Evgenij Onegin, op. 24

Scene liriche in tre atti e sette quadri

Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
Libretto: Konstantin S. Silovskij e proprio dall'omonimo romanzo in versi di Aleksandr Sergeevic Puskin

Personaggi: Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, arpa, archi
Composizione: Glebovo, 10 giugno 1877 - Sanremo, 1 febbraio 1878
Prima rappresentazione: Mosca, Teatro Malyj, 29 marzo 1879
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1880
Struttura musicale

  1. Introduzione - Andante con moto
Atto I
Quadro I
  1. Duetto e quartetto - Andante con moto
  2. Coro - Adagio
    Danza dei contadini - Moderato assai
  3. Scena - Andante
    Arioso di Olga - Andante mosso
  4. Scena - Andante
  5. Scena - Moderato
    Quartetto - Andante
  6. Scena - Moderato
    Arioso di Lenskij - L'istesso tempo
  7. Scena finale - Moderato
Quadro II
  1. Introduzione e scena con njanja - Andante mosso
  2. Scena della lettera - Andante con moto
  3. Scena - Moderato assai
    Duetto - Allegro moderato
Quadro III
  1. Coro delle contadine - Allegro moderato
  2. Scena - Moderato mosso
    Aria di Onegin - Andante non tanto
Atto II
Quadro IV
  1. Intermezzo - Andante non tanto
    Valzer e scena con coro - Tempo di Valzer
  2. Scena - Andantino
    Couplets di Triquet - Andantino
  3. Mazurka - Tempo di Mazurka
    Scena - Molto meno mosso
  4. Finale - Andante
Quadro V
  1. Introduzione e scena - Andante
    Aria di Lenskij - Andante quasi adagio
  2. Scena del duello - Allegro moderato
Atto III
Quadro VI
  1. Polonaise - Moderato. Tempo di Polacca
  2. Scena - L'istesso tempo
    Scozzese - Allegro vivo
    Aria del principe Gremin - Andante sostenuto
  3. Scena - Moderato
    Aria di Onegin - Allegro moderato
    Scozzese - Allegro vivo
Quadro VII
  1. Finale - Moderato

Sinossi

Luogo dell'azione: in campagna e a San Pietroburgo intorno al 1820

Atto primo.
Scena prima.
Nel giardino dei Larin, mentre la padrona di casa con la njanja rievoca la sua giovinezza e i suoi amori, le sue due figlie Tat'jana e Ol'ga cantano un duetto ("Sližali l'vy", 'Avete udito') sul testo di una lirica giovanile di Puškin, Il poeta. Arriva un gruppo di contadini per festeggiare la fine del raccolto: offrono un covone alla padrona e intonano due canti popolari, il primo inventato da Cajkovskij ("Boljat moi skorye nožen'ki", 'Soffrono le mie veloci gambe'), il secondo tratto da una danza di origine popolare ("Už kak po mostu-mostocku", 'Per il ponte-ponticello') che le ragazze eseguono ballando in cerchio intorno al covone. Segue un arioso di Ol'ga in cui mette a confronto il proprio carattere spensierato con quello inquieto della sorella ("Ja ne sposobna k grusti tëmnoj", 'Non sono incline alla languida tristezza'). Escono i contadini e arriva il poeta Lenskij, vicino di podere e fidanzato di Ol'ga, con un amico, Onegin, di recente trasferitosi da Pietroburgo nel podere di uno zio: i due amici e le due sorelle commentano l'incontro in un quartetto. Poi si formano due coppie: Onegin e Tat'jana conversano allontanandosi mentre Lenskij fa un'appassionata dichiarazione d'amore a Ol'ga ("Ja ljublju vas, Ol'ga", 'Vi amo, Ol'ga'). Rientrano Tat'jana, già palesemente innamorata e Onegin che, parlando di sé, introduce la famosa strofa iniziale del poema ("Moi djadja", 'Mio zio').
Scena seconda.
È notte. Tat'jana non riesce a dormire, chiede alla njanja di raccontarle dei suoi antichi amori; le confessa poi il suo sentimento per il nuovo ospite e chiede di lasciarla sola con carta e penna. Segue la lunga (dodici minuti) aria della lettera ("Puskaj pogibnu ja", 'Mi perderò'): Tat'jana confessa la sua passione totale e assoluta per Onegin, nata dal primo istante e destinata a durare in eterno. È ormai l'alba: la njanja ritorna e trova Tat'jana ancora sveglia. Nel duetto che segue, mette in guardia la fanciulla dai pericoli delle troppo rapide passioni. Tat'jana chiede alla njanja di far recapitare la lettera da un nipote.
Scena terza.
In un angolo del giardino un gruppo di contadine raccoglie bacche cantando una canzone. Entra Tat'jana correndo, si abbandona su una panchina e si dispera per il gesto compiuto. La raggiunge Onegin, che con parole pacate e fredde le rimprovera la mancanza di controllo e le spiega le ragioni del suo rifiuto: certo, se volesse sposarsi, sarebbe la moglie ideale, ma l'inquietudine, l'angoscia gli impediscono qualsiasi unione duratura. Poi le offre il braccio e si allontanano insieme.

Atto secondo.
Scena prima.
È l'onomastico di Tat'jana e in casa Larin c'è un ballo con la banda militare che suona. Onegin, irritato dalla vacuità degli invitati, decide di corteggiare Ol'ga, facendo ingelosire Lenskij. Monsieur Triquet, istitutore presso alcuni vicini, canta alcuni couplets in onore della festeggiata. Durante la mazurka, Onegin balla ancora con Ol'ga; poi ha uno scontro con Lenskij che, giunto al limite dell'esasperazione, lo sfida a duello.
Scena seconda.
In campagna, nei pressi di un mulino, Lenskij aspetta Onegin con il suo secondo Zareckij: presentendo la morte, canta disperato il suo amore per Ol'ga ("Kuda, kuda udalilis", 'Dove, dove siete volati'). Arriva Onegin accompagnato, invece che da un secondo, dal suo cameriere Guillot. Tutto è pronto per il duello: Onegin spara per primo e uccide Lenskij.

