e cominciò a scrivere quella che sarebbe diventata la sua più grande Sinfonia (nonché l'ultima).

Stese la musica freneticamente, eccitato dalla ritrovata gioia del comporre. In quattro giorni la prima parte della Sinfonia fu completata, e si dice che il resto albergasse già nella sua mente in modo preciso. "Non puoi immaginare quanta felicità mi ha colto nello scoprire che il mio tempo non è ancora passato e che posso ancora lavorare", scrisse a Bob l'11 febbraio 1893. Continuò dunque a scrivere, senza nessuna battuta d'arresto, e alla fine di agosto la Sinfonia era finita e pronta per la prima esecuzione, organizzata il 28 ottobre.

Fu il compositore stesso a dirigerla - in quegli anni era ormai acclamatissimo nei due ruoli - e in sala si era radunata tutta la Pietroburgo che contava. Al suo ingresso il pubblico si alzò in piedi per applaudirlo e tutto avrebbe fatto pensare che ci si preparava al più fragoroso dei successi. Alla fine, invece, gli applausi furono timidi, incerti: la gente non sapeva che cosa farsene di una musica così sobria e cupa. Uscendo dalla sala da concerto, Cajkovskij si lamentò che né il pubblico né l'orchestra sembravano avere apprezzato la sua nuova partitura; due giorni dopo, invece, annotò: "non è che non sia piaciuta, ma ha creato un certo smarrimento".

Ora, la tentazione di leggere qualcosa di tragico in questa Sinfonia è effettivamente forte e ormai storicamente consolidata. Persino il compositore, che non aveva voluto spingere verso un'interpretazione precisa, aveva ammesso prima dell'esecuzione che il carattere del lavoro si avvicinava a quello di un Requiem, e le frasi incantate del trombone nel primo movimento citano effettivamente un canto funebre della tradizione ortodossa. Certo i primi ascoltatori furono sorpresi da quel finale così inconsueto, lento, lugubre, che si spegne nel silenzio con il pianissimo assoluto (pppp, in partitura) nel quale suonano soltanto violoncelli e contrabbassi. Così, quando nove giorni dopo la prima esecuzione Cajkovskij morì, improvvisamente e con la violenza portata dal colera, la Sinfonia venne inesorabilmente identificata come un messaggio funebre: in occasione della seconda esecuzione, il 6 novembre, organizzata in memoriam, la "Gazzetta Musicale Russa" annotò perentoriamente che "la sinfonia era una sorta di canto del cigno, un presentimento della fine imminente".

Ma che cosa ha voluto raccontare davvero Cajkovskij nella Patetica? Sappiamo che aveva in mente l'idea di una Sinfonia a programma, ma gli appunti criptici lasciati accanto ai pentagrammi dicono poco se non che si ha a che fare con le aspirazioni e le delusioni della vita (soggetto portante nel pensiero del compositore: la ricerca di un ideale mai raggiunto è anche il cuore del Lago dei cigni e dell'Evgenij Oneghin). Scrisse a Bob che la partitura seguiva "un programma che rimarrà un mistero per chiunque - lasciamoli indovinare"; e allora il suggerimento è quello di provare ad ascoltare la musica per quello che è, magari badando ad alcuni meravigliosi dettagli contenuti nei diversi movimenti.

Il lunghissimo primo tempo, ad esempio, è un unicum nella produzione di Cajkovskij, con quel fagotto al grave, solo, sopra archi scurissimi, in un'atmosfera nella quale, quasi annunciando certe modalità espressive delle avanguardie del Novecento, giocano senz'altro un ruolo maggiore il timbro che le note scelte. Ed è da ascoltare la sua capacità di mantenere questo carattere per tutto il movimento, anche quando l'Adagio introduttivo sfocia nel meraviglioso tema dell'Allegro non troppo.

Il secondo tempo, Allegro con grazia, è una sorta di valzer impossibile, in 5/4, quasi un incubo per un ballerino: l'atmosfera è quella giusta, ci si sente invitati al ballo del principe ma il metro scelto farebbe incrociare le gambe e cadere rovinosamente - no, è un valzer indanzabile.