Atto terzo.
Scena prima.
Nel salone di un palazzo pietroburghese si sta svolgendo un ballo. Onegin, tornato da poco da una serie di viaggi, in un angolo esprime noia e insoddisfazione per la sua vita vacua. Entra il principe Gremin con Tat'jana, diventata sua moglie e trasformatasi in un'elegantissima dama del bel mondo. Onegin stenta a riconoscerla e chiede di lei a Gremin, suo vecchio amico. In risposta Gremin gli rivela tutta la felicità della sua vita matrimoniale ("Ljubvi vse vozrasti pokorny", 'Tutte le età sono soggette all'amore'). Dopo un breve e formale saluto al suo antico amore, Tat'jana, fingendosi stanca, si allontana al braccio del marito. Onegin si scopre innamorato come un ragazzo ("Uvy, somneija net", 'Ahimè non ci sono dubbi') e fugge, deciso a raggiungere l'amata.
Scena seconda.
In una stanza del palazzo Gremin, Tat'jana legge una lettera di Onegin in cui le dichiara il suo amore. Piange, tormentata dal risvegliarsi in lei della passione. Entra Onegin, le si butta ai piedi: Tat'jana trova la forza di ammettere il suo amore ma di rifiutarlo in nome della fedeltà al marito e dà per sempre l'addio a Onegin.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ecco come Pëtr Cajkovskij racconta, in una lettera al fratello del 1877, in che modo nacque l'idea di musicare il capolavoro poetico di Puškin: «La settimana scorsa ero dalla Lavroskaja [una cantante e amica del compositore]. Il discorso cadde sui soggetti per opera... Lizaveta Andreevna improvvisamente disse: 'E perché non prendere Evgenij Onegin?' L'idea mi sembrò assurda, e non risposi. Poi, pranzando da solo, mi tornò in mente l'Onegin, cominciai a riflettere, la proposta della Lavrovskaja non mi parve così assurda, mi ci appassionai e alla fine del pranzo la mia decisione era presa. Corsi a comprarmi il testo. Lo trovai con fatica, tornai a casa, lo lessi con entusiasmo, passai tutta la notte insonne e il risultato fu la traccia di una deliziosa opera sulla base del testo di Puškin... Che profondità poetica nell'Onegin! Non mi faccio illusioni, so benissimo che ci sono ben pochi effetti scenici, ben poco movimento. Ma la ricchezza lirica, l'umanità, la semplicità della trama insieme alla genialità del testo sopperiscono a queste manchevolezze». Nessuno incoraggiò il compositore: tutti trovavano l'impresa destinata all'insuccesso. «Non m'importa - scrive sempre al fratello - che ci sia poca azione, sono innamorato del personaggio di Tat'jana, sono affascinato dai versi di Puškin». E alla baronessa von Meck confermò: «Chi ritiene l'azione scenica condizione primaria di un'opera, non sarà soddisfatto. Chi invece cerca la riproduzione musicale di sentimenti normali, semplici, universali, lontani dalla tragicità esteriore, dalla teatralità, saranno (spero) contenti della mia opera». I maggiori letterati del tempo, da Tolstoj a Turgenev, seguirono con estremo interesse il lavoro del compositore. Le prime quattro scene furono composte nel mese di giugno 1877 nella tenuta del librettista Šilovskij. Ci fu poi un'interruzione per motivi personali (l'infelice e brevissimo matrimonio con Antonia Miljukova a cui seguì una fuga disperata all'estero). Il lavoro riprese in Svizzera, a Clarens, dove il compositore finì il primo atto. Nel gennaio 1878 l'opera era ultimata, eccetto la scena del duello che venne scritta a San Remo in febbraio: in tutto otto mesi di lavoro. Rispetto all'essenziale disegno puškiniano, Cajkovskij ebbe solo un cedimento in direzione 'melodrammatica', poi subito rientrato: nell'ultimo atto Tat'jana, invece di respingere con ferma consapevolezza l'amore di Evgenij, cade nelle sue braccia. Ma prima della presentazione ufficiale dell'opera al Bol'šoj, Cajkovskij ripristinò la soluzione puškiniana. Soddisfatto del suo lavoro, conscio della diversità della nuova opera rispetto allo stile grand-opéra allora in voga, Cajkovskij decise di non consegnarla alla direzione dei Teatri Imperiali ma di seguirne direttamente la realizzazione affidandola agli allievi del Conservatorio. «A me serve non un grande teatro con la sua routine, le sue convenzioni, i suoi registri mediocri, le sue messinscene insensate anche se fastose, i suoi segnali luminosi al posto del direttore del coro ecc., ecc. Ecco che cosa mi serve per il mio Onegin: 1) cantanti non famosi ma disciplinati e volenterosi; 2) cantanti che inoltre sappiano recitare in modo semplice e convincente; 3) messinscena e costumi non fastosi ma rigorosamente fedele all'epoca; 4) un coro che non sia un gregge di pecore come nei teatri imperiali, ma che prenda realmente parte all'azione; 5) un direttore del coro che non sia un segnale luminoso. Costi quel che costi, non darò la mia opera ai Teatri Imperiali e se non mi sarà possibile realizzarla al Conservatorio, non vedrà mai la luce».

Rispetto al testo puškiniano, molte sono le omissioni, realtivamente poche le interpolazioni: non a caso Cajkovskij chiama la sua opera 'scene liriche'. È omesso tutto il primo capitolo, la spensierata vita mondana di Onegin a Pietroburgo, e tutto il settimo, con la visita di Tat'jana ai luoghi oneginiani, dopo il duello e la partenza per Mosca di madre e figlia in cerca di marito (di quest'ultima parte, con l'incontro del fidanzato e la proposta di matrimonio, esiste un abbozzo non realizzato nel primo progetto del compositore). Le principali interpolazioni sono i già ricordati cori dei contadini nella prima scena del primo atto, la parte finale del ballo in casa Larin, con lo scontro tra Onegin e Lenskij, la sfida a duello, il pubblico scandalo (in Puškin la sfida e tutto ciò che ne consegue non avviene al ballo). Nell'ultimo atto, del tutto nuovo è il monologo di Gremin sulla felicità coniugale. Dilatata è l'ultima scena della dichiarazione di Onegin a Tat'jana, con appassionati slanci e trepide confessioni che il testo in versi non conosce. Assolutamente fedele è invece il testo dei tre momenti cardinali: la lettera di Tat'jana, la risposta di Onegin, l'ultimo rifiuto di Tat'jana, dove i versi puškiniani rimangono intatti e dove l'interpretazione musicale cajkovskiana acquista una straordinaria intensità, raggiunge una originalissima, sottile, commossa dimensione psicologica. Estrema coerenza stilistica, sapiente succerdersi di quartetti, quintetti, arie, ariosi e cori, grande intelligenza nel cogliere il tessuto musicale di un'epoca: Cajkovskij, nel suo Onegin, ottiene in parte ciò che Puškin ha ottenuto in pieno, e cioè tradurre in forma lirica (o musicale) il vero sensa di una generazione, la sua storia interiore. Tat'jana appassionata, sincera e tuttavia rigida e coerente nelle sue scelte di vita, Onegin inquieto, ombroso, annoiato, fragile, immaturo, incapace di amare, sempre alla ricerca di nuove prospettive che non realizzerà mai: sono due aspetti della generazione contemporanea a Puškin, due aspetti (il rigido codice morale contro l'indeterminatezza, la depressione, l'oblomovismo) che segneranno i decenni a venire, e di cui Cajkovskij sa dare una lettura sensibile.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

L'Oneghin in musica? Non scherziamo!

Reduce dalla prima del Lago dei cigni al Bol'soj (20 febbraio 1877) e di Francesca da Rimini alla Società Musicale Russa (25 febbraio), Cajkovskij è infelice e depresso: "Sono cambiato molto, sia fisicamente sia, soprattutto, moralmente. Non ho nessuna allegria o desiderio di divertirmi. Non resta nulla della mia giovinezza. La mia vita è diventata spaventosamente vuota, monotona, volgare. [...] L'unica cosa rimasta come prima è il desiderio di comporre". Cerca invano un soggetto che lo spinga alla scrittura: il fratello Modest gli sottopone un libretto tratto da Inès de las Sierras di Charles Nodier, ma non lo convince. "A proprosito di Inès, l'idea non mi attira e non ho nessuna voglia di mettermi a lavorare, il che vuol dire che non è un libretto per una buona opera. Le sofferenze di Inès sono troppo romantiche e melodrammatiche [...], non ci sono personaggi autentici: Pedrina è interessante ma appare solo nel primo atto, la scena dello 'smascheramento' è falsa e noiosa, tutto l'insieme manca di poesia. Grazie comunque per lo sforzo". Il 13 maggio va a cena dalla cantante Elizaveta Lavrovskajà e anche lì manifesta la sua inquietudine: che fare? Mentre lo stupido e prolisso marito di lei elenca soggetti inaccettabili, la padrona di casa azzarda una proposta: "Perché non prendere Evgenij Oneghin?". Il grande poema puskiniano? Non scherziamo. E Cajkovskij se ne va più confuso di prima. Il giorno dopo, a pranzo da solo in trattoria, ripensa alla proposta di Lavrovskajà e non gli pare più così assurda. In fondo perché non provare? Dalla trattoria va direttamente in libreria, torna a casa e si butta sul testo: "Ho passato una notte insonne e il risultato è stato un libretto per un'opera incantevole con il testo di Puskin. Eccolo in breve. Atto I, scena prima: all'alzata del sipario la vecchia Larina e la njanja fanno la marmellata e ricordano il passato mentre dalla casa si ode un duetto di Tat'jana e Ol'ga, accompagnato dall'arpa. Arrivano i contadini con l'ultimo covone di grano della mietitura, cantano e danzano: improvvisamente un servo annuncia "Ospiti!" e arrivano Oneghin e Lenskij. Lenskij presenta l'amico e ai due ospiti viene offerto da bere (succo di mirtillo). Oneghin, Lenskij e le donne discutono le loro idee: quintetto à la Mozart. La madre va a preparare la cena. I giovani restano e passeggiano in giardino a coppie. Entrano e escono a turno (come nel Faust); Tat'jana inizialmente è intimidita, poi si innamora. Scena II: Tat'jana con la njanja, poi la lettera. Scena III: discorso di Oneghin a Tat'jana.

Atto II. Scena I: onomastico di Tat'jana. Ballo. Lenskij è geloso, accusa Oneghin e lo sfida a duello. Orrore dei presenti. Scena II: ultima aria di Lenskij e duello alla pistola.

Atto III. Scena I: Mosca, ballo al Circolo della Nobiltà. Tat'jana incontra tutte le sue zie e cugine, cantano in coro. Compare il Generale e si innamora di Tat'jana. Gli racconta tutto di sé e acconsente a diventare sua moglie. Scena II: Pietroburgo. Tat'jana sta aspettando Oneghin. Onegin compare: lungo duetto. Tat'jana confessa il suo amore per Oneghin ma resiste. Oneghin la implora. Compare il marito. Il dovere prende il sopravvento. Oneghin fugge disperato.

Non puoi immaginare che entusiasmo abbia suscitato in me la storia di Tat'jana e Oneghin. Oneghin è pieno di poesia. So benissimo che non ci saranno né scene d'effetto né grande azione nell'opera: ma sono difetti ampiamente compensati dalla qualità lirica dei versi, scritti da un genio, dalla toccante semplicità e umanità della storia".