Volendo ci si potrebbe invece allineare sul ritmo di marcia dell'Allegro molto vivace, gioioso, scherzoso, orchestrato con straordinaria sapienza: lì il tono patetico sparisce e il cuore, le orecchie, per alcuni minuti si dedicano decisamente ad altro.

Il finale comincia con un pianto disperato, nel quale tutto il calore degli archi non riesce a consolare il dolore del corno, e questo senso di desolazione prosegue sino alle ultime note, facendoci scoprire che persino Cajkovskij, amato per la sua sapienza nel costruire musiche fatte di pulsazioni ritmiche e fragori sonori, quando voleva sapeva comporre pagine che si muovono in punta di matita, tra colori pastello e dinamiche ridotte. E non ci si lasci trarre in inganno dal crescendo centrale: non conduce da nessuna parte, se non ad un punto di non ritorno, quando un singolo e moderato colpo di tam-tam segna l'avvio della dissoluzione progressiva di ogni cosa.

Nicola Campogrande

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

I primi schizzi della «Patetica» risalgono all'autunno 1892. Sono gli anni in cui Ciaikovsky sente appressarsi la fine. Cura una edizione delle sue liriche, e fa testamento. Ancor più del consueto il musicista è incerto sul valore di quanto compone. Gli schizzi del 1892 vengono distrutti, e la «patetica» è riscritta di getto nel marzo 1893. L'epistolario di Ciaikovsky indica come la «patetica» fosse concepita quale sinfonia a programma, ma l'autore non ha mai indicato con precisione di quale programma si trattasse, e l'indagine critica propende per una biografia artistica con finale di disperazione.

La Sinfonia prende le mosse da una introduzione che può esser definita una sorta di idea fissa, e che ricompare anche nel finale dell'opera. La caratterizzazione affettiva di questo tema è sviluppata attraverso alcune varianti e il risalto loro conferito dalla miracolosa strumentazione ciakovskiana. Il tema sorte cavernoso dal fagotto nel registro basso, e si trasforma in un misurato cantabile nel successivo allegro. La seconda idea del primo tempo è la celeberrima e patetica frase in andante, rimasta nel cuore romantico quale esempio assoluto di melodia. La costruzione e la strumentazione abilissima variano continuamente gli slanci e la pregnanza delle immagini. Nello sviluppo il carattere sinistro del programma è indicato dall'inserto del canto funebre «Pace con i beati». La coda è scandita da un appello delle trombe, quasi un avvio verso un cattivo destino.

L'Allegro con grazia in 5/4 riporta alla Russia campestre, filtrata attraverso il salone borghese. La forma è quella della danza con trio. Le idee cantabili si incatenano scorrevolmente l'un l'altra, e soltanto il trio riconduce alla insistenza di languide appoggiature.

L'Allegro molto e vivace è costruito sulla compresenza di due temi, l'uno spumeggiante in rapide terzine staccate, da scherzo mendelssohniano, l'altro alla marcia. Con stupenda maestria strumentale Ciaikovsky conduce il gioco del cancellare ed affermare fino alla apoteosi brillante del tema alla marcia. Il Finale è intriso nel lugubre. Il primo tema si crogiola nelle appoggiature, stilema classico dell'idea fissa patetica, il secondo è un frammento di canto il cui risalto melodico è sottolineato da accenni contrappuntistici in eco. Slanci ed abbandoni sono drammatizzati in una sorta di recitativo a piena orchestra, una invenzione tipicamente ciaikovskiana, fino ad un finale in dissolvenza.

Sulla «patetica» così Ciaikovsky si espresse scrivendo al fratello Modesto nell'agosto del 1893: «La ritengo la migliore, e precisamente la più compiuta delle mie opere. L'amo, come fino ad ora non ho mai amato nessun'altra delle mie creature». La prima fu diretta dall'autore a Pietroburgo il 28 ottobre di quell'anno. A fine novembre Ciaikowsky moriva di colera.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 4 (nota 3)