Una grande storia d'amore

Da queste righe si possono già trarre importanti indicazioni sul lavoro che Cajkovskij intende fare sul testo puskiniano: ignora deliberatamente il primo capitolo, che racconta la vita di Oneghin a Pietroburgo prima del suo trasferimento in campagna, tra balli, ricevimenti, pranzi, prime teatrali, amori, letture, cambi di abito e d'umore. Utilizza il settimo capitolo (vicende di Tat'jana dopo il duello e dopo la partenza di Oneghin: nostalgica visita alla dimora di lui, partenza per Mosca, matrimonio, combinato dal parentado, con un generale) solo per la prima scena del III atto, che poi non scriverà: dunque anche il settimo capitolo in definitiva viene eliminato dal piano di lavoro. È fin troppo evidente che a Cajkovskij interessa soltanto la storia d'amore tra Tat'jana e Oneghin: e così scompaiono per primi i capitoli dove uno dei due amanti non è presente (il primo nel caso di Tat'jana, il settimo nel caso di Oneghin).

Altra indicazione importante: che sollievo occuparsi di una storia contemporanea e non di principesse etiopi, faraoni, avvelenamenti e simili balordaggini. Lo scrive apertamente: "Ho bisogno di persone vive, non di marionette, di sentimenti comprensibili anche a me. Che ne so di quello che prova una schiava etiope o un pazzo nubiano? Non voglio imperatori o imperatrici, rivolte popolari o battaglie: insomma non voglio nessuno degli attributi della grand-opéra. Voglio un dramma interiore forte, basato su situazioni e conflitti che ho provato e visto, che mi tocchino sul vivo".

Certo, nel testo puskiniano c'è un difetto, di cui si rende subito conto: l'assenza di un solido plot, di una vicenda drammatica che regga i tre atti. Una storia d'amore, per quanto appassionata e travolgente, che tuttavia non abbia gelosie, fughe, rapimenti, non basta: inoltre, in questo caso, il morto (Lenskij) non è nemmeno un rivale e l'acme, il momento culminante dell'azione (il duello, appunto) è alla fine del secondo atto, contro ogni convenzione operistica consolidata, e nel terzo c'è solo una moglie che decide di rimanere fedele al marito, respingendo l'amante. Niente di più insignificante. Non importa: Cajkovskij, lo dice e lo ripete a tutti, scrive l'opera "obbedendo a un insopprimibile impulso interiore", ben sapendo che sarà destinata "all'insuccesso e alla disattenzione del grande pubblico". "Ho scritto Oneghin senza prefiggermi un secondo fine. Mi è venuto così, e so che non sarà interessante per il teatro: perciò quelli che considerano l'azione scenica il primo requisito di un'opera, non saranno soddisfatti". Infatti le proteste si moltiplicano: Modest, l'altro fratello Anatolij, perfino la grande protettrice Nadezda von Meck, a cui risponde "non sono affatto pentito della scelta del soggetto. Non riesco a capire come mai, amando la musica in modo forte e vivo, possiate misconoscere Puskin. (...). Nei suoi versi c'è qualcosa che penetra nel profondo dell'anima. Questo qualcosa è la musica".

Fausto Marcovati

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'idea di trarre un'opera dall'Eugenio Onieghin di Pushkin fu suggerita a Ciaikovski da una cantante, Elisaveta A. Lavrovskaia. Ciaikovski rilesse il romanzo, se ne innamorò, corse dal librettista Konstantin Scilovski: fu questione di pochi giorni, forse di poche ore. Tanto si desume da una sua lettera al fratello Modest, suo futuro biografo, che porta la data del 18 maggio 1877 (nuovo stile 30 maggio: tutte le date che seguono s'intendono nel vecchio stile). Appena allora Ciaikovski aveva terminato l'abbozzo della Quarta sinfonia, cominciato nel dicembre; e la composizione fu rapidissima, probabilmente seguendo la stesura del libretto via via che il testo si fissava sulla carta, al modo degli operisti italiani preverdiani. Il 6 giugno, cioè meno di tre settimane dopo quella lettera, la musica dei primi due quadri era già composta, e il 15 era composto anche il terzo. Ciaikovski andò ancora parecchio avanti negli otto giorni successivi; poi s'arrestò.

Era imminente il suo matrimonio; che seguì il 6 luglio, con esito sinistro. Sessualmente anormale, già da qualche mese Ciaikovski aveva deciso di vincere il suo complesso d'inferiorità in proposito con la fuga in avanti: e più tardi aveva accettato di sposare una giovane allieva che s'era follemente innamorata di lui. Ma a cose fatte fu còlto da un patologico terrore che portò alla rapida divisione della coppia e condusse lui sull'orlo del suicidio. Tuttavia la febbre dell'Onieghin era così forte, che nell'agosto la composizione fu ripresa e compiuta, e iniziata la strumentazione. Seguì un riposo, durante il settembre e la prima metà di ottobre, che Ciaikovski passò per buona parte a Clarens, in Svizzera. La strumentazione del prim'atto fu terminata il 23 ottobre e il primo quadro del secondo fu strumentato in novembre, mentre il dicembre fu dedicato a terminare la strumentazione della Quarta sinfonia. Il tutto viaggiando: Parigi, Firenze, Roma, Vienna, Venezia, Milano, San Remo. Qui il 2 gennaio 1878 fu ripresa l'orchestrazione dell'opera e completata entro il 20.

L'Eugenio Onieghin andò per la prima volta in scena in un piccolo teatro, quello del Conservatorio di Mosca in cui Ciaikovski era insegnante: il 17 marzo 1879, concertata da Nikolai Rubinstein ch'era il direttore del Conservatorio, con compagnia e orchestra composte da studenti. Fu replicata tre mesi dopo; ma senza raggiungere più che un successo di stima. Il quale si ripetè due anni appresso alla prima rappresentazione in un grande teatro, che fu il Bolscioi di Mosca: 11 gennaio 1881, sotto la direzione dell'italiano Enrico Bevignani. Lo stesso accadde più o meno altri due anni dopo alla Sala Kononov di Pietroburgo, dove l'opera fu data per quattro sere a partire dal 22 aprile 1883. Ma il frutto era ormai maturo. La fortuna dell'Eugenio Onieghin cominciò poco dopo, ancora a Pietroburgo ma al Teatro Marinski, sotto la competente direzione di Eduard Napravnik: il 19 ottobre 1883. Nove anni dopo, il Marinski festeggiava la centesima replica dell'opera che presto doveva stabilirsi in Russia fra i pilastri del repertorio.

All'estero l'Eugenio Onieghin fu dato per la prima volta a Praga, nel 1888, quindi ad Amburgo nel 1891 sotto la direzione di Gustav Mahler; che si appassionò molto a quest'opera e fu il primo a portarla a Vienna, nel 1897. In Italia arrivò il 7 aprile 1900 alla Scala, diretta da Toscanini, protagonisti Eugenio Gilardoni ed Emma Carelli.

* * *

Nato nel 1840, quando compose l'Onieghin Ciaikovski aveva trentasette anni, e già una ricca attività dietro di sé: quattro opere liriche, tre sinfonie, i tre quartetti, pezzi sinfonici tra cui Romeo e Giulietta e Francesca da Rimini, il Concerto in si bemolle minore per pianoforte e orchestra, le Variazioni sopra un tema rococò, il balletto Il lago dei cigni. Ma nonostante qualche fiammata di entusiasmo suscitata qua e là (per esempio nel '75 negli Stati Uniti, dove Hans von Bülow aveva portato al trionfo il Concerto per pianoforte), nessun successo stabile: perfino il Lago dei cigni, allestito nel marzo '77 al Bolscioi di Mosca, era caduto nell'indifferenza (e avrebbe dovuto aspettare la morte di Ciaikovski, novembre 1893, per tornare alle scene e nella nuova coreografia di Petipa e Ivanov diventare il più rappresentato balletto del mondo). In complesso, più di un'occasione aveva scosso la fiducia di Ciaikovski in se stesso.

Il '77 - l'anno dell'Onieghin e della Quarta sinfonia - è appunto l'epoca in cui quella fiducia si ristabilì in modo definitivo; pur se ancora per qualche tempo il contegno della critica e del pubblico non mutò. E senza dubbio a questa svolta contribuì assai un fatto biografico: lo stranissimo rapporto che Ciaikovski aveva iniziato alla fine dell'anno precedente con la signora Nadezda von Meck. Era costei una vedova quarantacinquenne, ricchissima, fanatica della sua musica, che era entrata in contatto epistolare con il nostro compositore per la mediazione di un giovane violinista allievo di lui con il quale sfogava le sue velleità di pianista. Cominciò ad aiutarlo economicamente commettendogli delle trascrizioni per violino e pianoforte a condìzioni principesche; poi gli assegnò addirittura un mensile. Era evidentemente innamorata di lui. Ma a modo suo. Non volle mai incontrarlo: si accontentava di guardarlo da lontano le rare volte che assisteva a un suo concerto. La relazione consisté soltanto in un epistolario torrenziale, che durò quindici anni e, dato postumo alle stampe, risultò capace di riempire tre volumi.

Nella sua esaltata protettrice Ciaikovski non trovò certo l'«amore»: ma sì l'appoggio sicuro, e non soltanto materiale, di cui i suoi nervi sempre a fior di pelle avevano bisogno. E sebbene nessuno possa dirci in che misura la relazione influisse sulle sue disposizioni creative, certo è che in nessuno dei suoi lavori precedenti, all'atto di compierli, Ciaikovski aveva creduto con tanta convinzione come nei primi due seguiti all'inizio di quella: la Quarta cioè (che nelle lettere alla Meck è abitualmente detta «la nostra sinfonia») e l'Onieghin.

Il quale Onieghin non solo fu scritto rapidissimamente, come s'è visto, quasi sotto la scorta d'un coup de foudre; ma in un entusiasmo del tutto disinteressato del suo esito pratico. Ripetutamente nelle lettere di Ciaikovski si legge che l'Onieghin non è opera destinata a successo, anzi, forse, inadatta al teatro, inadatta comunque ai grandi teatri: un'opera privata, scritta dall'autore per se stesso. Affermazioni singolarissime per un compositore a cui neanche i peggiori nemici hanno mai negato la comunicativa immediata (gliene hanno fatto un capo d'accusa, anzi), e il cui approccio alla musica era evidentemente tutt'altro da quello di un Frescobaldi o di un Bach.

* * *

Poche cose sbalordirono tanto il mondo musicale come la lettera aperta che Stravinsky indirizzò a Diaghilev nel 1921 quando i Ballets Russes allestirono, nella coreografia originale, La belle au bois dormant; perché quella lettera era un inno al musicista meno attuale che si potesse immaginare, all'esecrato campione della melodia scritta «col cuore in mano»: Ciaikovski in persona. Qualcuno prese la dichiarazione come un capriccio passeggero, una boutade, uno sberleffo; ma poi dovette ricredersi perché il più vistoso alfiere della musica «moderna» persistè tranquillamente nel suo atteggiamento. «Alla memoria di Pushkin, Glinka e Ciaikovski» si potè leggere infatti, l'anno dopo, sul frontespizio della sua opera comica Mavra. E ben più oltre Stravinsky andò nel 1928 col balletto Le baiser de la fée, la cui partitura era nient'altro che una libera trascrizione di musiche di Ciaikovski, e nel frontespizio recava quanto segue: «Dedico questo balletto alla memoria di P. Ciaikovski assimilando a questa fata la sua musa; sì ch'esso diviene un'allegoria. Giacché come la fata del balletto, così quella musa segnò lui del suo bacio fatale, la cui misteriosa impronta si avverte in tutta l'opera del grande artista».