La storia del capolavoro sinfonico di Ciaikovski è strettamente legata, e forse non solo sul piano delle pure coincidenze, con quella dell'ultima e definitiva crisi della sua esistenza interiore, culminata in una morte per molti versi inquietante. Nel 1888, l'insuccesso della Quinta sinfonia, al pari della Quarta (1877) intessuta di dolorosi riferimenti autobiografici, aveva duramente colpito Ciaikovski, che per altri quattro anni si era astenuto dall'affrontare la grande forma sinfonica, un impegno che gli era sempre costato molte perplessità e indecisioni. Le difficoltà torturanti della sua vita di disadattato, in continuo conflitto con il mondo esterno, si aggravarono sensibilmente negli ultimi anni del compositore, precocemente invecchiato anche sotto il profilo fisico. Già il periodo fra il 1883 e l'88 si era caratterizzato come una fase di decadenza, quasi come se le facoltà creative di Ciaikovski si fossero esaurite con Mazeppa, la sua sesta opera teatrale: fino alla Quinta sinfonia, la produzione di Ciaikovski era parsa non poter più ripetere la felicità di risultati della giovinezza: nel '90, poi, l'interruzione del rapporto con Nadezda von Meck, la ricchissima dama che gli aveva offerto protezione economica e amicizia per tredici anni, aveva accentuato ancor più le sue nevrosi e il suo senso di insicurezza, togliendogli un punto d'appoggio importantissimo, anche se per molti versi assurdo (fra Ciaikovski e Nadezda, com'è noto, non vi furono altro che contatti epistolari, cosa che impedì che fra i due, al momento della rottura voluta dalla signora stessa, pare perché finalmente edotta dell'omosessualità di Ciakovski, si potesse avere una spiegazione). Giunto ai cinquantanni, e dimostrandone in ogni senso di più, Ciaikovski si vedeva in una situazione psicologica senza via d'uscita, forse ancor più grave di quella che aveva attraversato nel '76 dopo la brusca conclusione del suo brevissimo, strampalato matrimonio.

In un momento così difficile, la ritrovata fertilità creativa aveva veduto nascere quello che è forse il capolavoro di Ciaikovski operista, La dama di picche (1890), salutata da un successo enorme al pari dei due grandi balletti, La bella addormentata (1888-1889) e Lo schiaccianoci (1891-92), composti in quel periodo. Il successo esteriore che finalmente arrideva a Ciaikovski, consacrato su scala mondiale, non fu tuttavia sufficiente a disperdere quel pessimismo che aveva sempre dominato il musicista, riflettendosi in modo più o meno esplicito sulla sua produzione. Nel '92, nel tentativo di prendersi una rivincita sulla sfortunata esperienza della Quinta, Ciaikovski condusse quasi a termine la composizione di una nuova Sinfonia, ma in un accesso di autocritica il lavoro fu distrutto: per alcuni mesi Ciaikovski visse nella più cupa disperazione, lacerato da dubbi più drammatici di sempre circa le sue possibilità creative. Quando l'ispirazione sembrò tornargli, nel febbraio del '93, Ciaikovski si rimise al lavoro quasi con frenesia: in agosto, la più grande e importante delle sue Sinfonie, la Patetica, era finalmente conclusa. Il 16 ottobre di quell'anno, a Pietroburgo, Ciaikovski dirigeva la prima esecuzione della nuova Sinfonia, accolta senza eccessivi entusiasmi dalla critica e dal pubblico. Pochi giorni dopo, la improvvisa e inspiegabile catastrofe: a cena con il fratello e altri amici, Ciaikovski bevve dell'acqua non bollita, imprudenza pazzesca, poiché in quei giorni a Pietroburgo infuriava un'epidemia di colera. Una folle scommessa, si direbbe, che la morte avrebbe inevitabilmente vinto: il 25 ottobre, dopo cinque giorni di sofferenze, Ciaikovski soccombeva al colera che forse non involontariamente aveva contratto. Alla luce di questi avvenimenti, è fin troppo facile attribuire alla Patetica il carattere di un testamento, di una tragica confessione di sconfitta, di una profezia di morte. Comunque stiano le cose, è certo che Ciaikovski compose la sua Sinfonia tenendo ben presente un «programma» peraltro destinato a rimanere segreto. «Questo programma», scriveva nel febbraio del '93 Ciaikovski al nipote, «riflette via via i miei sentimenti più intimi. In viaggio, mentre mentalmente ne andavo componendo l'abbozzo, scoppiai più di una volta a piangere come se fossi in preda alla disperazione». Il lavoro era andato avanti molto velocemente, dapprima. Ma in luglio, ecco Ciaikovski di nuovo in difficoltà: «Sono immerso fino al collo nella mia Sinfonia. Quanto più procedo, tanto più difficile mi riesce la strumentazione. Vent'anni fa era un lavoro che mi riusciva d'un fiato, semplicemente, senza che ci dovessi pensare, e tuttavia assai bene. Adesso sono diventato vile e incerto». E ancora, in una lettera al granduca Costantino, una significativa ammissione: «È sconcertante come la mia ultima Sinfonia, quella che ho appena finito, sia intrisa di un'atmosfera non diversa da quella di un Requiem, particolarmente nel tempo finale».