Nel '35, infine, Stravinsky dette la sua autobiografìa; e nel capitolo primo, raccontando il suo primo contatto, undicenne, con il Ruslan e Ludmilla di Glinka, evocò anche quello con Ciaikovski, in una pagina che merita di essere riletta: «Fu per me una serata memorabile. Oltre all'emozione di ascoltare una musica di cui andai semplicemente pazzo, mi fu dato di scorgere nel ridotto la figura di Ciaikovski, idolo del pubblico russo, che non avevo mai veduto prima e che non avrei visto mai più. Era venuto a Pietroburgo per dirigervi in prima esecuzione la sua nuova sinfonia, la Patetica. Quindici giorni dopo, mia madre mi condusse al concerto in cui questa sinfonia fu eseguita in memoria del suo autore, che il colera aveva portato via in pochi giorni. Sebbene impressionato per la morte imprevista del grande musicista, allora non mi resi conto del fatto che aver intravisto Ciaikovski vivo, per quanto di sfuggita, sarebbe divenuto uno dei miei ricordi più cari. Avrò più tardi occasione di parlare ai miei lettori di Ciaikovski, della sua musica e della mia lotta per la sua causa presso parecchi miei colleghi che s'ostinano nell'eresia di vedere la musica russa "autentica" solo attraverso i Cinque. Qui ho voluto notare soltanto un ricordo personale sul celebre compositore, per il quale la mia simpatia è andata aumentando continuamente, al tempo stesso che la mia coscienza musicale si evolveva. È a partire da quella data che io credo di poter situare l'inizio della mia vita cosciente di artista e di musicista».

Che significavano queste dichiarazioni? In parte, ad accertare un rapporto fra Ciaikovski e Stravinsky. Che certamente esiste; perché dietro tutte le divergenze possibili (capitale quella che la melodia di Stravinsky è completamente indipendente dallo spirito del canto, mentre quella di Ciaikovski ne è addirittura intrisa) c'è in Stravinsky, soprattutto nello Stravinsky d'allora, il culto dell'idea musicale semplice, incisiva, diretta - nel senso dell'opera italiana ottocentesca, di Schubert, e infine di Ciaikovski - e la correlativa antipatia per il sinfonismo tedesco, Brahms come Wagner. E ancora: in un ambiente che aveva costruito la sua immagine della Russia musicale sulle suggestioni folkloristiche od orientaleggianti, importava a Stravinsky (il quale non intendeva comporre uccelli di fuoco e sagre della primavera per tutta la vita) precisare che la Russia non era soltanto quella; ma un fatto per moltissimi versi «europeo». E non perciò meno «russo».

* * *

Della polemica di Stravinsky questo è certo il punto fondamentale da ritenere; anche oggi che gran parte della cultura musicale occidentale - prima nel mondo anglosassone, poi in quello germanico, con maggiori resistenze nel mondo latino - s'è decisa a riqualificare Ciaikovski. Perché la radice di ogni errore sul suo conto è qui: nel considerarlo un semplice epigono di tedeschi e francesi, intimamente estraneo alla «vera» musica russa, dogmaticamente identificata con la linea nazionalistica perseguita dai Cinque, e particolarmente da Mussorgski.

In verità, che per distinguere uno scozzese da un lucano sia indispensabile vederli vestiti dei rispettivi «costumi nazionali» nessuno vorrà sostenere. Con un po' di buona volontà sapremo dunque distinguere Ciaikovski da Mendelssohn da Schumann e da Gounod anche se, invece che in costume da boiaro o da mugik, ci si presenta in abito borghese. L'idea che l'arte o la cultura «autentiche» di un dato paese si risolvano senza residui nelle loro correnti nazionalistiche è una petizione di principio alquanto ingenua; tanto più quanto questo paese è la Russia dell'Ottocento, ove il commercio con l'Europa occidentale fu atteggiamento normale, ossia non meno «russo» di qualsiasi altro.

In parole povere, Ciaikovski non è meno russo di Mussorgski. Anche se per vie, obiettivi, risultati ben diversi. L'occhio di Mussorgski è essenzialmente epico, e volto soprattutto alla scoperta della Russia autoctona, delle sue terre più vergini: la sua storia avanti Pietro il Grande, il mondo contadino, i bambini. Il linguaggio musicale di Mussorgski parte perciò dal canto liturgico ortodosso e soprattutto dal folklore, che naturalmente gli evocano quei contenuti. L'occhio di Ciaikovski è invece essenzialmente lirico, e guarda agli ideali e alle delusioni della società cólta o semicólta e perciò parzialmente occidentalizzata del suo tempo: l'aristocrazia, la borghesia. Il suo linguaggio parte dai gusti, dalle abitudini, possiamo ben dire dalla parlata musicale di quella società; la quale aveva anch'essa il suo proprio folklore, quel «folklore urbano» ch'era costituito dalla romanza da camera, dalla melodia di lontana ascendenza schubertiana, ma ormai registrata su inflessioni proprie (dunque «russe») e sensibilizzata alle proprie esigenze psicologiche. Difatti in Ciaikovski la radice dell'invenzione melodica è eminentemente liederistica: quale che ne sia poi l'impiego nel dramma cantato o sinfonico. Ciaikovski sta insomma a quel folklore urbano che è costituito dalla romanza russa della prima metà dell'Ottocento - di Glinka, di Dargomiski, di Varlamov - come Mussorgski sta al canto liturgico ortodosso e al folklore rurale (il che poi non esclude che a melodie del folklore rurale bene spesso anche Ciaikovski ricorra).

E s'intende che facendo i nomi di Glinka e di Dargomiski si allude soltanto a uno dei loro aspetti, quello affidato alla loro lirica da camera; non certo a tutti. Bisogna infatti tener presente che nella prima metà dell'Ottocento quei filoni che poi si svilupparono in aperta polemica fra loro si trovavano riuniti nelle mani dello stesso artista: in Glinka c'è, in nuce, tutta la musica russa dell'Ottocento, la sua eredità fu rivendicata, a porzioni polemicamente contrapposte, dai Cinque come da Ciaikovski come da Serov. Pressappoco come accadde, nella letteratura, con Pushkin; che alimentò tutti i poeti e i narratori russi del suo secolo. E anche i musicisti. Ma secondo indirizzi diversissimi. Il capolavoro di Mussorgski nacque da un dramma di Pushkin; ma da Pushkin nacquero anche le tre maggiori opere liriche del suo antipodo Ciaikovski, cioè Eugenio Onieghin, Mazepa e La dama di picche. Difficilmente però sarebbe potuto accadere l'inverso. Ciaikovski, il Boris Godunov si limitò a sfiorarlo con un pezzo giovanile a commento d'una sua scena; e Mussorgski, forse avrebbe potuto scrivere un Mazepa (che difatti fu per Ciaikovski il momento di minor divergenza dalla poetica dei Cinque), certo non un Onieghin né una Dama di picche.

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Nell'inesauribile miniera pushkiniana non si trattava d'altronde, per il compositore russo, di scegliere un'opera - un dramma, un romanzo, un poema - ma di isolarne alcuni aspetti secondo un punto di vista determinato, tale cioè da frenare la generosa spinta universalistica dell'originale. Così fecero tutti o quasi tutti (l'eccezione più celebre è quella di Dargomiski, che musicò il Convitato di pietra nella sua integrità); così fece Ciaikovski nell'Eugenio Onieghin.

Per certi riguardi, il libretto dell'Onieghin si può dire un modello di fedeltà all'originale. La vicenda è esattamente la stessa, con lievi riduzioni e nessuna aggiunta: gli stessi versi di Pushkin sono rispettati il più possibile. Tuttavia delle innumerevoli prospettive aperte dal testo originale Ciaikovski ne trasceglie ben poche; che per ciò stesso risultano trasposte su un piano nuovo. Il romanzo di Pushkin infatti, nonostante la sua brevità, giustappone piani diversissimi sia nel contenuto che nel tono. È in strofe di quattordici versi (la strofa sui generis passata nella storia della letteratura russa come «strofe onieghiniana»), ciascuna delle quali offre qualcosa di compiuto in sé; e manda avanti la narrazione a sbalzi, interrompendola continuamente di divagazioni, riflessioni, esplosioni liriche, visioni di paesaggi, intrusioni dell'autore stesso che in prima persona si presenta come amico dei suoi personaggi (perfino con dell'autobiografia avanti lettera: di lì a qualche anno a Pushkin sarebbe toccata la stessa insensata morte di Lenski). Appunto questa tecnica caleidoscopica, gloriosamente ignara di generi letterari, shakespearianamente sprezzante di economie prestabilite, permise al poeta il miracolo di fornire per via di lampi intensissimi quella che Belinski definì «un'enciclopedia della vita russa». È d'altronde significativo che all'Onieghin Pushkin lavorasse dal '23 al '31: addirittura otto anni dunque, della sua brevissima vita (1799-1837). È eminentemente la sua opera centrale, quella che tocca il maggior numero dei suoi temi, aprendosi nelle direzioni più diverse: e in cui tanti suoi motivi son dati, per dir così, contemporaneamente alla loro critica.

È chiaro che tutto questo nell'opera di Ciaikovski era destinato a cadere: non foss'altro perché quella tecnica non era trasferibile in un'opera lirica, o almeno, in un'opera lirica come s'intendeva ai tempi di Ciaikovski. Ma non solo per questo. Per Ciaikovski, ossia per la società ch'egli interpretava, la materia messa in campo dal romanzo di Pushkin aveva perduto la sua polivalenza, la sua pregnanza storica, s'era decantata in acuta memoria sentimentale. Tatiana, Lenski, Onieghin, in Pushkin sono personaggi legati a un momento preciso della storia russa (e perciò a quella europea): quello che va dai contraccolpi dell'invasione napoleonica del 1812 alla fallita rivolta dei decabristi (1825); vale a dire che le loro storie d'amore riflettono stati d'animo in cui echeggiano speranze e delusioni sociali e politiche profonde. Il contrasto fra la fiamma amorosa di Tatiana e il disincantato rifiuto di Onieghin adombra un contrasto di generazioni: fra quella che ancora credeva e sperava, e quella che l'andamento della storia aveva deluso; se non ci fosse stata la censura (sempre dura, anche sotto quel Nicola I che aveva pur liberato Pushkin dal confino) pare che nelle intenzioni di Pushkin l'ultimo gesto di Onieghin avrebbe dovuto essere la partecipazione alla rivolta decabrista: delusione massima e definitiva.

Nell'opera di Ciaikovski questo sfondo cade; resta il gioco dei sentimenti celebrati in sé e per sé, nella loro combustione pura. Nei suoi dati più generali, questa era già l'etica dell'opera francese da metà secolo in poi (non per nulla la Francia era stata cronologicamente la prima civiltà borghese d'Europa), tra poco sarebbe stata l'etica di Puccini: l'amore idoleggiato in quanto tale, non già inteso, al modo dell'opera romantica, come fiore di altri valori (donde l'antipatia di Ciaikovski per i soggetti non realistici dell'opera romantica, per esempio di Verdi, sebbene ne apprezzasse non di rado la musica; e invece l'adorazione per le opere buffe di Mozart, o per la Carmen). Ma in questo indirizzo l'Onieghin offre qualcosa di molto specifico: la malinconia del passato, la febbrile ricerca del passato nel presente. L'affascinante freschezza dei personaggi pushkiniani, Ciaikovski tenta di ricuperarla nel mondo mutato di cinquant'anni dopo, con un impegno struggente: come una giovinezza vissuta in un antefatto, e tuttavia bruciante nel ricordo. Non è un ripensamento critico, né ironico, né culturalistico, al modo di tanta musica del nostro secolo; ma tutto istintivo e sensitivo. Perciò, non un'operazione strettamente individuale, condotta esclusivamente dall'artista - come quelle di Stravinsky, Ravel, ecc. - ma largamente registrata sulla società russa del suo tempo. Stravinsky ripensa Bach, o Pergolesi, o Donizetti, a modo suo; Ciaikovski legge Pushkin esattamente come lo leggevano, allora, larghissimi strati del suo pubblico.