Questa puntualizzazione coglieva il dato più vistoso, e non solo esteriormente, della Patetica, forse la prima Sinfonia nella storia che terminasse, anziché con un movimento veloce, con un tempo lento, un lungo Adagio lamentoso. Nella dichiarata intenzione programmatica di Ciaikovski questa scelta assumeva un significato ben preciso: nella Patetica, come nelle due Sinfonie che l'avevano preceduta, il compositore aveva inteso sviluppare e rappresentare musicalmente un tema psicologico per lui di drammatica attualità, quello della lotta contro il fato. Da questa lotta, l'io di Ciaikovski non poteva non uscire perdente; donde il carattere tragico e sofferto di tutte e tre le sue ultime Sinfonie. Ma la sconfitta aveva nei due lavori precedenti trovato una raffigurazione in certo senso ambigua, nascondendosi dietro il turbinare vivacissimo del Finale della Quarta, e assumendo le spoglie di un improbabile quanto suggestivo eroismo nelle fanfare che percorrono quello della Quinta. Adesso, in quel quasi mahleriano capovolgimento della successione tradizionale dei movimenti, che articola la Patetica in un drammatico e complesso primo movimento con introduzione lenta, due tempi con carattere di Scherzo o comunque di intermezzo, e il lungo e sconsolato Finale in tempo lento, il conflitto esistenziale chiarisce con assoluta evidenza i termini della propria risoluzione. E indubbiiamente il carattere di «canto del cigno» della Patetica trova nel «programma» occulto e nella sua realizzazione una conferma suggestiva e commovente. Ma niente sarebbe più ingiusto che ridurre il valore della Sinfonia a questi dati, di per sé artisticamente insignificanti. Il pathos che in essa domina, rendendo ampia ragione del titolo (saviamente sostituito a quello di Tragica concepito in origine) si affida a un linguaggio musicale di estrema ricchezza e intensità, dove la scoperta espressività delle linee melodiche non cede mai al facile gusto lacrimoso di tante altre pagine ciaikovskiane, e dove l'obbedienza al «programma» non la vince mai sulle esigenze puramente musicali della costruzione, mentre la strumentazione tocca un'efficacia e una comunicativa ben superiori a qualsiasi esteriore colorismo tardo Ottocento. Soprattutto, l'intensità della proposta espressiva non va mai a detrimento di quell'eleganza, intesa in senso non superficiale, che era rimasta tante volte un sogno non realizzato in Ciaikovski: troppo spesso confinati in secondo piano dalla sofferta «pateticità» dei due tempi estremi, i due movimenti centrali contribuiscono a pieno diritto a disegnare la fisionomia della Sinfonia e a determinarne il valore: tanto nell'originale concezione metrica dell'Allegro con grazia, con quel 5/4 che sembra - mahlerianamente, ancora una volta - proporre uno «zoppo» tempo di Valzer, quanto nella vivacità ritmica dello Scherzo, la capacità di controllo dimostrata da Ciaikovski nel trattare una materia psicologica così dolorosamente incendiaria è quella di un sinfonista degno di stare fra i massimi del suo tempo, come troppo spesso si è stati tentati di negare.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della musica, 28 Maggio 2011
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 ottobre 1975
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 4 maggio 1982

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Ultimo aggiornamento 2 aprile 2017