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«Alla metà degli anni settanta la lirica da camera era divenuta così duttile nelle sue intonazioni, da non avvertire più il peso del 'genere': la romanza era divenuta un mezzo discorsivo di comunicazione. Io sono nato nel 1884, e ricordo ancora benissimo che il far musica in casa con le canzoni e le romanze più note era sentito in pratica come conversazione, come colloquio». Questa affermazione di Boris Asafiev, forse il più attendibile studioso russo di musica negli ultimi cinquant'anni, può riuscire utile a intendere quali fossero le basi collettive del linguaggio in cui Ciaikovski si esprimeva; pur di aver chiaro che il concetto di «intonazione», nella musicologia russa, non è l'equivalente del nostro termine tecnico-musicale («intonare una nota», o anche «intonare un inno»), ma piuttosto il corrispondente musicale del nostro «intonazione» riferito al linguaggio verbale: ciò che comunque caratterizza un'espressione musicale, una cellula melodica anche minima, un abbellimento, l'insistenza su un certo intervallo, una cadenza, un ritmo.

Quando si parla di un radicato «liederismo» nell'ispirazione di Ciaikovski non tanto si allude alla forma della romanza da camera russa, quanto all'uso delle «intonazioni» abituali in quella, che da sé riflettono, per così dire, il modo musicale di pensare della società russa lungo un arco di decenni. «Si apre così la possibilità», dice ancora Asafiev, «d'intendere la musica come una lingua viva, definita dalla coscienza sociale e costituita dall'uso di intonazioni determinate, verso la quale ogni singola opera musicale d'arte sta nello stesso rapporto che ogni opera letteraria verso la lingua in cui è nata».

Senonché queste «intonazioni» in Ciaikovski non hanno soltanto questa funzione, ma assumono anche un ruolo affine (non identico) a quello che da Wagner in poi hanno i motivi conduttori. Già Glinka ne aveva fatto uso, a caratterizzare questo o quel personaggio d'un suo accento particolare; Ciaikovski le adoperava piuttosto in corrispondenza di situazioni e sentimenti che non di personaggi, in modi alquanto complessi e coperti, spesso per allusioni vaghe: con una sotterranea e penetrante efficacia. È così che le sue strutture operistiche, di per sé perfettamente tradizionali, assumono un significato nuovo: apparentemente abbiamo le forme chiuse, l'opera a pezzi autonomi; ma inafferrabili identità riemergono da brano a brano, delineando una drammaturgia diversa.

Non poche delle osservazioni che abbiamo fatto si possono applicare ad altre opere di Ciaikovski; ma a nessuna così completamente come a questa, in cui il fondo della sua indole si dà nell'aspetto più immediato, disarmato. Ciaikovski è l'Eugenio Onieghin nel senso in cui Verdi è il Trovatore. Il che non implica che Onieghin e Trovatore siano anche i loro rispettivi capolavori. La gamma di Ciaikovski era assai ricca; anche a volerlo considerare soltanto nel suo teatro, si va dall'umorismo degli Stivaletti agl'incubi hoffmanneschi della Dama di picche, dalle violenze cruente di Mazepa alle capricciose grazie della Bella addormentata nel bosco. Ma al fondo di ogni assunto, come estrema risonanza, è lo stesso pedale di malinconia; anche se, qualche volta, quasi impercettibile. L'Onieghin è questo pedale recato in primo piano, affrontato in sé e per sé. Semplicissimamente l'opera ruota sulle tre diverse delusioni di Tatiana, di Onieghin, di Lenski. Non mancano i personaggi secondari, ognuno esattamente segnato - Larina, la niania, Gremin, le macchiette di monsieur Triquet e di Saretzki -; ma sempre come contorno, vive ma sobrie cornici a far risaltare il resto. Altrettanto valgono i balli, i cori; si pensi a quello giocoso delle ragazze, quadro terzo, che introduce e conclude, ignaro, il drammatico incontro fra Tatiana e Onieghin: trovata indimenticabile, e portata a termine con quella suprema eleganza fin de siècle di cui Ciaikovski ebbe l'esclusiva.

Ora quel pedale era una corda profonda della società russa del tempo, e di là da quella, dell'anima russa in genere; e l'Onieghin la rivelava appunto nel linguaggio che quella società sentiva più familiare, domestico. Si capisce bene, da un lato, come Ciaikovski scrivesse quest'opera quasi come diario o autobiografia, incurante del suo successo, evitando persino di intitolarla «opera»: tanto essa intonava le sue più intime raìsons du coeur. Ma dall'altro si capisce anche come il pubblico russo, passato il primo disorientamento di trovare sulle scene un linguaggio che fino allora era stato soltanto casalingo, si gettasse sull'Oneghin come su una scoperta di se stesso, ne facesse ben presto un dizionario del suo folklore sentimentale; proprio com'è accaduto da noi per tante pagine di Verdi. «Dite alla giovane», «Addio del passato»: allo stesso modo la lettera di Tatiana è ancora oggi, per qualunque russo, un proverbio dell'anima.

Fedele D'Amico


(1) "Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 9 novembre 2011
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino;
Firenze, Teatro Comunale, 22 giugno 1980

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Ultimo aggiornamento 14 ottobre 2018